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"La Canzone dei Nomi" di Jedediah Berry è il caos dopo l'apocalisse

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La Canzone dei Nomi 
di Jedediah Berry 
Fazi Editore, luglio 2025 

Traduzione di Silvia Castoldi 

pp. 541
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 


Ci sono volte in cui, terminato un libro, non si può proprio saltare al seguente, almeno non subito. Si è troppo coinvolti o provati per essere pronti a conoscere nuovi personaggi, nuove ambientazioni e lasciarsi alle spalle la storia appena conclusa. Semplicemente, si è creata una connessione molto intensa. Con La Canzone dei Nomi di Jedediah Berry io ho provato la stessa sensazione. Tuttavia, non è stata la partecipazione emotiva a precludermi una lettura immediatamente successiva o, ancor meno, parallela. Semmai, la stanchezza ha deciso per me: troppi viaggi, cambi di ambientazione, nomi bizzarri; troppe avventure, scene, parole addirittura. Alla fine di questa lettura si avverte un disperato bisogno di riposare. 

Il romanzo di Berry, infatti, parte subito con una marcia decisa. Sebbene il tentativo di chiarificare l'ambientazione e i personaggi ci sia – ed è apprezzabilissimo – e si esprima con una mappa e un elenco diviso per territori di competenza, entrare in un mondo già compromesso mette alla prova il lettore. Specialmente se il suddetto mondo non ha nulla a che vedere con quello in cui viviamo. Nella narrazione, infatti, in un giorno imprecisato di un'epoca imprecisata accade un evento inspiegabile – e non spiegato – a seguito del quale gli uomini e le donne perdono la parola. Nulla ha più un nome né memoria o identità, e l'umanità è costretta a ricominciare da capo. A rendere il compito ancora più arduo intervengono alcuni elementi di disturbo: mostri, fantasmi, gente senza nome ai margini della neonata società. Nel momento in cui Berry intraprende la narrazione, l'attenzione si focalizza soltanto sulla protagonista, un'aralda che deve consegnare e depositare nuove parole e che è lei stessa priva di nome. Il suo passato, tormentato e al centro di gran parte dello sviluppo, contiene la chiave per la risoluzione di alcuni dei maggiori dubbi del romanzo, che si presenta come un fantasy, ma che è ibridato da altri generi letterari. 

Infatti, non solo elementi fantastici, ma anche oscuri e gotici ricorrono spesse volte: la presenza di fantasmi e mostri, come anche di treni sferraglianti e di scenari notturni, non è altro che un richiamo ad una tradizione letteraria di suspense e mistero. Alla base de La Canzone dei nomi c'è una varietà di enigmi e intrighi che rendono interessante la trama, di tanto in tanto però, con il rischio di svuotarla. Al centro dovrebbe imprimersi una tematica principale, cioè quella del potere della parola contro l'abisso del silenzio. Berry si impegna anche a restituirci una sorta di mitologia del suo mondo inventato, una sua identità e un suo passato, tuttavia davvero troppi avvenimenti ingarbugliati diluiscono il messaggio dell'opera che, infine, risulta opaco. Viene da chiedersi quale sia – e se ci sia – il vero rischio di un universo senza nomi, dal momento che nulla di definito emerge dalle pagine del romanzo. 

«Non possiamo combattere ciò che non possiamo nominare» (p. 167), sostiene il primo nominatore dell'Antica Sussurro, e fin qui si può anche concordare. Tuttavia, viene da aggiungere, non si può combattere nemmeno quel che non si comprende: gran parte delle corse, delle fughe, degli scontri e poi incontri che hanno luogo nel romanzo sono di difficile lettura. Hanno più il gusto riempitivo, anziché un vero significato. Si incappa, inoltre, in rare associazioni di parole, metaracconti e richiami alle fiabe più note e canzoni sulle parole stesse, il tutto senza mai arrivare a un punto. Anche l'atmosfera generale è molto vaga, il che assume una certa coerenza quando una scena si svolge dentro un sogno caotico, ma quando anche i momenti catartici appaiono fumosi si ha difficoltà a seguire una trama di base anche promettente. 

La maggior parte della responsabilità di un'esperienza di lettura stancante è da attribuire sia alle azioni dei personaggi sia allo stile di scrittura dell'autore. Da un lato, infatti, sebbene l'aralda abbia delle caratteristiche più umane e non sia un'eroina a tutti gli effetti, si ha difficoltà a empatizzare con lei e si rischia di non tifare davvero per la sua riuscita. Ciò accade probabilmente per via della scrittura di Berry, appunto. Inutile dire che padroneggia uno stile validissimo, tessendo filo per filo una storia che potrebbe allungarsi all'infinito. Al contempo, però, è fin troppo barocco per potere visualizzare con precisione lo stato emotivo dei suoi personaggi, penalizzati da una scrittura poco vera. Esattamente come la storia, anche la sintassi risulta farraginosa. Ha il merito, da una parte, di non adagiarsi e volere tenere alta l'attenzione del lettore, e dunque di volere essere sfidante. Dall'altra, la sintassi risulta tediosa e persino paradossale: per essere un libro che vuole sottolineare l'importanza della parola, si arriva a considerare La Canzone dei Nomi fin troppo verboso.  

Camilla Elleboro