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La normalizzazione dello straordinario: una nuova raccolta di racconti di Can Xue per Utopia Editore

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La città del fumo
di Can Xue
Utopia, maggio 2025

Traduzione di Maria Rita Masci

pp. 224
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

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Ah, quelle pietre! Per quante notti avevano occupato i profondi meandri del mio cervello? Quando scuotevo la testa nell'oscurità mandavano suoni di ogni genere, le pietre che avevo dentro di me erano le stesse che stavano all'esterno, erano complici, lo sapevo. Una volta, a mezzanotte, mentre giravo a destra e a sinistra la testa sul cuscino, a un tratto aprii gli occhi e vidi un'ombra nera curva sopra di me. «Chi è?», chiesi spaventato. Era mia sorella. Mandò un lamento doloroso e disse che le pietre ci avevano bloccato qualunque via d'uscita. Trovai un argomento per consolarla: le dissi che se ci fossimo considerati noi stessi delle pietre, se avessimo atteso come loro, se ci fossimo spostati come loro, saremmo riusciti a sopravvivere. Forse saremmo perfino stati felici. (p. 51)

Can Xue, ormai voce affermatissima nel mondo della letteratura, ha trovato in Utopia Editore la sua casa: le sue opere sono in corso di pubblicazione, come già i precedenti successi La strada di fango giallo (recensito qui), attualmente sold out sul sito, e Dialoghi in cielo.  
Già finalista nel 2019 al Neustadt Prize, e nel 2019 e nel 2021 candidata all’International Booker Prize, Can Xue non è la "solita" autrice cinese politica, nel senso che preferisce parlare di ciò che riguarda il suo paese in maniera onirica, surreale (davvero surreale), fantastica se vogliamo, ma non alla Marquez, alla maniera dei sudamericani o dei giapponesi come Haruki Murakami. Profondamente cinese, e con questo voglio dire "lontana".

Lontana dal nostro modo di fare letteratura, lontana dai nostri canoni, finalmente aria fresca, frizzante, qualcosa che spazza via ogni convinzione e regola, una via per la scrittura che non ha barriere. L'autrice si inserisce in quel nuovo filone letterario che in Cina è conosciuto come xin shiqi wenxue, ovvero "letteratura della nuova ondata" o "del nuovo periodo", quindi qualcosa che ha a che fare col contemporaneo.

Can Xue non costruisce mondi: costruisce fumo. Il titolo di questa nuova raccolta di racconti ne è un indizio. Nei racconti non ci sono vere e proprie trame, ma scheletri, ossa di trame: pochi personaggi, ambientazioni più o meno coerenti tra loro – solitamente città liminali o borderline, oppure una natura vagamente corrotta, minacciosa, con condizioni meteorologiche quasi sempre avverse o extra-ordinarie – e il più lo fa l'inquietudine.

«Chi?», sussulto.

«Uno con un cappello di feltro nero. Si intrufola da noi ogni sera a mezzanotte, dice che cerca un compagno per andare a fare un'indagine. Ieri notte non gli ho aperto la porta e lui è rimasto tutto il tempo fuori a bussare. Credevo l'avessi sentito».

«Che indagine vuole fare?», domando incuriosito.

«Non lo so. Me lo ha detto, ma non ho avuto la pazienza di ascoltare. La gente disoccupata come lui ha mille interessi, soprattutto in una città desolata come la nostra».

A un certo punto, come se gli fosse venuto in mente qualcosa, Tang si alza e rientra a casa sua. Sentendolo camminare in corridoio e trascinare i piedi, ho un sinistro presagio. Chi è l'uomo di cui parla? Uno dei fortunati che bevono vino rosso accanto all'enorme stufa? Tang sembra conoscerlo. Stanotte devo stare all'erta e decidere come comportarmi se bussa alla mia porta. (p. 101)

I racconti sono collegati tra loro non in senso tradizionale, cioè con personaggi che citano personaggi o location dai nomi familiari, ma sono una serie di storie infilate come perle su un unico filo, apparentemente slegate. In realtà sono tutte accomunate dalla fumosità, da una struttura che scivola tra le mani: una scrittura materiale, fatta di fango, pietre, tempeste, pioggia, animali e insetti strani, forse più umani di noi, e una Madre Natura che decide ogni cosa, anche di sovvertire le sue stesse regole.

Una volta ho sentito dire che leggere Can Xue è come guardare una Polaroid che schiarisce: all'inizio è tutto confuso, solo dopo qualcosa viene rivelato. E non è nemmeno detto che sia così. Se si ha la pazienza di non arrendersi ai primi scogli iniziali, il quadro si completa col tempo, gli spazi si riempiono, ma mai del tutto. Cè sempre qualcosa di inafferrabile nei racconti di Can Xue, e non so se questo sia dovuto al fatto che è un'autrice cinese o semplicemente un'autrice con una voce unica e peculiare. 

I suoi personaggi sono sempre pacati, come arresi; gli animali non sono solo animali; il cielo nasconde segreti; la natura fa e disfa a suo piacimento, come anche nella realtà, ma qui nei suoi racconti è tutto portato all'eccesso. Ci sono frammentazione, incertezza, irresolutezza. 

Ma, sorpresa della sorprese, più si va avanti più il libro, invece di accorciarsi, si allunga: sembra non finire mai. Forse è perché in ogni storia Can Xue cerca di tirare fuori il magico e il surreale dal quotidiano: il suo sforzo lo sentiamo tutto, la sua normalizzazione dello straordinario. Non è facile circoscrivere quello che non riusciamo a capire o nemmeno a vedere nei limiti del vero: qui sta forse tutta la bravura dell'autrice.

La notte dopo incontrò di nuovo l'orecchio. Stavolta non uno solo, ma tre, che però erano identici, forse tre immagini di un orecchio solo. Guardando a terra scoprì che il pavimento era pieno di lumache. A quel punto della notte, i grilli all'esterno e le rane nello stagno mandavano richiami desolati, indifferenti.

Zhao sospirò e decise di trasferirsi il giorno dopo in uno dei palazzi del condominio di fronte. Davanti casa aveva piantato delle rose che erano ora in piena fioritura e il cui profumo si diffondeva all'interno dell'abitazione, togliendogli quasi il respiro. In vita sua non aveva mai visto una pianta di rose produrre così tanti fiori, chissà di che specie era. Osservandosi attentamente intorno, scoprì di essere diventato un bersaglio, tutti quegli esserini miravano a lui, se fosse stato un po' più debole non avrebbe avuto scampo. In casa non c'era vento, ma le tre orecchie sulla zanzariera oscillavano all'unisono, come volessero dirgli:

«C'è poco da scherzare in un posto come Xishuangbanna». (p. 159)

Consiglio La città del fumo a chi ama le letture oniriche, ma di quel genere di sogni che sembrano così veri eppure anche così strani che quando ci si sveglia ci si sente come sotto un treno e si rimane imbambolati a pensarci tutto il giorno. Senza trovare soluzione. 

Deborah D'Addetta