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Il "lavoro per il lavoro" e la strana parabola dei "ghost workers", "Robledo" di Daniele Zito

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Robledo
di Daniele Zito
Fazi, 2017

pp. 262
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Negli ultimi decenni, nell’ambito critico italiano, si è molto parlato di un ritorno alla realtà e all’impegno letterario da parte degli scrittori contemporanei. Le etichette per definire questa nuova tendenza si sono accavallate in rapida successione, dal “realismo liquido al “neo-neorealismo”, dal “New Italian Realism” al “realismo ipermoderno”. Nelle formulazioni più agguerrite e organiche i critici hanno messo in risalto un discostamento dall’autoreferenzialità e dalla giocosità postmoderne da parte degli autori, i quali sembrano ormai preferire la ricerca di tonalità serie e racconti veritieri. In generale, a detta di molti, i segni di questo passaggio sono rintracciabili in testi ibridi che, sulla scia di Gomorra, mettono insieme fiction narrativa e generi di non-fiction come ad esempio il reportage giornalistico, il diario, il saggio (per i quali i Wu Ming avevano coniato la definizione di “oggetti narrativi non identificati”). 

Tali categorizzazioni però hanno sempre lasciato qualche perplessità e alcuni nodi irrisolti – molti dei quali hanno sempre insospettito il sottoscritto. La perentorietà con cui si è cercato di riporre in soffitta l’esperienza postmoderna (peraltro in Italia sempre in qualche modo periferica) non convince del tutto. Come dimostrano alcuni testi recenti, strategie narrative postmoderne e impegno politico nei confronti del reale convivono in perfetto equilibrio. Mi riferisco in particolare a un libro pubblicato di anno fa, Robledo di Daniele Zito (Fazi nel 2017), probabilmente mai onorato dell’attenzione che meritava. Ci permettiamo qui di rendergli maggiore giustizia anche se con colpevole in ritardo (colpa da attribuire a chi scrive e non certo alla redazione del blog, dove una menzione era già peraltro apparsa).

Robledo è senza dubbio un libro che non si presta alle facili definizioni. Non somiglia a un romanzo e di sicuro non appartiene alla categoria della saggistica. Si tratta dell'edizione critica dell’opera controversa del giornalista Michele Robledo. Formalmente dunque, il testo mette insieme i diari personali, i taccuini di lavoro, stralci delle sue interviste e alcune delle reazioni raccolte in seguito alla pubblicazione dei suoi reportage, per consentire al pubblico di farsi un’idea sul lavoro importantissimo di questo discusso reporter.

Robledo, infatti, è colui che per primo ha scoperto l’esistenza dell’organizzazione segreta chiamata LPL (Lavoro per il Lavoro). Gruppi di uomini e donne che, stanchi di condizioni di vita precarie o sopraffatti dalla vita, hanno deciso in anni recenti di intraprendere un percorso di liberazione esistenziale: essi si imbucano clandestinamente in ambienti lavorativi di varia natura e lì, dopo aver offerto prestazioni impeccabili, estenuanti e rigorosamente non retribuite, si tolgono la vita non appena finiti i risparmi. Questi atti tragici sono gli stessi che spesso vengono fugacemente citati nei nostri telegiornali e distrattamente etichettati come “morti sul lavoro”. Robledo è l’unico che ha saputo interpretare correttamente gli indizi e ha gettato luce sul fenomeno dei "ghost workers", rivelando i retroscena di queste tragiche parabole esistenziali. Il libro di Zito non manca di evidenziare i risvolti anche personali che questa ricerca ha avuto nella vita del suo autore. Il che era un atto dovuto, ancor più se si tiene conto dell’accanimento con cui i detrattori continuano a mettere in dubbio l’autenticità delle ricostruzioni di Robledo. Il governo lo ha persino accusato di essere il fondatore dell’LPL e il principale responsabile delle sue azioni, criminalizzandone di fatto la figura e trattando l’organizzazione alla stessa guisa delle cellule terroristiche degli anni settanta.

Pur sapendo che l’Italia conta più di due morti sul lavoro al giorno (solo tra quelli accertati) e che le condizioni del precariato sono peggiorate di anno in anno, nessuno di noi aveva mai sentito parlare di LPL prima del libro di Zito. Cosa che sarebbe assurda, se non fosse che – e credo sia ben chiaro anche a chi legge queste righe – Robledo non esiste. Come non esiste l’oggetto delle sue indagini. Egli è un’invenzione di Daniele Zito. 

Questo aspetto è chiaro a chi sfoglia il libro sin dalle dichiarazioni iniziali del presunto curatore. Eppure lo scrittore si diverte a giocare con i suoi lettori, mischiando le carte e orchestrando la messinscena in modo mirabilmente ironico. Ma via via che procede la lettura il sorriso si avvicenda a una amarezza interna. Sebbene il racconto sia costellato di espedienti divertenti e astuti e la costruzione fittizia sia ben evidente è difficile non provare empatia con i presunti membri dell’LPL. Nelle loro vite spezzate o semplicemente disilluse è difficile non individuare in controluce, a volte, la storia di qualcuno di cui abbiamo sentito parlare, o di qualcuno che conosciamo, o persino di noi stessi. In quel sistema predatorio che ha decostruito il valore del lavoro, dissociandolo di fatto dalla vita, riconosciamo l’ambiente in cui viviamo quotidianamente. E ci passa per la testa, come un lampo, che LPL non esiste ma potrebbe esistere; che ultimamente in tanti, con una scusa o con un’altra, abbiamo lavorato in Italia "tanto per lavorare".
Con questo libro giocosissimo e irriverente, Zito – che mai commette l’errore di prendersi troppo sul serio – si prende la briga di sbatterci in faccia il fatto che il re non indossa affatto un leggerissimo abito di pregiatissima stoffa, ma che è nudo come verme. Il sistema capitalista e iperliberista sembra ormai intento ad erodersi dall’interno. In quest’ottica, l’idea dei membri dell’LPL di ricercare la liberazione nel totale sovvertimento della logica del profitto, suona come un gesto meno folle e quasi rivoluzionario – e qui Zito sembra molto attingere dalle brillanti tesi espresse da Marta Fana in Non è lavoro, è sfruttamento o Basta salari da fame! (entrambi editi da Laterza).

Con tanto di postmoderno gusto per l’autoironia, la mata-narrativa e la mise en abyme, Daniele Zito ha scritto un libro dannamente politico. E lo ha fatto senza alcuna pretesa di realismo. Il punto di forza di Robledo, a parere di chi scrive, sta proprio nella capacità dell’autore di mischiare realtà e finzione, verità e artificio, dati e cospirazioni, lasciando apertamente al lettore il compito di produrre una sua interpretazione. Sono i fatti che generano il racconto di se stessi, o è il racconto dei fatti a plasmare la nostra percezione del mondo? È questa la domanda più schiacciante che Zito pone ai suoi lettori. E nel mondo della post-verità essa non suona affatto come una questione da poco.

Emiliano S. Zappalà