in

Ritratto di un'anima in subbuglio: «E questo cuore non mente», l'ultimo, struggente romanzo di Levante

- -




E questo cuore non mente
di Levante
Rizzoli, 8 giugno 2021

pp. 228
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Sono passati ormai cinque anni da Se non ti vedo non esisti, libro d’esordio di Claudia Lagona, in arte Levante; anni in cui la celebre cantautrice siciliana ha dato alle stampe anche un altro romanzo, Questa è l’ultima volta che ti dimentico, sempre edito da Rizzoli. La prima opera raccontava la storia di Anita, una giovane redattrice di moda, bella e di successo, la quale, però, non riesce a fare pace con l’amore: un matrimonio fallito alle spalle e qualche uomo lungo la sua strada, ognuno di essi, tuttavia, sbagliato per un diverso motivo. È il 2021 quando Levante decide che la sua Anita ha ancora qualcosa da dire e tocca a lei darle voce, di nuovo. E questo cuore non mente è una lunga confessione che la protagonista fa al suo psicoanalista, dopo essere stata ferita, ancora una volta, dall’ennesimo uomo, Marco. Il racconto si alterna alla narrazione dei ricordi di Anita, riportati con struggente nostalgia.

«Non te la prendi con qualcuno perché non ti ama più, ma per il modo in cui smette di amarti. […] Il modo in cui ha smesso di amarmi è stato lento. Millimetro dopo millimetro, ha allontanato da e ogni sua parte, lasciando per ultimo il corpo. Il suo corpo mi cercava, specie verso sera, ma se bussava nella notte trovava il mio sonno. E così, centimetro dopo centimetro, silenziosamente, ho perso anche i suoi desideri. Non so di preciso quand’è che ha smesso di volermi bene come prima, ma so con certezza che io l’ho aiutato a non volermene più. Ci siamo ritrovati in una sorta di circolo vizioso in cui, nella stanchezza, l’unica cosa di noi che riuscivamo a far incontrare era l’orgoglio – una prova di forza da cui io uscivo sempre perdente.» (p. 16)

Pagina dopo pagina, si delinea una duplice traiettoria, in profondità, nel suo inconscio, e a ritroso, in direzione del suo passato: c’è infatti una lunga ombra scura che si staglia sul presente di Anita, ovvero la scomparsa di suo padre. Una dipartita mai del tutto risolta, che ancora oggi produce una tara non indifferente nelle sue relazioni con l’altro sesso. Il percorso che ne esce è una intensa e a tratti dolorosa disamina interiore che però non risulta pesante né angosciosa, semmai gentile e profonda.  Pian piano, col procedere delle sedute, scopriamo che Anita è una donna con tante fragilità e insicurezze, che tende a stimarsi sempre troppo poco e ad essere un giudice molto severo nei confronti di sé stessa, capace di mettere l’uomo che le sta accanto su un piano troppo in alto rispetto al suo.

«Io non so più quale sia il mio problema, forse non l’ho mai saputo. A volte mi viene da imputare tutti i miei disastri a quella frettolosa dipartita paterna che mi ha sempre fatto sentire incompleta, ma poi penso di non meritarmi una giustificazione e subito insabbio le prove, per potermi dire che gli sbagli che faccio non dipendono che dal mio ingranaggio imperfetto» (p. 16)

E questo cuore non mente è un libro che ha tanti pregi, uno su tutti la capacità di ritrarre la protagonista con grande empatia: i colori che Levante utilizza per descriverla sono tenui e morbidi e la profonda analisi che ne deriva è intima e delicata, quasi come una carezza che l’autrice regala al suo personaggio. È molto particolare, infatti, il modo in cui Levante è riuscita a ritrarre la protagonista, rendendone tutto il rovello psicologico senza ricorrere ad un facile pietismo. La figura che ne esce è complessa e articolata, addolorata, ma fermamente consapevole di dover scavare nel suo passato per riuscire a trovare una risposta al suo presente. Una figura femminile, quindi, apparentemente debole ma profondamente forte, capace di chiedere aiuto e di affrontare un percorso in cui le verrà richiesto di mettere a nudo le sue fragilità e di affrontarle. Tutto questo percorso viene raccontato dall’autrice con una profonda capacità empatica, con una grande capacità di ascoltare il suo personaggio.

«Arrivava da una storia lunghissima, iniziata quando era un giovane universitario e durata tutto il tempo di diventare un uomo. Quelle sono storie dell’orrore, fanno paura perché sai che chiunque arriverà dopo non sarà mai minimamente paragonabile alla potenza di un amore così giovane, fresco, entusiasmante, fatto di sole scoperte. Figurarsi quando quel chiunque sei tu.» (p. 26)

Altrettanto particolare risulta la stesura, che sembra risentire della sua abitudine alla scrittura musicale, e chi è un’estimatrice di Levante potrà trovare anche qui una forte eco della sua voce: frasi molto lunghe, con subordinate ad incastro, che occupano talvolta anche interi paragrafi; immagini concrete, metafore, perifrasi. Ci si mette, forse, qualche pagina ad abituarsi, ma dopo poco si entra nello stile dell’autrice e si comprende quanto questo si accompagni in maniera funzionale all’approfondimento psicologico di cui sopra.

«Avevo così poco appetito, negli ultimi tempi, che mi parve miracolosa la voglia di addentare un panino. La musica che usciva dalle casse di una consolle lontana da me era un cuscino su cui appoggiare il cuore, mentre in coda mi fissavo i sandaletti color corda e le gambe scure di sole, ché l’estate era quasi alla fine ma mi si appiccicava addosso da sempre e l’inverno non sapeva cambiarmi la pelle, mi cambiava subdolamente dentro.» (p. 10)

«Marco era fatto così, non aveva mai paura a mostrarmi lo sguardo più duro di sé. Un attimo ero con lui in un lungo corridoio pieno di luce e l’attimo successivo ero da sola in un angusto vicolo cieco.» (p. 18)

Tale profondità di analisi trova piena espressione, com’è immaginabile, nel racconto delle sedute, anche se talvolta – specie nella parte in cui lo psicanalista restituisce ad Anita i risultati del test di personalità – queste parentesi cadono in un resoconto forse un po’ troppo preciso e dettagliato, con la conseguente creazione di una sezione forse un po’ troppo specifica, caratterizzata anche da un linguaggio settoriale e scientifico, che, condotta in maniera così tanto analitica, nonostante si capisca che tale parentesi sia funzionale alla resa della condizione emotiva di Anita, può forse appesantire un pochino il discorso e rendere faticosa la lettura di quel brano.

Al di là di questo singolo dettaglio, comunque, si intravede un’ottima base da cui partire per la costruzione di un romanzo, ovvero il possesso di una voce unica, caratterizzata da una specificità autoriale che la distingue dal resto della produzione romanzesca in circolazione.

Per concludere, quindi, possiamo dire con convinzione che E questo cuore non mente è un libro bello, godibile e al contempo molto profondo, in taluni punti davvero struggente, in cui lo scandagliamento di un’anima in crisi, quella di Anita, è condotto con impegno e profondità e portato avanti con precisione quasi chirurgica. Quello che colpisce, però, infine, è la mancanza di uno schema narrativo totalmente tradizionale, in cui ad una prima parte in cui vengono messi su piatto tutti gli elementi della narrazione, segue una seconda in cui è possibile identificare il raggiungimento dell’apice narrativo e il suo successivo scioglimento. Tutto ciò, nel romanzo in oggetto, manca, ma, paradossalmente, non ne costituisce un difetto strutturale di grande peso: sembra, infatti, che sia proprio l’intenzione di Levante quella di creare una narrazione piana, che non abbia un colpo di scena o lo sbrogliarsi di una matassa, ma rappresenti una lunga e lenta discesa nell’inconscio della protagonista, verso la sua scatola nera delle emozioni, al fine di rappresentare il disegno di risalita di un’anima in crisi, pronta a ricominciare.


Valentina Zinnà