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La bellezza di quello che resta dei margini: “Trash” di Martino Costa mostra la vita che pulsa nelle esistenze «eccentriche» del nostro sistema

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Trash
di Martino Costa
Pessime idee, aprile 2021

pp. 284
€ 17 (cartaceo)


Provate ad immaginare che, all’improvviso, nessuno si occupi più dei nostri rifiuti. Nessuno a raccogliergli, a smistarli, a smaltirli. Nessun servizio di raccolta porta a porta, nessuna cura nelle campane della differenziata, nessuna attenzione alla salubrità delle strade. Immaginate di dover accumulare la spazzatura fuori dalla porta di casa vostra e di dover spalmarvi delle creme balsamiche al mentolo sotto il naso mentre camminate per strada per non sentire il tanfo generato dall’immondizia in putrefazione. Tornate a casa, serrate porte e serrande per evitare che il puzzo penetri negli spazi domestici e immaginate uno sciopero della nettezza urbana, nella provincia veneta indefinita di O. Uno sciopero indetto da lavoratori stanchi, sfruttati, denigrati, sottopagati e maltrattati. Uno sciopero che vuole affrontare tematiche quali «Progetto mondialista. Neo-schiavismo. Capitalismo colonialista. Pratiche di resistenza. Diritti inalienabili. Merce umana di scambio» (p. 203). Uno sciopero in cui i lavoratori schiavizzati decidono, smettendo di raccogliere i rifiuti, di farla pagare ai Patrónes, all’amministrazione comunale, alle multinazionali, alle gare d’appalto e all’imprenditoria privata che da troppo tempo si approfittano della loro vulnerabilità sociale e della loro instabilità economica di soggetti relegati ai margini di una città industriale e degradata. Benvenuti all’interno della trama di Trash di Martino Costa, libro finalista nel 2020 della 33 ̊edizione del premio letterario per inediti Italo Calvino e pubblicato questo aprile da Pessime idee.

Martino Costa crea un romanzo sociale e militante in cui le voci corali e le storie di vita della comunità periferica di un’anonima città diventano, a tutti gli effetti, i protagonisti di questo romanzo “comunitario” che vede l’industria dei rifiuti - e la sua critica – l’asse portante della trama. La macro-storia dello sciopero dei lavoratori fa da cornice a tutte le micro-storie che caratterizzano la narrazione e che vanno a “dare voce” a tutti quei soggetti marginalizzati, quindi privati di parola: Sergio Maestrale - figura di riferimento nel sindacato e nel successivo sciopero indetto - cerca di fare i conti con il proprio passato da eroinomane e di crearsi un futuro migliore attraverso la lotta per il riconoscimento della dignità umana dei lavoratori di “grado zero”, costantemente sfruttati dal sistema; nella lotta sindacale ci sono anche Raúl, padre di famiglia colombiano e alcolizzato che crede ancora nella revolución del pueblo, e Santiago, suo figlio, che a sedici anni si spezza le ossa come manovale per trasportare pesanti sacchi di cemento, mentre la madre Paulina, donna delle pulizia in una fabbrica di dolciumi, viene sedotta e ingannata dal suo datore di lavoro; c’è poi Bella, una donna nigeriana costretta alla prostituzione per provvedere al mantenimento della sua adorata figlia, e Alina, ballerina colombina innamorata di Santiago e che si aggira tra casquè e piroette per la città sommersa dai rifiuti. Alle loro storie si aggiungono quelle dei cittadini di serie B, dei figli di seconda generazione dei migranti, che «dei padri ereditavano la miseria e lo stigma, non la nazionalità né tantomeno la lingua» (p. 33), delle donne di servizio a nero, degli scaricatori ai mercati ortofrutticoli, delle badanti, dei manovali di ultimo livello, di disoccupati, sbandati, ladruncoli, piccoli criminali, perdigiorno, tossici, depressi e di tutte quelle altre categorie umane ricondotte ai bassifondi della piramide sociale e considerati come reietti, al pari dei rifiuti che, ogni giorno, questi gruppi sociali devono smaltire per tenere pulito il mondo delle élite che li sfruttano.

Ma chi di rifiuto ferisce, di rifiuto perisce. Lo sciopero della nettezza urbana costringe il resto della società a confrontarsi con gli scarti che questa stessa società genera, e non si tratta solo di resti fisici prodotti dal consumo compulsivo e che ora marciscono sotto i davanzali del centro, ma anche di resti umani di quei gruppi sociali da sempre considerati invisibili, silenti, oscuri, quindi non degni di parola e rappresentanza. In questo senso, Trash è un romanzo sull’alterità prodotta dal nostro sistema contemporaneo. Gli “altri” sono le scorie fisiche originate dal nostra società consumistica; gli “altri” sono i rifiuti umani messi ai margini dalla società; gli “altri” arrivano addirittura ad essere intere culture ed etnie stigmatizzate dal nostro sistema. La grandezza del romanzo sta nell’ascoltare questi “altri” e nel frugare all’interno delle loro vite per osservare tutta l’umana bellezza che in esse si cela. In questo senso, il romanzo non utilizza l’immondizia solo nel senso deteriore del termine, ma mostra come all’interno di questi “rifiuti” esista un intero mondo marginale e periferico che ha un suo sistema di valori, che lotta costantemente per vedersi riconosciuta la dignità umana di stare al mondo e che nasconde all’interno delle dinamiche interpersonali e comunitarie bellezza, ingenuità, innocenza e tenerezza, al pari di ogni essere vivente. Attraverso i rifiuti periferici, Martino Costa ci dimostra che rovistare dentro le storie delle vite “eccentriche” (nel senso filologico del termine) è «in fondo un atto d’amore» (p. 77):
La tenerezza degli esseri umani, la sconfitta dell’individuo che si scioglie in quella sociale, un farsi calore a suon di cazzotti, le rughe e i capelli sfatti, il bianchino al bar, la schiena spezzata dalla giornata in cantiere, la puttana di colore col culo grosso come un frigorifero che sorride al cliente. (p. 77)
In un nordest dimenticato da Dio, la bellezza della natura veneta viene contaminata dalla crudezza della macchina industriale – mostro meccanico che ingurgita, fagocita e tritura indifferentemente oggetti e persone –; al degrado ambientale si accompagna il degrado ontologico dei personaggi che rasentano il “grado zero” dell’esistenza, eguagliando la loro vita a quella del mondo animale e organico che li circonda, come una sorta di metamorfosi che porta uomini e donne a condividere lo stesso processo vitale di cani abbandonati, tartarughe arenate, colibrì storti, gabbiani famelici, elefanti silenziosi, formiche laboriose, animaletti insoddisfatti, carcasse di bestie, ectoplasmi, piante malformate, fiocchi di neve sciolti, deboli onde marine e venti flebili provenienti da est. Attraverso questa simbiosi con un mondo quasi primordiale, la marginalità dei protagonisti diventa quindi una metafora e un dispositivo letterario che permette a Martino Costa di affrontare il tema della precarietà dell’esistenza, segnata dal corrodersi delle cose, delle relazioni, delle passioni e dei sentimenti nella vita di tutti i giorni della periferia. Maestrale si presenta al lettore come una sorta di indovino che legge gli astragali nei rifiuti, facendo vedere che il degradarsi delle cose è estremamente legato allo scorrere della nostra vita. Quello che buttiamo tra i rifiuti, in realtà, sono pezzi di noi:
Ma tutto ciò non basta a ridar la vista a chi non sa cogliere la bellezza di questo lavoro. Prendere tra le mani le foto incorniciate e buttate di un amore che non c’è più; un anello di fidanzamento gettato con rabbia; un mazzo di fiori ancora intonso che qualcuna ha rifiutato con sdegno. Sento l’odore di appuntamenti mancati, di anni passati in cavalleria. Ma c’è anche tutto lo slancio dei preparativi per una prossima vita. Le bozze di progetti, le pagine accartocciate di qualche scrittore in erba, gli scarabocchi di un bambino ai margini delle pagine di un quotidiano. C’è tutto il nostro passato, e gli abbozzi del futuro. (pp. 262-263)
Quello che Trash, attraverso il coro di voci che gli dà forma, vuole trasmettere al pubblico è che, in realtà, la distinzione binaria tra centro e periferia esiste solo a livello ideologico; viceversa, a livello fisico queste due realtà partono dalla stessa materia, dagli stessi spazi interstiziali in cui si muovono soggetti identitari che, sotto la pelle, sono sangue dello stesso sangue, fatti della stessa carne: persone umane. Più che una storia di disgiunzione e separazione tra centro e margini, Trash racconta il tentativo della periferia di farsi riconoscere come luogo in cui le vite umane “eccentriche” valgono tanto quanto quelle poste al centro del nostro sistema. In fondo, «se si è fatti della stessa pasta – e su questo non c’è dubbio – non ci sarà più l’alto e il basso, il centro e la periferia, ma solo due storie che si incontrano e, finalmente, si riconoscono.» (p. 264)

Nicola Biasio