in

#ScrittoriInAscolto - Rimanere in piedi quando la vita si sgretola: Enrico Brizzi ci racconta la sua "Primavera perfetta"

- -
Enrico Brizzi copertina La primavera perfetta




La primavera perfetta
di Enrico Brizzi
Ed. HarperCollins Italia, 2021

pp. 336 
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebbok)


La primavera è una stagione carica di significati reconditi, celebra quel momento dell’anno in cui luce e oscurità sono in perfetto equilibrio, indica l’inizio, generalmente in senso positivo, della vita e di qualsiasi nuova avventura, spesso in senso sportivo.

Enrico Brizzi, classe ’74, ha fatto proprio della primavera il suo cavallo trionfante, esordendo non ancora ventenne con il libro “Jack frusciante è uscito dal gruppo”, un vero e proprio caso letterario tradotto in ventiquattro paesi, portato sul grande schermo nella sceneggiatura co-curata dall’autore e dalla regista Enza Negroni, nel film dal titolo omonimo nel 1996. Brizzi si era distinto già ai tempi della scuola, a Bologna, dove tra i professori spiccava Umberto Eco. Negli anni, la sua penna ha conquistato un prezioso bottino di premi e riconoscimenti letterari, senza subire battute d’arresto, nemmeno durante la pandemia in corso. Copre infatti un arco di circa due anni la gestazione del suo ultimo libro, La primavera perfetta, un’opera presentata come testo della maturità letteraria dell’autore, che dedica proprio alla primavera un inno di resilienza, portando all’attenzione del pubblico una storia di caduta e rinascita personale.
Foto courtesy di Sara Vago © (per gentile concessione della casa editrice)

Pochi giorni fa, abbiamo avuto il grande piacere di partecipare a un incontro organizzato da HarperCollins con Enrico Brizzi e altri giornalisti e blogger. Durante la presentazione di La primavera perfetta, l’autore ha gentilmente risposto alle domande degli intervenuti, approfondendo i temi centrali del libro e i suoi personaggi. Luca Fanti, il protagonista, si ispira alla vicenda personale di un senzatetto, incontrato casualmente anni addietro in Stazione Centrale. 
“Un giorno stavo per prendere un treno per Milano e arrivò un signore, che umilmente mi chiese se avevo qualche moneta da dargli: perché, mi disse, i suoi errori personali e un divorzio si erano trasformati in un disastro completo”.
Brizzi intrattiene una piacevole conversazione con quell’uomo, cercando di comprendere la sua storia e i motivi per cui, purtroppo, si ritrova costretto a dormire sui treni e a vagare senza fissa dimora. Ne emerge lo spaccato di un vissuto travagliato, una dolorosa separazione alle spalle, alimenti da pagare, la perdita del lavoro, nessun aiuto economico e la caduta, inevitabile, nella povertà. L’autore si pone in ascolto e riflette sulla condizione del vissuto a lui familiare, all’esperienza di tanti amici coetanei divorziati, scavando col pensiero per individuare quali caratteristiche personali concorrono a determinare l’inesorabile disfatta o la capacità di rialzarsi in ciascun individuo. 
“Anch’io mi stavo separando e quando hai un problema ti senti il più disgraziato del mondo. Poi ho capito che, per quanto possa essere stata traumatica la tua separazione, per altri la stessa esperienza è una tragedia vera.”
Luca Fanti è un uomo che di fragilità ne ha parecchie, ma è anche un personaggio pieno di risorse umane e capacità professionali. La vicenda narrata ruota intorno alle delicate dinamiche dei suoi rapporti personali, inizialmente specchio del suo successo e in seguito la ragione di circensi operazioni, attuate nel tentativo di salvare il salvabile e rimanere in asse come un funambolo, mentre la vita intorno si sgretola. Proprio a questa immagine è dedicata la copertina del libro, che reca in sé una filosofica sintesi dell’esistenza umana, l’uomo che cammina sospeso lungo il filo di una libertà, che si affaccia sul baratro di un futuro incerto, mentre intorno il mondo ci abbraccia con la sua dirompente e rischiosa bellezza.
“E poi arrivano senza preavviso tempeste capaci di squarciare le nostre sicurezze; ciò che ritenevamo eterno finisce in brandelli, e attraverso quegli strappi la sorte si affaccia a mostrare il suo volto.”
Brizzi infrange l’omertoso silenzio stereotipato, per il quale ancora oggi, come direbbero i The Cure, si pensa che i “Boys don’t cry”, ossia che l’uomo debba essere un elemento forte, coriaceo, una torre d’avorio senza crepe. Luca è un manager, che proprio all’interno dei legami familiari ha trovato il successo personale e professionale, ha una splendida moglie, dei figli e lavora con il fratello Olli (come Oliver Hutton, ndr), ciclista affermato. Il ciclismo, come ci racconta lo stesso Brizzi, non solo è una sua grandissima passione, ma è anche metafora di vita, più volte affrontata nei suoi libri, a partire da Alex, che in Jack Frusciante pedalava sui colli bolognesi, fino al recente Buone notizie dal Vecchio Mondo Viaggio a due ruote lungo il DanubioIn piedi sui pedali.
“Il rapporto con il fratello è basato sull’equilibrio asimmetrico per cui Olli, che va così forte in bici da guadagnare molti soldi, guadagnerà anche per lui. Tu, Luca, sarai il mio manager, che significa che prenderai una percentuale sul guadagno, ma devi darmi sicurezza, mi devi far stare tranquillo, come quando ero bambino e tu da fratellone di sette anni ci riuscivi con la tua sola presenza. Olli adora Luca, ma pretende che sia in grado di rassicurarlo anche nel momento in cui lui affronta il disastro completo e non è in grado di rassicurare nessuno. Quindi è un rapporto tra due fratelli, in cui il maggiore ha un carattere emozionale, pronto ad innamorarsi, va malissimo in bicicletta, perché il suo sogno è quello di tenere il naso tra le maglie rosa senza mai farsi notare e infatti avvia un’agenzia di comunicazione, che nel 2008 è messa a dura prova dalla crisi. Invece il minore, Olli, è un professionista nella specialità dello sprinter del ciclismo, che deve arrivare vivo alla fine dei 200km, perché la gara comincia sotto lo striscione, con la bandierina rossa “ultimo chilometro”. In altre parole, è l’uomo che vive senza pensare a nulla tranne ad arrivare al momento in cui è talmente specializzato che il suo lavoro farà la differenza in 1 minuto e mezzo o 30 secondi. Che si tratti di un manager che esce dall’ufficio alle 23:30 e non si ricorda di portare i fiori alla fidanzata nemmeno il giorno del compleanno, oppure di un ciclista che vive per la professione, poco cambia, si tratta ugualmente una persona che si annienta nel suo lavoro. Infatti non sarebbe mai stato possibile narrare questa storia attraverso la voce di Olli, perché lui quando si sveglia pensa a quanti Watt riuscirà a produrre quel giorno in sella, non è una compagnia così appassionante nemmeno per sé stesso. Lui pensa alle calorie del cibo che avrà nel piatto o al beverone proteico ed è un discorso che, tornando all’iniziale considerazione sulla copertina del libro, si sintetizza nell’idea di Olli, che i ciclisti siano educati per andare sempre dritto, sempre forte, mentre i bivi li mettono in difficoltà. Invece il fratello Luca vive di bivi, finché non inizia ad avere problemi seri. Quindi il ciclismo come metafora di lavoro totalizzante e, per altri versi, della vita tout-court. Da appassionato di ciclismo (che ha avuto la fortuna di collaborare dalla fase di editing in avanti con Carlo, che ama questo sport come me), ho dovuto tagliare almeno 300 pagine ideali del libro, in cui avrei narrato tutte le gare di ciclismo di Olli. Come sempre, come in tutti i libri, bisogna arrivare a un giusto compromesso.”
Non solo il ciclismo emerge da questa dichiarazione di Brizzi, ma vi troviamo un’altra tematica centrale, più volte descritta nei suoi libri, quella del conflitto, del superamento delle prove, che la vita ci pone di fronte, a cui l'autore ha dedicato molti romanzi. Luca è di origine bolognese, ma la sua vita adulta si svolge nella caotica città metropolitana di Milano, che l’autore conosce personalmente, in quanto 
“a Milano ci viveva una zia e io ero uno dei pochi bambini ad andarci in vacanza. Mi ha sempre colpito come da un lato fosse la città che ti faceva intravedere il futuro, ma dall’altro le persone fossero più sole. Bologna per Luca è un nido rispetto alla tempesta di Milano e la storia non può chiudersi se non tornando nel paradiso perduto.”
In un periodo in cui, giustamente, si pone spesso l’accento su argomenti di femminismo e femminicidio, raccontare una storia di fragilità dal punto di vista dell’esperienza maschile, è, a mio avviso, un gesto di ulteriore emancipazione sociale, che aggiunge un profondo valore al dibattito globale in corso. Sollecitato su questo punto, Brizzi ha affermato di essere un “narratore di storie”, che non ha finalità di attivismo sociale, ma il desiderio di parlare di un argomento di cui lui stesso ha trovato pochissima letteratura. In questo è racchiuso il mio personalissimo apprezzamento per un libro che esce dagli schemi, che usa la delicatezza e l’ironia per mettere in luce la fragilità dell’esistenza, tanto maschile quanto femminile, sottovoce e delicatamente, senza battaglie di genere, ma al contrario facendo dell’eguaglianza quell’elemento concreto che non ha bisogno di essere spiegato, quanto di essere semplicemente accettato. 

La primavera perfetta aiuta a guardare il mondo e le persone da una prospettiva diversa, con una profonda empatia per tutti i personaggi che animano la storia, soprattutto per i bambini di Luca, Gaia e Nic, la loro diversa capacità, in base all’età e natura, di comprendere e metabolizzare un evento come il divorzio dei genitori. Ho amato molto una piccola e semplicissima scena, in cui Luca si guadagna un posto sulla metropolitana, guarda il cellulare, pensa a una donna, Virna, a cosa sta facendo in quel momento. Un dettaglio in apparenza banale, dopo tante pagine ben più dense, ma trovo un pizzico di magia in quel pezzo, poiché Brizzi è riuscito in pochissime righe a comunicare tutta la leggerezza del cuore di chi ricomincia a sognare e, pertanto, a vivere. Quante volte abbiamo osservato persone sedute sul treno, che osservavano i loro telefonini e abbiamo pensato, erroneamente, che non sapessero godersi un attimo di pausa e silenzio… ?! Eppure quell’istante, forse per molti, rappresenta un’epifania del cuore.

Elena Arzani