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Guerra senza pace, violenza senza fine: il mondo nero di László Krasznahorkai

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Guerra e guerra
di László Krasznahorkai
Bompiani, 2020 

pp. 394
€ 20,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

 

Io non sono impazzito, gli occhi color pozzanghera di Korin di illuminarono per un attimo di un lampo minaccioso, ma vedo le cose con una tale chiarezza che è come se lo fossi. (p. 14) 

Dopo Satantango (del 1985, tradotto nel 2016), Melancolia della resistenza (1989/2018) e Il ritorno del barone Wenckheim (2016/2019), Bompiani porta in Italia il quarto (in verità, il settimo) romanzo di László Krasznahorkai, Guerra e guerra. Iniziato, come si può leggere nella “Introduzione a tutta la storia”, nel 1992, dopo vari rimaneggiamenti il romanzo è stato infine pubblicato in Ungheria soltanto nel 1999. Sette anni di gestazione per un romanzo il cui autore, non potendo immaginare «la sua fine […] nelle ultime pagine del libro» (p. 376), ha addirittura avuto bisogno di «una sua trasposizione nel mondo reale» (ibid.), come possiamo meglio scoprire nel seguente passaggio “Il viaggio di Mario Merz nella città di G. Korin”.

Come per gli altri suoi romanzi, anche Guerra e guerra ha marchiato a fuoco il tratto distintivo della scrittura dell’autore ungherese: torna, e con notevole fragore, quell’elemento fluviale – anzi direi: torrenziale – in grado di far tremare la lettura, di renderla faticosa, incerta, spaesante, a tratti folle.

L’autore stesso è così consapevole dello sforzo che richiede al lettore da lanciarsi quasi in una burla finale, quando nella “Postfazione” gli si rivolge con le parole «Mio caro, solitario, stanco e sensibile Lettore» (p. 393). Mentre nell’introduzione del Barone Wenckheim troviamo una sorta di malvagità nel voler avvisare il lettore di ciò a cui sta andando incontro, promettendogli che ciò che leggerà sarà violento, crudele, che non avrà mai un momento in cui potersi rilassare o sorridere, qui in Guerra e guerra troviamo piuttosto una specie di compassione: il lungo, lunghissimo viaggio di Korin fra Ungheria, New York e Schaffhausen, è anche il lungo, lunghissimo viaggio della gestazione di questo libro. E tutta questa difficoltà, questi anni spesi a scrivere un libro, a trasporlo nel reale, perché non dovrebbero essere condivisi dal lettore? Perché – si sarà chiesto Krasznahorkai – la mia fatica non dovrebbe essere anche la nostra?

Guerra e guerra conserva nel titolo il riassunto più preciso, più puntuale di tutto il romanzo. Quella che sembra quasi una citazione, una strizzata d’occhio al più famoso Guerra e pace di Tolstoj – ma senza gli elementi positivi della vittoria, della pace, dell’amore – è proprio la verità a cui arriva György Korin: una verità tanto lapalissiana e tragica da condurlo alle soglie della pazzia. È una verità semplice: in tutta la storia dell’umanità – che si tratti della Creta micenea o della Colonia del 1869, per non parla re di tutto il Novecento – non c’è mai stato un momento di pace. Il mondo per come lo conosciamo è costruito sulla guerra, su uno stato permanente di tensione e conflitto, nel quale è impossibile far vivere personaggi tanto puri e angelici come Kasser, Falke, Toot e Bengazza, i protagonisti del manoscritto rinvenuto da Korin nell’archivio in cui inizialmente lavora. Ne è la prova il loro costante ritrovarsi – e ritornare – in diverse fasi storiche, tutte apparentemente pacifiche e contrassegnate da una prosperità ritenuta invincibile; salvo poi, dopo poco tempo, percepire di nuovo la minaccia ineluttabile della guerra e della morte. Ogni volta questa sensazione di fine della storia si fa più concreta, più prorompente: persino l'attesa del ritorno di Colombo nel 1493, con tutte le aspettative del caso, ha il sapore amaro degli eventi nefasti che verranno.

Sia la trama di Korin che la sottotrama di Kasser e compagni sono caratterizzate dal perdurare della violenza. Anche i personaggi positivi nascondono segreti terribili, e i momenti di rilassamento – che comunque si contano sulle dita di una sola mano – sono solo l’incipit di una nuova tensione. Il libro inizia e finisce con questa tensione. Anzi, la fine del libro, come già anticipato, è solo l’inizio, lo sfociare della finzione letteraria nel mondo reale. Con un senso di ironia imprevisto da parte dell’autore, e che non fa che confermare la sua teoria, anche il bel gesto di “riconciliazione” fra letterario e reale – quello di cui possiamo leggere nei tre scritti a completamento del romanzo – è stato negli anni marchiato dall’oscenità della violenza. Una sorta di cerchio che, appena si chiude, è già pronto per riaprirsi e inglobare qualcos’altro.

Guerra e guerra è dunque un romanzo ostico e bellissimo, che richiede un tempo di lettura lungo e una grande concentrazione. Per approcciarvi, è necessario avere un momento di pace. Ne vale la pena.

 

David Valentini