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Ogni amore assoluto vuole il suo nutrimento: Honorine di Honoré de Balzac

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Honorine
di Honoré de Balzac
a cura di Pierluigi Pellini
traduzione di Francesco Monciatti
Sellerio editore, marzo 2019

pp. 246
€ 13,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

«I drammi della vita non sono nelle circostanze esteriori, sono nei sentimenti, si svolgono nel cuore o, se volete, in quell'ambito sterminato che dobbiamo definire il Mondo spirituale». (pp. 124-124)
A trarre le conclusioni è il barone Maurice de L’Hostal, personaggio e narratore di secondo grado del racconto lungo, o romanzo breve, di Honoré de Balzac, Honorine, scritto in soli tre giorni nel 1842, pubblicato a puntate su «La Presse» nel 1843, e parte dell’immensa raccolta di 137 lavori che costituiscono l’ineguagliabile capolavoro della Comédie Humaine (Commedia umana).
Un’opera enigmatica quella dello scrittore francese, dove non accade nulla perché tutto è già accaduto.
Questa è la storia del conte Octave e di sua moglie Honorine, una donna con l’onore nel nome ma di fatto disonorata dalle sue azioni adulterine e dal conseguente abbandono della sua confortevole casa e del suo nobile marito. Almeno, è così che il conte viene ritratto dal racconto di Maurice, il quale prende la parola quando il salotto alla moda di una rinomata villa genovese si inoltra tra le trame e i misteri dei tradimenti matrimoniali e l’adulterio. «Sto per raccontarvi una storia nella quale ho una parte, e dopo potremo discutere, poiché mi sembra puerile dissezionare un morto immaginario. Se volete farlo, prendete un cadavere reale» (p. 24). A parte l’uso della terminologia medico-scientifica amata particolarmente da Balzac in quanto scrittore realista e storico prima che romanziere, è chiaro che il cadavere reale in questione è Honorine.

Maurice dopo essersi laureato in giurisprudenza, per intercessione di uno zio parroco prende servizio come segretario presso il conte Octave, un importante uomo di Stato. Il giovane affascinato dalla personalità del suo protettore ne scruta i movimenti e le espressioni, e comprende fin da subito che uno strano dramma si cela nella grandezza apparente del politico. Tuttavia, il lettore attento sa che qualcosa di oscuro avvolge l’animo di Octave, poiché Balzac lascia indizi, come briciole di pane cadute dalla mani fameliche del commensale:
«Quando bussammo all'immenso portone di un edificio grande quanto il palazzo Carnavalet […] il colpo risuonò come in un deserto. […] Le balaustre delle gallerie superiori erano corrose. Al di là di una magnifica arcata, scorsi un secondo cortile laterale dove si trovavano le stanze di servizio, le cui porte marcivano. Un vecchio cocchiere stava lì a pulire una carrozza dall'aria vetusta». (p. 33)
Deserto, marcivano, vetusta: queste le parole per determinare la fortezza di Octave, che ormai è in procinto di disfarsi e arrendersi al tempo. Parole che evocano con forza il sentimento che logora la vita privata del conte il quale, da lunghi sette anni, aspetta il ritorno della sua amata Honorine, scappata per amore di un pittore, che dopo averla scoperta in attesa di un bambino, scompare per sempre. Ma il dolore della donna diviene inconsolabile quando dopo sette mesi dal parto il bambino muore. Octave di questo sa tutto, perché la spia da lontano, perché è l’amministratore segreto della sua vita sociale e finanziaria (persino la casa è pagata dall'uomo), perché tutte le persone che Honorine crede essere al suo servizio o amiche, in realtà sono assoldate dal marito. Insomma, la donna si illude, o almeno così pare, di essere arbitro del proprio destino e di riuscire a sostentarsi con le sole forze del suo lavoro – dipinge e costruisce fiori di carta – condizione parecchio inverosimile data la non piena libertà delle donne nella prima metà dell'ottocento. 
Ma il piano del conte trova la sua risoluzione in Maurice, che diviene protagonista di una messa in scena all'altezza di una riuscita pièce teatrale: diventare vicino della contessa Honorine e farsi passare per adepto delle monocolture, poiché la donna amava oltremodo la compagnia dei fiori. «Potete ben immaginare come la mia linea di condotta, fin nei minimi particolari, fosse tracciata dal conte, che impegnò tutte le proprie energie intellettuali a seguire i più piccoli eventi della tragicommedia che doveva rappresentarsi in rue Saint-Maur. […] Il conte si informava di tutto, dei pasti, delle occupazioni, dello stato d’animo, del menu del giorno dopo, dei fiori che la moglie aveva intenzione di riprodurre». (pp. 92-93)

Dunque, Honorine è prigioniera nella gabbia dorata del marito, che a seconda dei punti di vista può essere giudicato in più modi: nobile d’animo, innamorato, disperato, psicopatico, stalker. Ma l’obiettivo dell’uomo è chiaro: riavere la moglie sotto il proprio tetto coniugale. Tuttavia l’enigma s’infittisce sempre più poiché l’animo inquieto e addolorato del conte a volte sembra ardere di passione per la donna, e a volte sembra desiderarla come si può desiderare con devozione la comprensione del divino. Eppure a risultare ancor più enigmatico è il comportamento di Honorine, almeno per noi lettori del ventunesimo secolo. Quando la contessa viene informata della “protezione” del marito, dapprima scrive una lettera al suo finto vicino per spiegare i motivi del suo volontario isolamento e abbandono dello sposo: «Io non posso amare il conte. Dipende tutto da questo lo capite? Ogni volta che i miei occhi incontreranno i suoi, vi coglierò sempre la mia colpa, anche quando gli occhi di mio marito saranno pieni d’amore» (p. 139). Un tormento e un dubbio comprensibili, certo, è pur sempre un’adultera, come direbbero i più scettici. Ciononostante, la nostra protagonista – infine – cede alle suppliche del marito e ritorna ai doveri matrimoniali, proprio tutti i doveri matrimoniali, contrariamente all'energia angelica acclamata con poca credibilità dal conte nelle pagine precedenti, perfino con l’arrivo di un figlio. 
«Balzac forza i confini del verosimile contemporaneo, impone l’evidenza di una vicenda che contrasta con i canoni comportamentali ammessi dalla cultura dell’epoca. Contrariamente ai testi che esibiscono un'inverosimiglianza non motivata, Honorine moltiplica e confonde i livelli di motivazione: reclama perciò un’interpretazione aperta, si propone come esercizio di decostruzione del senso (p. 230)», afferma con giudizio Pierluigi Pellini nel commento in appendice del romanzo breve.

Il finale lo lascio ai lettori, che forse sfoglieranno confusi quelle belle pagine di carta Grifo vergata delle Cartiere di Fabriano per la collana «Il Divano», Sellerio editore. 
Lo lascio a coloro che avranno il coraggio di liberarsi dagli occhi sentenziosi del dogma e della morale. 

Questa è la storia di Octave e Honorine, la storia di intimi tormenti, dell’abbandono, del ripensamento, del ricongiungimento e della separazione eterna.





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