#IlSalotto - «La scrittura inizialmente mi ha sorpreso, poi mi ha travolto, come solo le grandi passioni sanno fare»: intervista a Filippo Venturi

Foto di Filippo Venturi per CriticaLetteraria.org
Avevamo lasciato Filippo Venturi un paio d'anni fa alle prese con i tortellini che - sia mai! - non devono toccare nemmeno una goccia di sugo - ché il loro posto è nel brodo - e lo ritroviamo con un altro mito culinario dell'Emilia: gli spaghetti alla bolognese. Tuttavia, se state pensando di trovarvi di fronte ad un semplice libro di cucina vi sbagliate di grosso: se acquistate il libro (e vi consigliamo di farlo!), infatti, sarete in men che non si dica catapultati in un'avventura investigativa degna della migliore penna, accompagnati da un costante desiderio di conoscere il finale della vicenda che vi porterà in breve tempo a terminare la lettura. Il nostro protagonista, infatti, è un oste che vorrebbe starsene tranquillo e cucinare per i clienti della sua osteria nel centro di Bologna, tuttavia per qualche motivo si trova sempre coinvolto in qualche caso da risolvere e che per varie coincidenze di volta in volta diverse incrociano il suo cammino.
Dopo aver recensito sia il precedente Il tortellino muore nel brodo, che l'ultimo, Gli spaghetti alla bolognese non esistono, abbiamo pensato di fargli qualche domanda a cui gentilmente si è prestato.

  1. Innanzitutto, grazie per aver accettato di prendere parte all’intervista. Cominciamo con una domanda introduttiva: sappiamo che nella vita gestisci un’osteria a Bologna, come ti sei avvicinato alla scrittura? E come sei arrivato in Mondadori?
È una domanda a cui non so ancora rispondere con lucidità. A volte penso sia stato casuale, una sorta di fatalità, perché nella vita le cose semplicemente accadono. Una decina di anni fa ho deciso di mettere nero su bianco dei racconti sulla mia infanzia/adolescenza negli anni Ottanta a Bologna e ne è uscito un libro, edito da Pendragon, che in città è andato molto bene. Mi sono talmente divertito che non mi sono fermato più. Il fatto è che io vivo sempre questa necessità di mettermi alla prova, soprattutto in campi che non sono i miei. O forse sono io che penso che non lo siano, perché alla fine tutto torna. Anche la ristorazione l’ho iniziata quasi per gioco, nel periodo post laurea in giurisprudenza: dopo aver portato a temine il mio lungo percorso di studi, ho mollato tutto dal giorno alla notte, proprio come il mio Zucchini, che di fare l’avvocato e “litigare” per vivere non ne voleva mezza. Invece poi, a freddo, mettendo in fila i pensieri, le sensazioni, ho capito che aprire una trattoria era un sogno di mia nonna, e l’ho fatto mio. La scrittura inizialmente mi ha sorpreso, poi mi ha travolto, come solo le grandi passioni sanno fare. Oggi la vedo come la “Pista cifrata” della mia vita. Avete presente quel gioco della Settimana enigmistica, in cui se unisci i punti ti esce una figura? Io scrivo di un oste bolognese che indaga. Altroché casualità, questo per me rappresenta passato, presente e futuro, una corda spessissima che tiene stretto tutto… E lo faccio per Mondadori, che, non posso negarlo, è una medaglia che porto al collo con fierezza. Ci sono arrivato grazie a una persona che ha fortemente creduto in me: Andrea Delmonte.

“Poirot a Styles Court”: cent’anni fa iniziava così “la carriera criminale” di Agatha Christie

Poirot a Styles Court 
di Agatha Christie
Mondadori, 2020

Traduzione di Diana Fonticoli

pp. 226
€ 13 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Una villa in campagna. Un’anziana e facoltosa signora. Un veleno. Sette sospettati pieni di segreti. Lettere nascoste e intrighi di famiglia. Gli elementi che hanno consacrato le opere di Agatha Christie nell’immaginario dei lettori appassionati di gialli sono già tutti qui, in “Poirot a Styles Court”, il primo giallo della carriera di quella che diventerà poi la scrittrice più tradotta nel mondo. Eppure la Christie non poteva avere idea di tutto questo, mentre scriveva il suo esordio. E si vede. 

È sempre bello poter decostruire i propri miti letterari, andare oltre le loro opere per tentare di conoscerli come persone. Specie quando si tratta di una scrittrice così conosciuta e prolifica, la cui fama e mole di opere la precede, rendendola quasi un’ideale. Questa edizione, che include contenuti provenienti dall’archivio di appunti della scrittrice, ci consente di conoscere un’Agatha Christie diversa, una giovane infermiera appassionata di gialli che, come dice John Curran nella sua introduzione, si lancia nell’impresa di trasformarsi da lettrice a scrittrice del genere sull’onda di una sfida lanciatale dalla sorella Madge: “Scommetto che non sei capace di scrivere un bel romanzo poliziesco”. Bastò questo, e la giovane Agatha mise mano alla penna, per scrivere il primo dei suoi 66 romanzi.

"La strada di casa": Holt, per l'ultima volta

La strada di casa
di Kent Haruf
NN, giugno 2020

Traduzione di Fabio Cremonesi

pp. 194
€ 18 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

[…] e finalmente Holt, con i lampioni blu in lontananza, poi sempre più vicini, e le strade deserte e silenziose una volta entrati in città. (p. 186)
Torniamo a Holt, per l’ultima volta. La strada di casa, di Kent Haruf, è stato probabilmente il libro più atteso durante il lockdown, ma quando finalmente lo abbiamo avuto tra le mani – è uscito il 18 giugno, come sempre per NN editore – quasi tutti credo abbiamo pensato di rimandare un po’ la lettura, proprio perché consapevoli che questo è davvero l’ultimo Haruf che ci capiterà di leggere. Certo, potremmo avere tra qualche anno qualche inedita sorpresa, vedi per esempio la recente scoperta di un racconto di Hemingway mai pubblicato prima, ma per il momento sappiamo che questo è davvero l’ultimo viaggio a Holt: pur essendo in realtà il secondo romanzo scritto da Haruf è l’ultimo appunto a essere pubblicato in Italia e a chiudere il cerchio. Per tutti quelli che hanno amato la scrittura piana, regolare, asciutta, di questo cantore dell’America rurale, la lettura si è mischiata in questo caso alla malinconia e forse è proprio il sentimento più adatto ad affrontare questa storia di sacrificio, perdita, abbandono e allo stesso tempo fiducia ostinata se non nell’uomo almeno nel destino. La cosa curiosa è che questo romanzo e i personaggi che lo compongono sono tutto e il contrario di tutto quello che ti aspetteresti da Haruf e dalle storie di Holt, l’immaginaria cittadina di provincia in cui ha ambientato molti dei suoi romanzi tra cui la celeberrima Trilogia della pianura che verrà subito dopo questo romanzo. È Holt, quindi, ma in parte diversa da quella che abbiamo conosciuto, che ancora si va delineando nell'immaginazione dell'autore, fino ad assumere la forma che ci ha conquistati, a diventare una comunità e un luogo più vero del vero. Un luogo dove le cose brutte, lo sappiamo, possono accadere, dove gli uomini sbagliano e la vita sa essere difficile, ma la comunità è quasi sempre coesa. Un luogo che è facile chiamare casa. Ecco, in questa storia Holt è un luogo forse meno letterario ma più simile alla realtà di tanta provincia - americana o meno - , dove si resta schiacciati da giudizi, ipocrisia, frustrazioni riversate su chi in qualche modo non corrisponde a quello che ci si aspetta. E dove c'è poco margine di errore, specie per chi arriva da fuori.

Una montagna russa del 1985: "Heartbreaker" di Claudia Dey

Heartbreaker
di Claudia Dey
Traduzione di Marina Calvaresi
Edizioni Black Coffee, 2020

pp. 295
€ 15  (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)



Cosa succede quando la fama dell'autrice precede, di gran lunga, il libro? A questa domanda, magari banale, magari capziosa, non abbiamo trovato scampo quando abbiamo preso in mano, per la prima volta, Heartbreaker di Claudia Dey. Già perché Dey è sicuramente un nome molto importante per il mondo culturale canadese (e anglo-americano in generale). Infatti è una sceneggiatrice di successo, nonché autrice di film horror e pure cofondatrice di un marchio di abbigliamento che definire cool è riduttivo, visto che stiamo parlando di Horses Atelier. Insomma un personaggio a tutto tondo, quindi, che già con Stunt, il suo romanzo precedente, aveva fatto molto parlare di sé. Eppure abbiamo davanti, anzi tra le mani, Heartbreaker, in una bella edizione Black Coffee tradotta egregiamente da Marina Calvaresi. E allora com'è questo libro? Beh, semplice, questo libro è una montagna russa.

Dire la verità, calare la maschera: "Il taccuino delle cose non dette" di Clare Pooley

Il taccuino delle cose non dette
di Clare Pooley
Mondadori, 2020

Titolo originale: The Authenticity Project 
Traduzione di Teresa Albanese

pp. 352  
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Dopo un’esistenza trascorsa alla ribalta, al centro della vita culturale e artistica della Londra degli anni ‘60-‘70, afflitto da un lutto insanabile per la scomparsa della moglie Mary, l’anziano pittore Julian Jessop si trova ad essere completamente invisibile e dimenticato. Inizia quindi a interrogarsi, a porsi domande pungenti su cosa significhi condurre una vita all’insegna dell’autenticità, esponendosi al mondo per quel che si è davvero. È così che nasce l’idea di un taccuino in cui registrare la propria storia personale, per verificare quale impatto questa possa avere sulle vite di chi si troverà a leggerla.
Tutti mentono sulle loro vite. Che cosa succederebbe se invece dicessi la verità? Se confessassi l’elemento che ti definisce, che fa andare al loro posto tutti gli altri tasselli? (p. 12)
Il progetto sperimentale di Julian prende l’avvio nel momento in cui il suo piccolo quaderno verde viene abbandonato su un tavolino del Monica’s Café e letto dalla proprietaria.

#PilloledAutore: la scrittura della memoria e della coscienza di Simone de Beauvoir


Memorie d'una ragazza perbene, prima parte dell'autobiografia di Simone de Beauvoir, già nel titolo condensa i punti chiave di uno sfaccettato percorso esistenziale e narrativo.
Nella parola "memorie" si esprime la scrittura dell'io: de Beauvoir scrive se stessa attraverso il ricordo, si definisce nell'analisi e nella rievocazione di un passato tutto personale che la porta a dire al lettore: ecco chi ero ed ecco chi sono.
Nell'immagine "d'una ragazza perbene" trova voce una lunga ricerca. Il punto di partenza del viaggio è l'ambiente sociale dell'alta borghesia francese; il punto di arrivo sta nella somma di tutte le esperienze che hanno fatto di lei una delle più grandi scrittrici, saggiste, filosofe e femministe del Novecento. 

Queste memorie sono l'autobiografia di una donna eccezionale non tanto per i suoi natali o per la posizione che ha ricoperto nel pantheon della cultura francese, ma perché costituiscono ancora oggi un'occasione di accesso privilegiato alla coscienza femminile nel suo svilupparsi.
L'autrice decide con coraggio di mettersi alla prova con il mondo e con se stessa e ci regala un diario biografico, tanto ufficiale quanto intimo, che racconta come da una ragazza perbene possa prendere forma una donna desiderosa di "combattere l'errore, trovare la verità, dirla, illuminare il mondo, magari contribuire addirittura a cambiarlo."

#CriticARTe - Emilio Scanavino. Come fuoco nella cenere di G. Pretese e F. Sardella


Emilio Scanavino. Come fuoco nella cenere 

A cura di Greta Petese e Federico Sardella

Silvana Editoriale, 2019
Bilingue, italiano-inglese

pp. 200
€ 30,00 (cartaceo)


Emilio Scanavino è stato un pittore e scultore italiano, nato a Genova nel 1922 e scomparso nel 1986, a Milano.

La sua monografia è stata concepita in occasione della mostra omonima, “Emilio Scanavino. Come fuoco nella cenere”, a cura di Greta Petese e Federico Sardella, tenutasi al Museo Marca di Catanzaro nel 2019. 
Scopo del volume è completare l’esibizione delle opere dell’artista, aggiungendo quei dati salienti e informazioni che possono concorrere a creare nel lettore la giusta comprensione e lettura di un esponente dell’arte italiana, relativamente conosciuto al mondo contemporaneo. Allievo di Manlio Calonghi, amico e collega di Lucio Fontana ed Enrico Baj, Emilio Scanavino ha scritto una pagina fondamentale nella storia della pittura italiana grazie al suo estetismo formale intimista. Forte è pertanto il desiderio di far arrivare la conoscenza di questo incredibile artista al cuore del pubblico, raccontando non solo la vita e le opere, ma anche, e soprattutto il pensiero. L'estetica formale di Scanavino è densa di elementi narrativi, che costruiscono un alfabeto simbolico, una fitta tramatura dai canoni essenziali, precisi, che evocano suggestioni emotive e la memoria di cupe ferite.

"Risplendendo come un'imperturbabile stella, lei che tanto ha sognato, ma anche temuto, di scomparire": vita e arte di Yayoi Kusama secondo Elisa Macellari

Kusama.
Ossessioni, amore e arte

di Elisa Macellari
Centauria, 2020

pp. 128
€ 19,90 (cartaceo)


Essere donna e desiderare un avvenire da artista nel Giappone patriarcale e conservatore della prima metà del Novecento: per una come Yayoi Kusama (Matsumoto, 1929), destinata a divenire uno dei nomi più importanti della scena internazionale, le premesse d’esordio non avrebbero potuto essere più scoraggianti. Figlia incompresa di una coppia infelice, sofferente già dalla prima infanzia per allucinazioni acustiche e visive, esule volontaria da un Paese in cui non sarebbe mai stata in grado di raggiungere un’autentica realizzazione come individuo, la futura star avrebbe fatto fortuna solo nell’Eldorado statunitense degli anni Sessanta e Settanta, per poi fare ritorno in patria e affrontare ancora i demoni della dimenticanza e della malattia prima della definitiva consacrazione. A oggi, al netto di decenni di squilibri profondi sublimati attraverso dipinti, sculture, happenings e installazioni, la sua storia resta tra le più emblematiche del Novecento artistico, al crocevia tra lo stereotipo secolare che associa il genio alla follia e la pura cronaca di un’esistenza che ha fatto i conti fin da subito (e fino all’ultimo pois) con i pregiudizi di genere e di ruolo e con le logiche ciniche del Sistema dell’arte. A lei Elisa Macellari ha dedicato una biografia illustrata – Kusama. Ossessioni, amori e arte – appena pubblicata da Centauria.

Il denaro può comprare anche la nostra umanità? "La fabbrica" di Joanne Ramos, una storia potente tra dilemmi etici

La fabbrica
di Joanne Ramos
Ponte alle grazie, 2020

Traduzione di M. Piumini

pp. 412
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 


Il sogno americano. Quanti sono partiti, lasciando i loro Paesi per inseguire un miraggio? Lo ha fatto anche Jane, filippina, che si ritrova a New York senza un diploma, ma con tante aspirazioni e con una bambina appena nata, Amalia, di cui il padre non vuole prendersi cura. Quali prospettive ci sono per una ragazza così? Dopo aver provato a sostituire la cugina, Ate Evelyn, nella sua professione di baby nurse presso una famiglia ricca, Jane valuta, su suggerimento della parente, di firmare il contratto con Golden Oaks, una "farm" decisamente insolita. Lì, infatti, vengono protette dal mondo esterno le Ospiti, ovvero le madri surrogate che, in cambio di molto denaro, decidono di diventare né più né meno  che merce per clienti particolarmente facoltosi. Si tratta di un contratto pieno di postille e di note in calce, molte delle quali fanno accapponare la pelle. Eppure, bisogna dirlo, nessuna di loro va lì sotto coercizione: tutte le ospiti firmano di loro spontanea volontà. Apparentemente Golden Oaks sembra perfetta: un parco verdeggiante attorno circonda una struttura hi-tech particolarmente attenta ai minimi bisogni delle donne: controlli minuziosi assicurano che la gravidanza stia andando per il meglio, l'alimentazione è curata e non dà spazio a voglie di cibo spazzatura o a eccessi, ci sono spazi per l'attività fisica, altri per iniziare i feti alla musica e alla cultura, attraverso apparecchi tecnologici. Niente è lasciato al caso, se non - forse - le conversazioni tra le diverse ospiti, identificate da un numero più che dal loro nome di battesimo.

L'intreccio di vino e tè: "Uno strano paese" di Muriel Barbery

Uno strano paese
di Muriel Barbery
Edizioni e/o, 2020

Traduzione di Alberto Bracci Testasecca

pp. 336
€ 18,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)



«Si può sapere il nome del vostro paese?» domandò Alejandro.
«Noi lo chiamiamo il mondo delle brume» rispose Petrus. «Il mondo delle brume, dove vivono gli elfi».
Seguì qualche secondo di silenzio.
«Elfi?» fece Jesús. «Venite dal mondo degli elfi?». (p.48)

Nel cielo non ci sono ingorghi di angeli, vecchi con la barba bianca o altre entità divine. Nel cielo vivono gli elfi del mondo delle brume. Esseri che non sono le algide, inarrivabili e spesso antipatiche creature che abbiamo incontrato nei vari universi fantasy. Gli elfi dei romanzi di Muriel Barbery sono cangianti e polimorfi, per un terzo animali, per un terzo cavalli e per un terzo in forma umana. Traggono dal tè la loro linfa vitale e le loro vicissitudini sono molto più intrecciate al nostro mondo di quando non possiamo immaginare. Perché se è vero che il mondo si è originato quando un colpo di pennello ha diviso la terra dal cielo, come vuole la tradizione orientale, allora la disarmonia di uno dei regni può portare, di riflesso, terrore e scompiglio anche nell'altro. E, chissà, magari dare origine alle più disastrose guerre e ai più atroci orrori mai partoriti dalla mente. 

"La nostra folle, furiosa città" di Guy Gunaratne


La nostra folle, furiosa città
di Guy Gunaratne
Fazi, Roma 2020

Traduzione italiana di Giacomo Cuva

pp. 288
€ 17,58 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)




Un giorno un mio collega a scuola, nato e cresciuto a Londra, ammise candidamente di non aver mai visto lo splendido edificio ottocentesco che fa da sede del museo di Storia Naturale di cui io tessevo con fervore le lodi. In realtà, mi disse di non essere mai stato a Kensington in vita sua. Per una semplice questione di distanze. Per lui, che vive a Bethnal Green nell’East London, raggiungere quelle zone richiederebbe più o meno un’ora di viaggio. In più, per lui, figlio di immigrati provenienti dal Bangladesh, quell’area della capitale britannica rappresenta un mondo altro, alieno e quasi incompatibile: consuetudini, modi e atteggiamenti che non lo riguardano e non lo interessano.
Questo breve aneddoto serve a chiarire subito un punto: andare al cuore di Londra significa contare le infinite città che si dipanano dentro la città, lo sterminato insieme di mondi, culture, lingue e storie che la attraversano. Attorno ai monumenti da cartolina, al Tamigi e alle mete turistiche si propaga un ammasso sterminato di poli e periferie e nuovi poli e nuove periferie. Un amalgama di identità che si mischiano l’una con l’altra. Posti in cui vivere è sempre un con-vivere, un tollerarsi e capirsi a vicenda – e spesso, purtroppo, anche un non tollerarsi reciproco.

Un viaggio che non è solo interiore: «Azzorre» di Cecilia Giampaoli


Azzorre
di Cecilia M. Giampaoli
Neo edizioni, 2020

pp. 162
€ 14,00 (cartaceo)

L’aereo si schiantò contro la montagna. È unica e centrale. Teresa la indica sporgendo il braccio fuori dal finestrino. Dalla cima si vede ogni punto dell’isola e da ogni punto dell’isola, anche da qui, si vede la cima. Servirà a ricordarmi perché sono venuta: in questo posto ho perso e guadagnato tanto. (p. 16)
Affrontare un romanzo sapendo che la quarta di copertina riporta la scritta «una storia vera» è sempre un pugno nello stomaco: per quanto la narrativa si fondi su quella sospensione dell’incredulità tanto cara a Coleridge – e per quanto alcuni scrittori siano così bravi nell’arte della parola da farci credere che ciò che stiamo leggendo è reale – in fin dei conti sappiamo che sotto mano abbiamo un lavoro di fantasia, che “qualsiasi riferimento a fatti o persone è puramente casuale”. Il coinvolgimento emotivo c’è, l’ancoraggio con la realtà anche, però siamo consci di non dover temere per la vita di quelle persone immaginarie.
Libri come Azzorre, invece, hanno un’impronta diversa, sembrano portare con sé un sudore animale che trasuda dalle pagine. È il modo in cui ci approcciamo a queste storie che ce le rende più feroci; ma è anche sapere che possiamo interrompere la lettura, andare su Google e digitare “incidente aereo Azzorre 1989”, e troveremo nomi, date, biografie reali. Sappiamo che il padre di Cecilia Giampaoli è veramente rimasto vittima di quell’incidente. Sappiamo tutte queste cose e non possiamo ignorarle. Libri come Azzorre ci pongono davanti a questi fatti.

#CriticaNera - Léo Malet e il suo primo appuntamento con Nestor Burma

Primo piano sul cadavere
di Léo Malet
Fazi, maggio 2020

Traduzione di Federica Angelini

pp. 111
€ 15 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Un giallo di Malet è già di per sé una buona notizia, se poi è davvero un libro delizioso, pieno di battute e di sarcasmo, alla maniera di Malet, non c’è che da goderselo, soprattutto perché “Primo piano sul cadavere” è inedito in Italia. Nestor Burma, il detective parigino tanto caro agli amanti di Malet e dell'hard boiled, si ritrova catapultato dentro un set cinematografico. Lo stesso crimine sembra la sceneggiatura perfetta di un film, con un Burma alle prime armi, nelle vesti di detective privato assoldato da un noto attore, che mentre discute amabilmente (dipende dai punti di vista) con il nostro, improvvisamente muore. A Burma non resta che cercare l’assassino, più per rigore professionale che per necessità.
L’originale del 1985 si intitolava Gros plan du macchabée, ed era la prima volta in cui Burma compariva sulla scena, insieme al suo inseparabile compagno di avventure, il giornalista Marc Covet, mentre mancano ancora altri personaggi che incontreremo nelle indagini seguenti (una trentina i titoli con Burma, di cui una quindicina già pubblicati). 

#CriticARTe - "Il mio Morandi", a cura di Luigi Magnani


Il mio Morandi
a cura di Luigi Magnani
Johan & Levi, 2020


pp. 148

€ 16,15 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

Accade talvolta di assistere al felice istante in cui la lingua italiana raggiunge la miglior espressione di forma, concetto e fine, un momento di rara bellezza nella selva di una comunicazione bistratta da vocaboli stranieri ed una forzata modernizzazione, che spesso creano un senso di profondo estraniamento ed alienazione nel lettore. Un libro raffinato, Il mio Morandi, che racchiude tra le sue pagine sentimenti di vera amicizia e stima, tra il collezionista Luigi Magnani (1906-1984) e l’artista Giorgio Morandi (1890-1964). A partire dal dolce utilizzo di quel “mio” nel titolo dell’opera, è possibile intuire il profondo legame, che legava i due fini pensatori, una simbiosi di opposti, che si incontravano nella contemplazione metafisica di spazi, natura e luce. Il mio Morandi di Luigi Magnani fu pubblicato per la prima volta negli anni Ottanta e riedito da Johan & Levi in occasione della mostra L’ultimo romantico, dedicata al collezionista, presso la Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, nell’ambito delle iniziative per Parma Capitale Italiana della Cultura 2020. 

La Ballata di Francesco per la sua Pavana al tramonto: "Tralummescuro" di Francesco Guccini


Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto
di Francesco Guccini
Giunti, 2019

pp. 288
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Ricordo i nomi che da bambino davo alle erbe e ai fiori nascosti. Ricordo dove si trova il rospo e a che ora si svegliano d’estate gli uccelli – e l’odore degli alberi e delle stagioni – che aspetto aveva la gente e come camminava; ricordo anche il loro odore. La memoria degli odori è tenace…” (John Steinbeck)
Non ho mai capito perché quando si parla dei libri di Guccini non si riesca a fare a meno di ricordare e citare frasi estratte dalle sue canzoni; così come non ho mai capito perché ogni qualvolta si parla di libri radicati in un luogo, in questo caso Pavana sull’Appennino tosco-emiliano, non si riesca a non fare riferimento alla Macondo di Marquez. Pavana come Macondo ha scritto qualche firma autorevole. Ma è veramente così simile alla Macondo di Marquez la Pavana di Guccini? E ancora, viene così difficile distinguere il cantautore dal romanziere?
E’ vero che ad ogni pagina di “Tralummescuro”, ultima fatica letteraria di Francesco Guccini edito da Giunti, a chi lo ascolta da tanti anni ritornano nitidi alla mente i versi, perché di versi si tratta, delle sue più importanti canzoni; ed è pure vero che frasi di “Cent’anni di solitudine” bene si prestavano per introdurre queste mie impressioni, ma credo che l’essenza di questo meraviglioso racconto, che nasce dai ricordi dell’autore, sia contenuta nella sua totalità nel pensiero di Steinbeck tratto da quel capolavoro della letteratura che è “La valle dell’Eden”. Che sia Marquez o che sia Steinbeck, l’opera merita una valenza soprattutto letteraria anche perché Guccini è uno scrittore a tutti gli effetti e non un cantautore che a tempo perso scrive qualche libro.

Faccia a faccia (muso a muso) con Il Lupo: l'eterno scontro tra l'uomo e la bestia in una storia a fumetti di Jean-Marc Rochette

Il Lupo
testi e disegni di Jean-Marc Rochette
colori di Isabelle Merlet
traduzione di Giovanni Zucca
postfazione di Paolo Cognetti
L’ippocampo, 2020

pp. 110
€ 18,00 (cartaceo)



Lo si intuisce già da un significativo dettaglio del titolo, ovvero quella “L” maiuscola che esclude la parola dai nomi comuni di animale, che Il Lupo coprotagonista della storia raccontata e illustrata da Jean-Marc Rochette e appena pubblicata da L’ippocampo ha tutte le caratteristiche di una bestia dotata di personalità e riconoscibilità proprie ed esclusive. Se così non fosse, difatti, non potrebbe tormentare da anni il pastore Gaspard, che dopo la perdita della moglie e del figlio vive volontariamente isolato nel cuore del Massiccio degli Écrins con il suo cane Max e il suo gregge di pecore. Non potrebbe, soprattutto, metterne in discussione il presunto primato sul controllo del territorio, minando le basi di quella insidiosa e ambigua gerarchia che, se da una parte riconosce alle bestie la spontanea supremazia su un habitat (peraltro certificandola con l’istituzione di un Parco Naturale), dall’altra contempla da generazioni e generazioni anche la compresenza antropica, con tutte le occasioni di incontro e scontro che ne conseguono. Così per anni e anni – 5000 per l’esattezza – finché inevitabilmente arriva il momento in cui l’equilibrio non più sostenibile finisce con il rompersi e la resa dei conti tra l’anziano montanaro e la bestia al culmine della sua maturità si prospetta come inevitabile.

L'inferno tra le mura: "Ogni volta che ti picchio" di Meena Kandasamy

Ogni volta che ti picchio
di Meena Kandasamy
edizioni e/o, 2020

pp. 238
€ 17,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Titolo originale: When I Hit You
Traduzione di Silvia Montis


L’idea di conciliare una storia di violenza domestica con un tono ironico può sembrare irrealizzabile, se non schiettamente ossimorica. Eppure è di fronte a questo apparente paradosso che si trova il lettore affrontando le prime pagine di Ogni volta che ti picchio. Il racconto della fuga della protagonista da un marito sadico e aggressivo diventa infatti, nelle cronache di sua madre ai conoscenti, la narrazione epica di una sanguinosa battaglia contro i pidocchi che lei portava con sé come prova evidente della sua condizione di stress. Per riappropriarsi della propria storia, per non esserne estromessa, la figlia prende allora la parola, riavvolge il nastro della memoria e lo srotola come una pellicola davanti ai nostri occhi, per mostrarci come sia stato possibile che una giovane donna colta, una scrittrice con delle ambizioni, sia finita in un gorgo senza uscita.
Nella Villa del Piacere, che di gradevole ha solo il nome e il giardino circostante, la donna deve “cambiare mestiere”, farsi attrice, impersonare il ruolo della moglie perfetta, guardare a se stessa dall’esterno per potersi ingannare circa la propria condizione di reclusione, diventare invisibile e insignificante per non irritare il marito:
dovrei essere uno spazio vuoto. Uno spazio dal quale è stato cancellato tutto ciò che riflette la mia personalità. [...] Questa piattezza fa contento mio marito. Questa piattezza che ha scrostato via tutta la mia essenza, una piattezza che può essere controllata e plasmata come lui desidera. Questa piattezza è ciò che indosserò oggi, una maschera ordinaria su un viso grazioso, una piattezza che mi terrà nascosta, che eviterà ogni discussione. (pp. 23-24)
È con un linguaggio piano e pertanto più sconvolgente che la narratrice ci trasporta al cuore dell’incubo, nella rielaborazione romanzesca – e pertanto dalla portata più ampia – di una vicenda realmente esperita dall’autrice (e i rapporti tra queste due figure femminili vengono chiariti nella meraviglia che sono le ultime pagine del volume).

Brevemente risplendiamo sulla terra: di crepe, identità, famiglia

Brevemente risplendiamo sulla terra
di Ocean Vuong
La nave di Teseo, 2020

Traduzione di Claudia Durastanti

pp. 292
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 


Tra qualche tempo, messa una certa distanza dalla fine della lettura di Brevemente risplendiamo sulla terra, di Ocean Vuong, probabilmente resterà della trama un ricordo meno nitido, alcune parti scivoleranno via, si confonderanno con altre storie. Quello che il tempo non muterà, tuttavia, sono le sensazioni provate nel corso di questa lettura, che restano appiccicate addosso ben oltre l’ultima pagina, gli spunti e le riflessioni con cui la storia di Vuong ci costringe a confrontarci.
Questo libro è molte cose. Partiamo dalle etichette: è un Bildungsroman ed è forse la sua unica caratteristica che lo riconduce a una narrativa “tradizionale”, un romanzo di formazione doloroso, che restituisce al lettore l’idea di un viaggio ancora in divenire, alcune certezze acquisite, ma molte altre ancora da scoprire, di un ragazzo di origini vietnamite che arriva a due anni negli Stati Uniti e per tutta la vita si scontrerà con la discriminazione, i tentativi di integrarsi, la mentalità di una provincia povera e degradante. Un Bildungsroman di identità da comprendere e costruire, di ricerca di sé quindi e del proprio posto nel mondo, di formazione intellettuale e fusione di culture.

Diario di bordo nell'oceano della depressione: il "nuovo libro" di Matt Haig

Ragioni per continuare a vivere
di Matt Haig
Edizioni e/o, 2020

pp. 288
€ 16,50 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

La cosa strana della depressione è che, anche se aumentano i pensieri suicidi, la paura della morte rimane la stessa. L’unica differenza è che il male di vivere cresce rapidamente. Perciò, quando sentite di qualcuno che si è suicidato, sappiate che la morte non gli faceva meno paura. Non è stata una “scelta” nel senso morale del termine. Fare del moralismo significa fraintendere la questione. (pp. 28-9)
Su questo nuovo libro di Matt Haig occorre una premessa: pubblicato nel Regno Unito nel 2015, viene portato in Italia da Ponte alle Grazie nello stesso anno. A maggio 2020 la e/o ripubblica il testo, dopo aver dato alle stampe il bellissimo Come fermare il tempo (2018) e Vita su un pianeta nervoso (2019; ne abbiamo parlato in questa recensione). Il lettore dunque potrebbe trovarsi confuso nel leggere un libro che tratta un argomento simile, ma da una prospettiva “precedente”, rispetto a uno uscito poco prima. In effetti Vita su un pianeta nervoso affronta tematiche simili a quelle di Ragioni per continuare a vivere: oltre alla depressione, aggiunge argomentazioni intorno all’ansia, agli attacchi di panico e, in generale, alla difficoltà di raggiungere la felicità vivendo su un pianeta che sembra fare di tutto per sottrarci il poco tempo che abbiamo. Quest’ultimo libro sembrerebbe dunque una sorta di passo indietro rispetto alla consapevolezza raggiunta in quello precedente.

#CritiCOMICS - "Raffaello": un genio rinascimentale che rivive in una graphic novel e in una mostra a Roma

Raffaello
Testi e disegni: Alessandro Bacchetta
Progetto grafico: Alessio D'Uva
Assistente di produzione: Filippo Rossi
Copertina: Alessandro Bacchetta

Kleiner Flug, 2017 (prima edizione: 2015)
Collana: Prodigi fra le nuvole

pp. 64
€ 14 (cartaceo)

«ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI
RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI»

(«Qui è quel Raffaello, dal quale la natura credette di essere vinta, quando era vivo, e di morire quando egli moriva»
Antonio Tebaldeo o Pietro Bembo).

Inizia dalla fine la graphic novel intitolata Raffaello (Kleiner Flug, 2017) e dedicata al grandissimo artista Raffaello Sanzio, ossia dalla sua precoce morte, perciò pareva giusto cominciare questo pezzo con il distico finale dell'epitaffio inciso sulla sua tomba, una frase che mi ha subito colpita perché riesce a riassumere perfettamente tutta la magnificenza di Raffaello.
L'occasione per dedicarmi a questa storia è stata la riapertura della mostra dedicata all'Urbinate organizzata presso le Scuderie del Quirinale di Roma, così ho iniziato a leggere le vicende intercorse sia all'artista che all'uomo.

«Certe persone ti si piantano dentro come frecce»: l'amore cantato con strepitosa fantasia da Stefano Benni in "Giura"

Giura
di Stefano Benni
Feltrinelli, 2020

pp. 208
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Stavo per mangiarmi la prima noce. L'avevo aperta e ricordavo che cosa mi aveva detto il nonno. Che le noci non si mangiano una dopo l'altra, come fossero caramelle cittadine o noccioline da cinema.
Ogni scrigno di legno va aperto, poi va ringraziato l'albero, e soprattutto per ogni noce bisogna raccontare una storia. (p. 16)
E la storia che racconta Stefano Benni nel suo nuovo romanzo, Giura, appena uscito per Feltrinelli, è figlia di tante noci mangiate con quel gusto da un lato di trasgressione e dall'altro di piena goduria per il piacere sempreverde della narrazione. Nelle primissime pagine facciamo la conoscenza del protagonista, Febo detto "Codino", una sorta di Cosimo di calviniana memoria (e infatti non per niente lo troviamo subito arrampicato su un albero in apertura): anche lui ama osservare il mondo da prospettive insolite. E soprattutto ama non dare per scontato le voci su chi lo circonda, a cominciare dalla sua amichetta Lunaria, che ama segretamente. Lunaria è considerata un po' matta da tutti gli altri, sia perché non parla, sia perché veste in modo strano ed è scostante. Febo invece la accoglie sempre nel suo gruppo di amici, e insieme condividono giochi, scoperte, e anche rischi, che portano a un dramma, che lascerà la povera Lunaria su una sedia a rotelle. E mentre gli anni passano, le trovate scapestrate proseguono - e noi lettori non possiamo che ridere per le trovate sempre ironiche di Benni -, tra Febo e Lunaria sembra nascere un sentimento. Amore? Difficile dirlo a quell'età, o forse è proprio a tredici anni che l'amore è così vero da essere ineguagliabile per tutta la vita. 

Quando il passato ritorna... strappando la busta in cui era stato rinchiuso



Echi lontani
di Francesca Banchini e Silvia Mannelli
Porto Seguro, 2019


pp. 169
€ 13,90 (cartaceo)





"Quando uno scava poi non sa cosa trova. Erano anni assurdi quelli là". (p. 42)
Eppure il papà l'aveva avvisata, la guerra era fatta di momenti, di circostanze, di azioni non sempre misurabili con il metro dell'oggi. Ma Sara, studentessa universitaria, adorava il nonno Giovanni, appena mancato. Il nonno era sempre stato la sua radice e, insieme, il suo trampolino. Una presenza costante nella sua vita, un punto fermo, un mito. In fondo, erano passati solo 57 giorni da quella telefonata in cui il nonno, 96 anni, l'aveva avvisata di essersi sentito poco bene dal barbiere. Poi era successo tutto troppo in fretta, il nonno era stato ricoverato in ospedale, peggiorava, fino a quella sera, poche ore prima di morire, quando sembrava delirare, parlava di una busta... le sue ultime parole.

Dopo la morte del nonno, Sara sente la necessità di far passare le sue carte, fogli ordinati e messi via con grande precisione nel cassettone della camera, perché, come ripeteva sempre nonno Giovanni, che era stato maresciallo, "si è Carabinieri per sempre". Vecchie foto, ritagli di giornale, schedine del totocalcio mai giocate, cartoline e, sul fondo del cassetto un foglio ingiallito, dattiloscritto e firmato a penna con una calligrafia antica, come si usava tanto tempo fa... gli occhi di Sara improvvisamente si fermano su parole che arrivano nella narrazione come fucilate, "processo", "amnistia", "traditore" e una data: 20 settembre 1946... In un attimo tutto s'annebbia, la figura del nonno, gli anni trascorsi, la vita precedente. Che cosa è successo? Chi e perché ha osato definire il nonno traditore?

Pillole d'Autore: la metafollia di Henry Miller in "Tropico del Cancro"

Henry Miller 
Tropico del cancro
Feltrinelli, 2013 

Traduzione di Luciano Bianciardi 

Pp. 272 
€ 9,50 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)

Pubblicato nel 1934 dalla casa editrice parigina Obelisk Press, sotto la guida dal padre di quel Maurice Girodias che poi rifonderà la casa editrice paterna con il nome di Olympia Press e che vent’anni dopo sarà l’unico a voler pubblicare Lolita di Vladimir Nabokov. Stampato e distribuito clandestinamente negli anni ‘60 dalla Feltrinelli, nella meravigliosa traduzione di Luciano Bianciardi che, pregio davvero unico per una traduzione, riesce a non invecchiare. Basta pensare alla storia di questo libro per capire che quando abbiamo in mano Tropico del Cancro, teniamo in mano un mondo. Un libro che non si fa rinchiudere nello spazio delle pagine, che inizia ben prima di pagina uno, e termina senza una conclusione; che spalanca le porte al mondo intero, a tutta la società degli artisti parigini più poveri e immorali, popolando le sue pagine con un turbinio che, come dice Mario Praz nella sua prefazione, ricorda un po' un quadro di Hieronymus Bosch. Allo stesso modo in cui Miller fa entrare il mondo nelle sue pagine, non può esimersi dal parlare del sistema letterario in cui è immerso, in un movimento centrifugo che viaggia da Rimbaud a Dante Alighieri, passando per Goethe, per poi tornare ogni volta con una brusca virata proprio qui, al libro che abbiamo in mano. 
Per noi, lettori di un altro secolo, forse la feroce novità del libro si è persa, e le suggestioni che cerchiamo nei libri sono ormai altre; ma l’autoconsapevolezza di star scrivendo un’opera inaudita per la propria epoca è ben presente in Miller, e informa tutti quei brani in cui il libro parla di sé stesso, decostruendosi, per poi ricostruirsi sotto i nostri occhi. Lasciamo la parola a Henry Miller. 

"La casa e il mondo", un triangolo amoroso ai tempi dello Swadeshi

La casa e il mondo
di Rabindranath Tagore
Fazi, 2020

Traduzione di Sabina Terziani

pagg. 224
€ 18 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook)
Audiolibro disponibile su Audible


Dopo oltre cento anni dalla sua pubblicazione (1915), torna in una nuova traduzione La casa e il mondo (Ghare Baire), romanzo del premio Nobel Rabindranath Tagore ambientato ai tempi delle lotte per l'indipendenza del Bengala. L'autore sceglie questi mesi tumultuosi per ambientare la storia della imprevedibile crisi coniugale di Bimala e Nikhil.
Mio marito sosteneva che uomo e donna sono uguali di fronte all'amore, perché esercitano pari diritti l'uno sull'altra. 
All'inizio del romanzo i due sposi hanno costruito un equilibrio domestico quasi perfetto: lui, uomo dalla straordinaria apertura mentale, è preso dai suoi stravaganti e fallimentari affari; lei si divide tra i bisticci dello zenana e le piccole soddisfazioni del matrimonio. La loro relazione è tanto solida e tranquilla che, nonostante gli inviti del marito in tal senso, Bimala non sente la necessità di esplorare il mondo fuori dalla porta di casa. 
Leggendo ho scoperto che noi donne siamo definite "uccelli da voliera". Non posso parlare per le altre, ma nella mia gabbia ci stavo bene, non mi mancava nulla e pensavo che nell'universo non ci fosse posto anche per la mia gabbia. 

"Gli accidenti dovuti al mare, e qualsiasi altro evento causato in mare da fatto fortuito o da ostacolo insormontabile": Cyril Hofstein racconta 31 "fortune"

Atlante delle fortune di mare
di Cyril Hofstein
illustrazioni di Karin Doering-Froger
traduzione e cura di Luciano Làdavas

L’ippocampo, 2020


pp. 132
€ 19,90 (cartaceo)

Chi, perlomeno durante l’infanzia, non ha fantasticato per ore e ore dopo avere letto storie di comandanti e marinai, velieri e galeoni, viaggi per commercio e per avventura, battaglie navali e naufragi? Tutte le vicende che prevedono una navigazione – proprio come quelle che compiono la loro parabola in volo – stimolano la nostra immaginazione minorenne (siamo pur sempre creature essenzialmente terrestri) e non smettono di affascinarci anche in età adulta, complici le molte metafore, similitudini e cariche simboliche che lungo la nostra strada tendiamo con l’attribuire alla dimensione acquatica e a quella celeste. Generazioni di uomini, d’altra parte, hanno dedicato la loro esistenza al mare, ritrovandosi protagonisti sia di eventi che fecero la Storia (la scoperta dell’America non è che il caso più macroscopico, per non parlare dei molti conflitti che vennero regolati a galla o per via sottomarina) ma anche di imprese più infauste e meno popolari, sebbene non per questo meno cariche di suggestione e, spesso e volentieri, mistero. Nel suo Atlante delle fortune di mare, appena pubblicato da L’ippocampo nella sua versione italiana, Cyril Hofstein ha raccolto alcune di queste vicende, consegnando al lettore un volumetto che come prima cosa gli chiede di attribuire un nuovo significato proprio all’espressione da cui trae il suo titolo:
«nell’espressione “fortuna di mare”, il vocabolo “fortuna” non ha nulla a che vedere con la ricchezza o con la ricerca di un tesoro degli abissi. Per gli armatori e le agenzie assicurative, è prima di tutto un caso di forza maggiore proprio del diritto marittimo e una realtà giuridica che definisce i rischi connessi alla navigazione, dal semplice ritardo fino alla perdita di corpo e beni. Le “fortune di mare” sono quindi gli accidenti dovuti al mare, e qualsiasi altro evento causato in mare da fatto fortuito o da ostacolo insormontabile» (p. 9).

«Alza gli occhi a trovarle lo sguardo, sperandoselo addosso»: "L'infinito di amare" di Sergio Claudio Perroni

L'infinito di amare. Due vite, una notte
di Sergio Claudio Perroni
La Nave di Teseo, 28 maggio 2020

pp. 128
€ 13 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Uno strano romanzo in cui succedono solo i pensieri di due amanti al risveglio»: queste parole sono l'autodefinizione che l'autore dà della sua opera: L'infinito di amare, frutto di un processo di scrittura e revisione lungo trent'anni, è certamente insolito, difficile da raccontare perché lontano dall'avere una sinossi tradizionale. 
Partirò quindi da una domanda che mi sono posta dopo aver letto l'opera: l'amore perfetto sta nel verbo amare, nell'aver amato o nell'aver immaginato di amare? Difficile a dirsi. L'opera di Perroni è divisa in tre sezioni: Oggi, Ieri e Domani. Un oggi in cui due amanti si vedono, a distanza di tempo dall'addio. Uno Ieri lungo, vero fulcro dell'opera, che racconta una notte d'amore. Un Domani, quando i due si ritrovano e sono posti davanti al bivio: tornare insieme o ricordarsi per ciò che sono stati? 

Dentro l’orizzonte degli eventi: «Le isole di Norman» di Veronica Galletta

Le isole di Norman
di Veronica Galletta
ItaloSvevo, 2020

pp. 304
€ 18,00 (cartaceo)

Questa è l’Isola, che sorprende e poi abbandona, che provoca e blandisce, che conquista e poi scompare, nella perfezione di una colonna, nello scintillio dell’alluminio degli infissi, nell’eternità di un gatto che dorme, nel tanfo del sacchetto di rifiuti che ha appena sventrato. Solo abitandola quotidianamente, accettandone le contraddizioni e affidandoti a lei, Ortigia si rivela, come una cura. (p. 36)
Se c’è un romanzo, fra quelli letti di recente, in cui protagonista non è soltanto una persona bensì un luogo, questo è Le isole di Norman: Ortigia, un minuscolo appezzamento di terra collegato alla città di Siracusa tramite due ponti, con il suo tempio di Apollo, le sue strette stradine adatte alla piccolezza dei luoghi, la sua costa foriera di altre realtà – di altre isole e penisole – è in effetti un comprimario di Elena, ragazza che il mare, il sale e le isole ha impressi sul proprio corpo.
Nelle circa trecento pagine del romanzo d’esordio di Veronica Galletta – già finalista della XXVIII edizione del Premio Calvino e vincitrice, quest’anno, del Premio Campiello Opera Prima – seguiamo Elena nei suoi pellegrinaggi isolani, attraverso luoghi d’infanzia, fra piazze e calette, dentro il forno locale, sulla baia solitaria, e insieme a lei scopriamo un microcosmo fatto di abitudini e rituali quotidiani. Il viaggio dell’eroe è insomma anche il viaggio in una terra e in un tempo che paiono lontani alla vista: è la lentezza a scandire le giornate, il ciclico andare e tornare della luce e delle ombre, come in una sorta di primevo giardino dell’Eden.

#IlSalotto - In viaggio con Bea Buozzi, tra ironia e romanticismo

Il viaggio, come metafora della vita, le difficoltà e la spinta a rialzarsi; casa, intesa come luogo ma soprattutto come affetti da cui rifugiarsi quando tutto crolla. Bea Buozzi ha scritto un romanzo delicato, pieno di ironia e leggerezza, capace di strappare più di un sorriso dolceamaro al lettore che segue le avventure di Diana, antieroina fragile e un po' ingenua, ma determinata a trovare la propria strada.
Una storia che contiene più chiavi di lettura, costruita con piacevole leggerezza, ma che inquadra anche bene un certo ambiente professionale e conquista con la sua protagonista a metà strada fra Bridget Jones e Carrie Bradshow.
Debora Lambruschini ha fatto due chiacchiere con l'autrice, riflettendo su alcuni spunti interessanti della narrazione, in un dialogo che apre quello di stasera, in diretta sulla nostra pagina Instagram.

Dietro l’apparente leggerezza (che non vuol dire superficialità) di Love Trotter, si rivelano via via molte tematiche e spunti interessanti: il viaggio, naturalmente, tema portante della narrazione, ma anche l’importanza degli affetti, di un luogo – o una persona – da chiamare casa, la capacità di ripartire. E un invito a pensare il viaggio in modo meno turistico, magari anche con una certa attenzione all’impatto ambientale, una tematica attualissima. Cosa ne pensi, sono questi gli aspetti che a tuo avviso il lettore dovrebbe cogliere di Love trotter?
Credo che il viaggio rappresenti una perfetta metafora della vita. Nascendo comincia quello più importante e in fondo di viaggi è piena ogni singola esistenza. Ognuno ne ha di unici e irripetibili. È viaggio il percorso scolastico, una carriera, le nuove sfide. Ma sono viaggi anche i rapporti e le relazioni interpersonali. Si viaggia all’interno dei sentimenti e gli amori stessi sono viaggi di due sconosciuti che si incontrano per caso e percorrono un tratto insieme. Così come le famiglie quelle in cui nasciamo (unico viaggio che riceviamo d’ufficio) e quelle che scegliamo di costruire. I percorsi di crescita sono viaggi che traghettano dall’infanzia all’età adulta e ogni volta che si conclude un viaggio, la valigia che viene svuotata ha come corrispettivo i ricordi che sono stati creati. Quindi, per tornare alla tua domanda, il viaggio non è solo luogo o destinazione fisica, ma anche un percorso negli affetti e nelle persone. In particolare, dopo tre mesi di lockdown, il viaggio rappresenta un’utopia, intesa come un non luogo che necessariamente non serve esista sulle cartine ma che è necessario per rendere ogni giorno migliore. I toni leggeri sono una cifra che ormai mi accompagna, convinta che il modo migliore per affrontare le tempeste sia sorriderci sopra aspettando sottocoperta che passino.

La storia di un italiano, la storia di tutti noi: Alberto Sordi tra grande e piccolo schermo

Alberto Sordi.
Storia di un italiano
 
di Giancarlo Governi
Fandango, 2020

pp. 255
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Un nuovo libro in occasione dei cento anni dalla nascita di Alberto Sordi avvenuta il 15 giugno 1920? Ammettiamolo: tra i molti modi per celebrare ricorrenze così “tonde” quelli editoriali non sono quasi mai tra i più originali, e difatti, oltre alle iniziative di varia natura, già non si contano le pubblicazioni annunciate o in uscita in memoria del grande attore. Tuttavia, la Storia di un italiano a firma di Giancarlo Governi appena data alle stampe da Fandango ha più di una caratteristica che fa deporre a suo vantaggio e che la distingue dalla pur lecita e rinnovata invasione di biografie, book fotografici, raccolte di amarcord e di testimonianze o puntigliose analisi critiche e cinematografiche. Quello del famoso giornalista, autore, conduttore e “uomo RAI”, difatti, è un contributo a tutti gli effetti sui generis, capace di suscitare l’interesse dei cultori più accaniti dell’artista e dunque dei più saturi accumulatori di materiali a tema. E se ciò accade è proprio per via del focus preciso, vale a dire il racconto di come nacque la trasmissione televisiva che il volume omaggia a partire dal titolo: un progetto per il piccolo schermo a cui Governi e Sordi lavorarono insieme per tre stagioni su quattro (la quarta fu curata da Nicoletta leggeri) dando vita a un’antologia visiva andata in onda nel corso di un decennio (1979-1989) capace di ritrarre le vicissitudini di una nazione e dei suoi cittadini.

Il determinismo della fossa: il ritorno dei Cariolanti di Sacha Naspini

I Cariolanti
di Sacha Naspini
edizioni e/o, 2020

pp. 175 
€ 16,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)



I Cariolanti sono le ombre che si portano via i bambini cattivi, quelli che non mangiano tutto o che disobbediscono a mamma e papà. I Cariolanti trascinano il loro carretto con gli arti lunghissimi e le dita adunche, pronti a ghermire gli indisciplinati. I Cariolanti sono soprattutto gli uomini neri che si aggirano sopra la tana, di notte, in cerca dei disertori. Ma Bastiano e i suoi genitori sono nascosti bene, nel cunicolo scavato dal babbo per sfuggire alla guerra che chiama forte, e pretende. Il bambino cresce nel buio, nella terra e nella polvere, nel silenzio quasi assoluto. Quello in cui si trova viene chiamato indifferentemente “buco”, “tana”, o “fossa”, e in qualche modo determina la sua vita, la costringe a uno stato che rasenta l’animalità, ridefinendo l’individuo in base ai suoi bisogni essenziali e negando tutti i valori validi nel mondo della superficie. 
Il segno lasciato dal buco si ritrova, come un marchio indelebile, anche nei successivi spaccati di vita descritti nei vari capitoli, in cui quasi sempre il narratore interno si rivolge a un tu, che non è mai quello che ci si aspetta e che consente di mettere in evidenza il rapporto quasi disumano, straniante e ammantato di una violenza vissuta come elemento del tutto naturale, che Bastiano ha con l’alterità, in qualunque forma si presenti (“intanto che aspetto di ammazzarti ti racconto l’ultima storia, questa di oggi giuro che è fenomenale”, p. 24).

«Le scatole nere dei telefoni sono le nostre spugne dei vizi»: e se i social scomparissero? "Vie di fuga" di Lucrezia Sarnari

Vie di fuga
di Lucrezia Sarnari
Rizzoli, 2020

pp. 304 
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Che cosa fareste se all'improvviso tutte le comunicazioni telefoniche scomparissero? Immaginatevi senza internet, reti telefoniche, chat, social... Lucrezia Sarnari parte da questa situazione paradossale per indagare come le nostre vite siano ormai profondamente collegate ai social. «Senza telefono Giulia e Carlo non esistevano, non erano niente» (p. 56): lei, insegnante trentottenne di Perugia, ha incontrato l'uomo durante uno dei suoi weekend a Roma, per frequentare un corso di scrittura. La loro relazione extraconiugale è nata e si è alimentata grazie alle chat, ora bollenti ora tenere, che hanno tenuto vicino due che mai si sarebbero altrimenti incontrati. Il telefono è il loro chaperon, chiude un occhio davanti alle vie di fuga che Giulia e Carlo hanno architettato per uscire dal pantano delle loro vite matrimoniali. Ecco, quindi, che quando in apertura del romanzo scopriamo di questa strana tempesta magnetica che ha sospeso le comunicazioni - e non si sa per quanto tempo - è comprensibile il turbamento emotivo della protagonista. Ma Giulia non è l'unica a non saper stare senza telefono: anche le sue amiche, Francesca e Irene, hanno qualcosa da nascondere, qualcosa che fino ad ora hanno taciuto anche alle altre, e che si scoprirà via via nel corso del romanzo. 

L’atteso ritorno dell’oste più perspicace di Bologna: "Gli spaghetti alla bolognese non esistono" di Filippo Venturi



Gli spaghetti alla bolognese non esistono
di Filippo Venturi
Milano, Mondadori, 2020

pp. 204
€ 17,10 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Il romanzo precedente di Filippo Venturi, Il tortellino muore nel brodo, già recensito sul sito, fu una vera e propria rivelazione poiché portò allo scoperto una nuova penna, una delle più interessanti degli ultimi anni. La sagacia, il ritmo narrativo, lo humor: tutto in quel libro era stato magistralmente calibrato – come in una ricetta ben costruita – per la creazione di un’opera davvero piacevole. L’unica pecca? La paura che un romanzo così ben riuscito potesse essere un piatto unico, un’unica portata, senza ulteriori sviluppi di quel personaggio che – abbozzato nel primo romanzo – prometteva davvero molto bene. E invece, dopo un paio anni da quell'uscita, Filippo Venturi offre oggi al nostro palato una nuova pietanza letteraria, rispondendo alle aspettative di quei lettori che avrebbero volentieri continuato a leggere le avventure del protagonista. Tuttavia, una volta ricevuta la notizia dell’uscita del nuovo romanzo, c’era da capire se sarebbe stato all'altezza del precedente. Dopo un’attenta lettura e una riflessione (o digestione, se vogliamo stare nell'ambito culinario) altrettanto approfondita, ci siamo fatti un’idea a tale riguardo.

Una testa piena di parole: "Melody" di Sharon M. Draper

Melody
di Sharon M. Draper
Feltrinelli, 2017

Titolo originale: Out of My Mind
Traduzione di Alessandro Peroni

pp. 256
€ 13,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


Melody ha undici anni e non ha ancora mai detto neanche una parola. Melody infatti è affetta da tetraplegia spastica, una sindrome che limita il corpo, ingabbiando nel suo caso una mente particolarmente funzionante e ricettiva. Fin da quando è piccola, la bambina capisce infatti tutto ciò che accade intorno a lei, memorizza un incredibile bagaglio di parole, assimila concetti e conoscenze, anche in virtù di una spiccata memoria fotografica... eppure, al di fuori dei suoi genitori e della signora V, nessuno lo sospetta: tutti si fermano al suo corpo contratto, ai movimenti inconsulti degli arti nei momenti delle crisi, al fatto che non possa esprimersi se non con versi gutturali e a tratti sbavi. Nessuno immagina la sua ironia, la sua sensibilità, la sua lucidità nel guardare al mondo e comprendere le persone:
Ci sono così tante cose che la mamma non sa. Sono incapace di dimenticare qualcosa: tengo stipato nella mente ogni attimo della mia vita. Credo che sia un bene, ma è anche molto frustrante. Non posso condividere niente di tutto questo con gli altri, e niente se ne va mai via. […]
La maggior parte della gente non è consapevole del vero potere delle parole. Io invece sì.
I pensieri hanno bisogno di parole. Le parole hanno bisogno di voce. Io adoro il profumo dei capelli appena lavati della mamma. Adoro sentire la barba ispida del papà, prima che si rada.
Ma non mai potuto dirglielo. (p. 14, 15)