Faccia a faccia (muso a muso) con Il Lupo: l'eterno scontro tra l'uomo e la bestia in una storia a fumetti di Jean-Marc Rochette

Il Lupo
testi e disegni di Jean-Marc Rochette
colori di Isabelle Merlet
traduzione di Giovanni Zucca
postfazione di Paolo Cognetti
L’ippocampo, 2020

pp. 110
€ 18,00 (cartaceo)



Lo si intuisce già da un significativo dettaglio del titolo, ovvero quella “L” maiuscola che esclude la parola dai nomi comuni di animale, che Il Lupo coprotagonista della storia raccontata e illustrata da Jean-Marc Rochette e appena pubblicata da L’ippocampo ha tutte le caratteristiche di una bestia dotata di personalità e riconoscibilità proprie ed esclusive. Se così non fosse, difatti, non potrebbe tormentare da anni il pastore Gaspard, che dopo la perdita della moglie e del figlio vive volontariamente isolato nel cuore del Massiccio degli Écrins con il suo cane Max e il suo gregge di pecore. Non potrebbe, soprattutto, metterne in discussione il presunto primato sul controllo del territorio, minando le basi di quella insidiosa e ambigua gerarchia che, se da una parte riconosce alle bestie la spontanea supremazia su un habitat (peraltro certificandola con l’istituzione di un Parco Naturale), dall’altra contempla da generazioni e generazioni anche la compresenza antropica, con tutte le occasioni di incontro e scontro che ne conseguono. Così per anni e anni – 5000 per l’esattezza – finché inevitabilmente arriva il momento in cui l’equilibrio non più sostenibile finisce con il rompersi e la resa dei conti tra l’anziano montanaro e la bestia al culmine della sua maturità si prospetta come inevitabile.

C’è molto bianco e c’è molto blu – un blu dalle molteplici sfumature – nelle tavole sapientemente colorate da Isabelle Merlet: il bianco della neve e dei ghiacciai e il blu dei cieli tersi e senza nuvole che, di giorno come di notte, solo le più importanti altitudini sanno regalare. Una tavolozza basica che si presta al meglio a riempire con grandi campiture le tavole geometriche e regolari del fumetto di Rochette, quasi uno sfondo astratto che di volta in volta ospita le scene di calma apparente in cui il pastore e l’animale si studiano e si attendono a vicenda, e quelle in cui il corpo a corpo tra i due, a lungo annunciato, si concretizza per tingersi di tocchi di rosso. Difficile, se non impossibile, decretare chi tra i due uscirà vincitore dalla sfida: forse l’anziano, che nel superare l’evento immaginato per una vita intera potrà ritenersi alfine pacificato, oppure il lupo, membro di una razza di per sé già in armonia con l’ambiente circostante che deve al suo istinto non solo la garanzia della sopravvivenza ma anche la capacità di trarre il meglio dall’uomo (sebbene rivale) senza per questo cedere alle lusinghe di un eventuale addomesticamento? L’autore (peraltro esperto alpinista) non lo esplicita, e lascia a chi legge la libertà di formulare la propria ipotesi.

Per il protagonismo dell’ambientazione (come già accadeva per Ailefroide, pubblicato nel 2018) pare quasi ovvio consigliare Il Lupo agli amanti della montagna, soprattutto a coloro che non la vivono solo come occasione di villeggiatura ma anzi la abitano e la frequentano con il rispetto e l’umiltà che sempre si devono ai paesaggi e agli ecosistemi. Allo stesso modo, il lavoro di Jean-Marc Rochette piacerà anche a chi ama le storie il cui centro coincide con lo scontro tra “cultura” e “natura”, come inevitabilmente viene ricordato anche in coda al volume nella scheda che illustra la vita avventurosa dell’autore:
«aspro, intenso, iniziatico, Il Lupo s’iscrive nella tradizione dei grandi racconti epici in cui l’uomo affronta la bestia, da Moby Dick di Melville a Il vecchio e il mare di Hemingway, passando per Il peso della farfalla di Erri De Luca, anch’esso ambientato sulle Alpi» (p. 109).
Vero è che in questo caso la resa del conflitto è affidata alle immagini molto più che alle parole, e dunque alle inquadrature e ai colori molto più che ai dialoghi e alle didascalie. L’autore, ad ogni modo, fa tutte le scelte più giuste perché quello tra Gaspard e il Lupo si configuri come un rapporto in cui anche i lunghi e necessari silenzi e il susseguirsi di tavole tendenti al monocromo esprimano quanto pagine e pagine di descrizioni e monologhi interiori. Su entrambi, d’altra parte, è pur sempre la montagna a regnare sovrana, con i suoi suoni e rumori e con la sua monumentale indifferenza alle sorti dei viventi: come scrive Paolo Cognetti nella sua Postfazione, «per la montagna, che è tutt’intorno e sopra questi piccoli animali bellicosi, è solo un ciclico cambio di stagione, niente più che l’arrossarsi dei larici, o lo sciogliersi delle nevi» (p. 106).

Cecilia Mariani