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Quella kantiana pace perpetua che non passa attraverso la religione: il saggio di Paolo Naso

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“Le religioni sono vie di pace”. Falso
di Paolo Naso
Laterza, 2019

pp. 132 (cartaceo)
€ 12,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

Forse dovremmo semplicemente abituarci a un’interpretazione più storicizzata e materializzata delle religioni che, pur nello sforzo di non farsi trascinare nelle logiche del mondo, per essere significative e presente devono operare nel mondo, e finiscono così per assumere – talora, e solo talora, contro la propria intenzione – le logiche e i meccanismi della politica. (p. 23)
Dopo essere stato un istituto fondamentale per tutto il medioevo e nell’epoca moderna, soprattutto in Europa, fra l’Otto e il Novecento la religione sembra destinata a un «inesorabile declino direttamente proporzionale alla crescita economica e allo sviluppo del sistema globale» (p. 12). Tuttavia negli ultimi anni assistiamo a un’inversione di tendenza che ha posto nuovamente in mano alla religione lo scettro del potere. Paolo Naso, docente di Scienza politica alla Sapienza di Roma, attribuisce questo fenomeno all’esplosione di tecnologie e alla nascita di società multinazionali che in qualche modo sfuggono al controllo dei singoli Stati – vettori, negli ultimi due secoli, di una qualche stabilità non solo politica ma anche morale ed economica – nonché a un’incertezza generalizzata riguardo il futuro.
Nei momenti di crisi, cioè, le persone si aggrapperebbero a ciò che sembra essere in grado di fornire una qualche spiegazione sul proprio posto nel mondo: il ruolo escatologico della religione tornerebbe dunque in auge proprio in questi periodi di transizione fra un assetto e l'altro.
«L'obiettivo polemico» (p. 3) di questo agile testo è smontare la tesi che la religione, di per sé, possa essere uno strumento di quella pace perpetua che Kant tratteggiava alla fine del XVIII secolo, poco dopo la Rivoluzione francese, dunque, e poco prima di quell’Ottocento tanto moderno quanto socialmente turbolento. Paolo Naso compie un percorso storiografico, attraversando brevemente ma con doverosa diligenza la nostra storia e valutando come l’Europa sia stata di fatto falcidiata dalle guerre di religione, a partire dalle crociate fino alla sanguinosissima Guerra dei trent’anni (1618-1648), senza contare i conflitti del Novecento come quello nella ex Jugoslavia «caratterizzat[a] dalla doppia identità etnico confessionale di croati-cattolici, serbi-ortodossi e bosniaci-musulmani» (p. 64) e in Kosovo fra «serbo-ortodossi da una parte e kosovari musulmani dall’altra» (ibid.), per arrivare, ovviamente, allo scontro degli scontri fra un occidente laico-cristiano e l’ISIS.
Nel ripercorrere le tappe che dal primo medioevo conducono al nostro XXI secolo, Naso non si lascia accecare dalla propria tesi e con lucidità riconosce che, per quanto spesso i testi sacri siano stati motivo di violenza, altrettanto spesso le croci, le stelle di David e le mezzelune sono state un mero pretesto per questioni più propriamente politiche, come ad esempio nella diatriba mai soluta fra Israele e Palestina.
Questo riconoscimento tuttavia non cambia l’impalcatura sostanziale della tesi proposta, ossia che la religione non è e non possa in alcun modo essere lo strumento attraverso cui realizzare la pace la quale, argomenta l’autore, passa necessariamente attraverso altri tipi di testi e altri tipi di discorsi: «la pace è politica o, semplicemente, non è» (p. 112). Seguendo le orme di John Locke, che già nel 1685, quando l’Europa ancora si leccava le ferite dopo la pace di Vestfalia, nella bellissima Lettera sulla tolleranza suggeriva come soluzione la separazione della sfera politica da quella religiosa in quanto «il sovrano non [deve] occuparsi della salvezza delle anime, e […] pertanto non [deve] intervenire sulle speculazioni – pubbliche o private – dei suoi sudditi a meno che queste non abbiano effetti nocivi per la coesione della società politica» (p. 55), Naso torna a osservare come anche oggi – soprattutto oggi – non possa esservi pace senza libertà religiosa; una libertà religiosa «che però non si propone come “sottrazione” di spazio pubblico alle confessioni religiose o ai sistemi di pensiero filosofici ma, al contrario, come un nuovo pluralismo in grado di assumere il contributo delle diverse organizzazioni confessionali e associazioni filosofiche al dibattito democratico» (pp. 116-7).
Insomma, in questa Europa che teme per la propria identità a causa dei massicci flussi migratori; in questa Europa che oggi più che mai si ritrova compatta sotto la croce, sempre troppo spesso invocata dalle destre di ogni nazione; in questa Europa in cui sopravvive la paura verso lo straniero, il quale sempre più spesso assume i caratteri del barbaro che spinge alle porte di un tardo Impero romano; in questa nostra Europa così fragile da esserci sembrato a volte solo un bel sogno, ciò che ancora una volta può salvarci è, da un lato, il riconoscimento del fatto che «le religioni sono costruzioni umane» (p. 110) e come tali sono imperfette come imperfetto è tutto ciò che è umano, e dall'altro il riconoscimento che la diversità non sempre è qualcosa da temere, un nemico da neutralizzare, inglobare o sfruttare, bensì qualcosa che può portare elementi aggiunti, ricchezza, cultura.
In conclusione, dunque, il breve saggio di Paolo Naso, pur con qualche piccola fallacia di petitio principii, è un testo in grado di riflettere con trasparenza sulla nostra storia e sul nostro presente e da cui trarre più di un’ispirazione. Per goderlo al meglio consiglio la lettura dei classici della filosofia da lui citati a partire – ma questo dovrebbe valere per tutti, a prescindere – dalla Lettera sulla tolleranza di Locke, che personalmente ritengo una delle letture più edificanti che chiunque possa (e debba) compiere, ieri come oggi.

David Valentini




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