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Salinger, la vera storia di un genio: tra biografia e riflessione critica, il ritratto di uno scrittore inafferrabile

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Salinger. La vera storia di un genio
di Kenneth Slawenski
Newton Compton Editori

Traduzione di Nello Giugliano e Giulio Lupieri

pp. 428
€ 14,90 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)



Dieci anni dopo la sua scomparsa – nove, per la precisione – siamo ancora ossessionati dal mistero Salinger.
Forse ha ragione Kenneth Slawenski, autore della biografia bestseller internazionale dedicata allo scrittore americano e di recente tradotta anche in italiano per Newton Compton editori, la nostra morbosa curiosità verso JD si nutre del rimprovero «per il suo precoce ritiro, come se dovesse al mondo più di quanto aveva già dato». Eppure, a rischio di suonare blasfema, quello che Salinger ha consegnato ai suoi lettori - e, stando alle recenti indiscrezioni, quello che sta per essere pubblicato - a  me basta. Di cos’altro abbiamo bisogno quando a disposizione dei lettori ci sono un romanzo che ha cambiato per sempre la cultura americana e una manciata di racconti praticamente perfetti? Il percorso biografico tracciato nei suoi punti essenziali, quelli che in qualche modo possono aiutarci a meglio comprenderne l’opera e la sua evoluzione, niente di più. A me, questo basta davvero. Non ho bisogno di setacciare il web alla ricerca di immagini rubate e filmati inediti di un uomo che della riservatezza aveva fatto uno stile di vita; non ho bisogno di scandagliare la sua vita, cercarne traccia tra le righe di ogni opera; non ho bisogno di leggere l’ennesimo articolo che punta a svelarne il mistero, a rivelare i lati oscuri e il privato di un uomo che forse, desiderava semplicemente essere lasciato in pace, scomparire dietro la scrittura. Io ho i libri di JD Salinger, questo è più che abbastanza. Tutto il resto sono chiacchiere, speculazioni, morbosa curiosità e caccia allo scandalo. Forse la mia ostilità nei confronti di questa ossessione per l’uomo dietro lo scrittore è in parte dovuta alla lettura a dir poco deludente di quella che ero sicura sarebbe stata l’ultima biografia di Salinger a cui mi sarei avvicinata, “Salinger: la guerra privata di uno scrittore”, di Shields e Salerno: cinque anni dopo sono ancora perplessa di fronte a uno dei saggi meno riusciti il cui clamore appare oggi come allora magistralmente costruito. Capirete bene con quanta diffidenza mi sia avvicinata, quindi, alla lettura della biografia scritta da Slawenski, poco importa se il libro arrivava in Italia dopo il successo internazionale e un sito internet considerato dal New York Times la migliore risorsa online su Salinger.
Ora, a scanso di equivoci, chiariamo subito che anche quest’opera presenta alcuni difetti e mancanze, ma, nel complesso, è senza dubbio un lavoro notevole, interessante, un ottimo punto di partenza per approfondire il lavoro di Salinger. Perché a mio avviso sta proprio lì il nodo centrale, quello che conta: ricostruire la vicenda biografica dell’autore passando per i punti più salienti ma concentrandosi soprattutto sulla sua opera, evitando speculazioni e intrusioni nel privato a caccia di scandali da svelare. Perché, ancora mi chiedo, ci ossessiona così tanto la vita privata di Salinger? Cosa non gli perdoniamo? La fama – ottenuta con il lavoro ostinato – , il successo di pubblico e critica? Il riserbo con cui proteggeva sé stesso e la sua famiglia? Il rispetto assoluto per i suoi lettori, che si tramutava in rinuncia a pubblicare qualcosa che non ritenesse meno di perfetto e, di conseguenza, un corpus limitato di opere consegnate al suo pubblico? Il ritiro dalla vita pubblica, l’isolamento, che ne hanno alimentato dicerie e leggenda? Che cosa vogliamo, ancora, da Salinger? 

Lo ribadisco ancora una volta: tutto ciò che voglio, tutto ciò che conta, per me, sono Holden, Franny, Seymour, Esmé e tutti gli altri straordinari personaggi che prendono vita tra le pagine. E, in buona misura, un lavoro come quello di Slawenski, costruito con sufficiente rigore, da cui si avverte in ogni pagina l’amore incondizionato per l’opera di Salinger che tuttavia riesce a tenere a bada per osservarne il lavoro e la vicenda biografica con il dovuto distacco, gli spunti critici da cui partire per approfondire il discorso, la ricostruzione dei punti salienti della vicenda umana e professionale. Un buon libro, senza dubbio il punto di partenza ideale per il lettore che si avvicina all’opera di Salinger e un buon ripasso della stessa, che si legge agilmente.
Slawenski tenta di ricostruire vicenda privata e percorso professionale, in bilico fra biografia e analisi critica per consegnare al lettore il ritratto dell’uomo e dello scrittore rinunciando a porlo su un altare o, per contro, gettarlo nel fango, ma affidandosi semplicemente alla ricerca e alla rilettura delle opere di Salinger. Un buon libro, si diceva, in cui non mancano alcuni difetti tra cui, soprattutto, un apparato critico bibliografico inesistente, la superficialità a tratti con cui vengono affrontati passaggi cruciali, un equilibrio tra biografia e riflessione critica appunto che non sempre risulta efficace. Siamo lettori esigenti, soprattutto quando riguarda Salinger, e, nel mio caso, particolarmente prevenuti nei confronti di biografie dedicate allo scrittore newyorkese. Resta, tuttavia, un lavoro interessante, per sua natura non davvero esaustivo e specialistico, ma un buon punto di partenza e capace di generare riflessioni sull’opera di Salinger e, in generale, sul rapporto dello scrittore con il mondo editoriale, con il pubblico, sulle intrusioni che i lettori si sentono in diritto di poter compiere nella vita privata di qualcuno che pagina dopo pagina sentono di conoscere, sull’ossessione per quello che non riusciamo mai davvero ad afferrare e svelare. Sulla leggenda Salinger, che resta ancora un mistero. Interessante, tra le altre cose, la ricostruzione del complesso rapporto dell’autore con il mondo editoriale, le numerose delusioni e i rapporti complicati con editor e giornalisti che ne hanno caratterizzato la carriera, fino all’ostinazione con cui è riuscito a ottenere il controllo totale sulla propria opera in ogni particolare. Era Salinger, dopotutto, l’autore di punta del New Yorker, il geniale creatore di Holden – che ha passato il resto della propria vita cercando di schivare l’ossessione del suo pubblico che con lui vuole a ogni costo identificarlo – in bilico perenne tra spirito ed ego, assoluta devozione alla scrittura, rispetto per i suoi lettori e solitudine.

Tra i meriti principali di questa biografia va senz’altro riconosciuta l’attenzione di Slawenski per il periodo bellico, l’orrore vissuto da Salinger durante la guerra come agente del controspionaggio, il D-Day, la terribile esperienza della foresta di Hurtgen e tutto ciò che ne è conseguito, quello che oggi definiamo come disturbo da stress post traumatico. Anche dell’esperienza bellica Salinger aveva deciso di non parlare in prima persona, come se l’orrore a cui aveva assistito non potesse trovare parole adeguate per essere raccontato. Conosceva un solo modo per farlo, la scrittura. E da laggiù, dall’Europa devastata dalla guerra, dalla morte e dalla sofferenza, sono nate le sue pagine migliori, quelle che venivano fuori anche a distanza di decenni. Scrivere per sopravvivere. Scrivere per non abbandonare all’oblio i suoi commilitoni, le persone che nel corso della vita ha amato e perduto, scrivere per combattere i demoni che ognuno di noi in misura diversa si porta dentro. Ma, soprattutto, scrivere per ricordarsi di tutta la bellezza che c’è nel mondo, dell’alienazione di cui soffre l’uomo contemporaneo ma anche della fede assoluta nella connessione tra le persone e, più di ogni altra cosa, desiderio di preservare l’innocenza. Slawenski torna più volte su questi elementi costanti nella vita e nell’opera di Salinger, quegli stessi che ogni lettore e critico non può fare a meno di notare immediatamente addentrandosi in quelle pagine, la grazia con cui lo scrittore riusciva a guardare il mondo e l’uomo, nonostante tutto. E, ancora, il profondo rispetto che aveva per i suoi lettori, una lezione assimilata da Faulkner e mai dimenticata, il centro di ogni parola scritta e consegnata al suo pubblico.

Ecco, anche un silenzio che dura da vent’anni lo considero l’ennesima dimostrazione di una tacita promessa fatta da Salinger ai suoi lettori.

Debora Lambruschini