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#PagineCritiche - "Nella setta", si alza il velo sul business dell'associazionismo

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Nella setta
di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni
Fandango, 2018



pp. 365

€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


"C’è un’Italia che esiste, ma non si vede": quella dei membri delle sette. Parliamo di migliaia o milioni di individui sparsi da Nord a Sud, una vera e propria nazione nella nazione, con delle regole, dei codici di condotta e di fedeltà. Con autorità, poteri e controlli e, naturalmente, un patrimonio.
Su questa nazione, o meglio sulle sue manifestazioni variamente denominate e organizzate, hanno provato a far luce Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, autori di Nella setta.
Il metodo dei due giornalisti segue diverse direttrici: a monte c’è un’indagine documentale (articoli di giornale e libri sull’argomento sono il punto di partenza dell’inchiesta). Successivamente, si passa ai tentativi di approccio più concreti: Piccinni e Gazzanni si recano nei luoghi in cui operano le sette, negli edifici amministrativi e del culto. Conosciamo in questo modo le sedi di Scientology a Milano e quella di Damanhur, a Vidracco (Piemonte).


Anche se la scrittura risente dell’accumulo di materiale esaminato e raccolto, rivelandosi non sempre scorrevole e talvolta ripetitiva, il libro è una risorsa per chi voglia saperne di più sul mondo delle sette, grazie alle testimonianze e agli spunti di approfondimento e di critica (in primis quelli sul rapporto opaco tra associazioni e mondo politico).

La prima cosa che scopriamo è che entrare in una setta è molto più semplice di quanto si pensi: lo dimostrano proprio i tentativi di approccio fatti dagli autori. Nonostante il loro atteggiamento guardingo, in men che non si dica i due forniscono dati personali e si impegnano a seguire corsi (a pagamento, nemmeno a dirlo) o ad acquistare gadget e amuleti.
Il sorriso e la gentilezza sono al servizio di uno scopo occulto: non solo associare formalmente, attraverso i moduli e le quote di iscrizione, ma agganciare la preda soprattutto emotivamente, irretirla. Blandirla per farla cadere nella ragnatela.
Una delle regole [...] è proprio quella di non smettere mai di parlare, e di farlo rapidamente, sorridendo sempre perché “sorridere è la cosa più importante che ci sia. Non sorridere la cosa più grave che ti possa accadere”. (p. 18) 
Cosa succede una volta che si è nella setta? I due giornalisti non lo sperimentano in prima persona, associarsi è rischioso. Per scoprirlo, Piccinni e Gazzanni individuano e intervistano i fuoriusciti. Operazione, questa, non priva di difficoltà: anche chi ne è fuori continua a nascondere la sua storia, in parte per vergogna, in parte per paura. Spesso per solitudine: entrare in una setta vuol dire rompere i legami con l’esterno; e a chi ne esce, la setta (o la religione con caratteri settari: nel libro si riportano anche episodi accaduti tra i Testimoni di Geova) fa terra bruciata intorno.
E così i “fuoriusciti”, se parlano, sono protetti dallo schermo di nomi finti, come fossero testimoni di una giustizia che - per ora - gli è negata.

La caratteristica della setta, infatti, rimane la segretezza: dei metodi, dell’appartenenza, degli scopi, delle entrate. E così, anche se chiunque può far parte di una setta, questa nazione nella nazione “non si vede”.
L’invisibilità è anche giuridica, legislativa: il mondo delle sette si nasconde dietro forme di associazionismo, e come tale si manifesta all’esterno, sfuggendo al sindacato sul proprio operato, sui metodi e sulle entrate. Quando si ammanta di forme religiose, giunge addirittura a chiedere (e ad ottenere: è il caso della Soka Gakkai) il riconoscimento della natura di culto, per avere accordi con lo Stato e privilegi sotto il profilo dei controlli e fiscale.

La setta, infatti, ha un suo patrimonio; la setta è un vero e proprio business. Il meccanismo è quello delle tessere fedeltà: più privilegi vuoi, più devi spendere; ma più spendi, più sarai importante, più sarai messo a parte di misteri, segreti, come raccontano i fuoriusciti intervistati.
Il sapere, cui vengono introdotti i membri, viene trasmesso loro un po’ alla volta, in ragione della capacità mostrata di poterlo accogliere in modo appropriato. (p. 112) 
L’altro strumento di controllo, oltre ai soldi, è quello sessuale: non ovunque, ma dove è presente (lo rivelano ancora le testimonianze raccolte) si esercita indifferentemente su persone consenzienti e non, adulte e non. E qui si apre un altro, inquietante filone di indagine.
La presa sulla persona ha il collante principale nella solitudine o in un momento di debolezza; entrambe situazioni che la setta tende a favorire e sulle quali, concludono gli autori, si deve agire per scardinare il sistema.

Francesca Romana Genoviva