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Come la lente d'un caleidoscopio: Massimo Bocchiola, «Gli ultimi giorni di agosto»

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Gli ultimi giorni di agosto
di Massimo Bocchiola
Il Saggiatore, 2018

pp. 147
€ 19,00 (cartaceo)




Possiamo dire, senza dubbi né esitazioni, che Massimo Bocchiola è uno dei maggiori traduttori contemporanei. Nel suo fittissimo curriculum compaiono opere di – solo per citare alcuni nomi - Pynchon, Auster, Foer, Kipling, Bukowski, Welsh. La sua fama di raffinato traduttore si affianca a quella di fine scrittore: nel corso della sua lunga carriera, infatti, Bocchiola si è dedicato anche alla scrittura di poesie e di opere originali, come le raccolte di componimenti Al ballo della clinica (Marcos y Marcos, 1997), Le radici nell'aria (Guanda, 2004) e Mortalissima parte (Guanda, 2007), i saggi storici Teutoburgo, 9 d.C. (Rizzoli, 2005) e Canne – descrizione di una battaglia (Mondadori, 2008), scritti in collaborazione con lo storico Marco Sartori, e infine i romanzi (Il treno dell'assedio, Il Saggiatore, 2014).
I suoi estimatori hanno potuto, inoltre, leggere un interessante saggio-memoir in merito alla sua professione: nel bellissimo Mai più come ti ho visto – gli occhi del traduttore e il tempo (Einaudi, 2015), Bocchiola racconta il mestiere di traduttore letterario, in un'appassionante dissertazione sul valore e sul significato della traduzione.
Gli ultimi giorni di agosto è il secondo romanzo che esce per la casa editrice Il Saggiatore, e con questo libro Bocchiola afferma ancora una volta la sua raffinatezza compositiva. Il libro è un viaggio a ritroso nei luoghi del passato, una sequenza di immagini ed episodi rivisti con l'occhio nostalgico e lucido del presente. Un tributo a ciò che ha contribuito alla crescita e alla formazione dell'autore.

Il libro si compone di due parti, intitolate rispettivamente Febbri e Antidoti, ed ognuna di esse è divisa in sottocapitoli, brevi prose a cui vengono affidate le memorie del passato. Immagini, riflessioni, ricordi letterari: tutto concorre alla creazione di un paesaggio policromatico, osservabile da differenti punti di vista, con la conseguente formazione di un interessante caleidoscopio attraverso il quale osservare l'esistenza.
In apertura troviamo un uomo di fronte ad uno specchio e in queste prime pagine del libro il racconto passa agevolmente dalla terza alla prima persona. Due voci, quindi, eppure una sola: esse si sovrappongono, si confondono, e ben presto è l'io narrante a guadagnarsi il centro del palcoscenico. Dalla prima suggestiva immagine dell'uomo riflesso parte un monologo, una narrazione intima, in costante equilibrio tra il sogno e l'infanzia. Ogni capitolo è costituito da brevi flashes, immagini strappate al tempo che fu, le quali formano una rapida e intensa carrellata di momenti chiave, visti con uno sguardo attento e talvolta nostalgico. Nel racconto degli eventi, pian piano la patina superficiale degli episodi viene meno, ed essi diventano significativi frammenti di un mondo che ormai non esiste più. Ai fantasmi del passato, tuttavia, vengono contrapposti degli antidoti in grado di riequilibrare l'uomo, tratti anch'essi dalla vita passata.
La prosa di apertura è particolarmente significativa:
«Sembra però tipico di un certo momento dell'anno, o della vita – probabilmente proprio questa fine agosto – il farsi vivo del fantasma di noi stessi, del nostro corpo e dei nostri ricordi, quasi improvvisamente più precari (il primo come i secondi) e meno affidabili. A lui che sta guardandosi allo specchio, come a molti nella sua posizione attuale, il proliferare di queste larve causa uno stato affine alla patologia, ma blanda; una febbricola, ma articolata nelle sue attinenze, a cui si vorrebbe rimediare con altrettanti antidoti.
Sì, però è inutile illudersi che ce ne siano così tanti in commercio: meglio farsi bastare quelli a disposizione nel proprio sanatorio personale, che somiglia più o meno a tutti gli altri.» (p. 12)
Per tutto il libro si avverte un lirismo fortemente accentuato, una sorta di poesia della mancanza e del ricordo, in grado di restituire con piena efficacia quel parallelismo istituito tra le stagioni dell'anno e quelle della vita:
«Si somigliano in modo così trito, il tardo agosto e il declino della nostra maturità, che a un palato impaziente il confronto riesce stucchevole come lo zucchero delle vigne di cui l'afa che torna a intermittenza sembra verniciare l'aria.» (p. 56)
La malinconia del tempo che fu si mescola alla tacita gratitudine per quegli antidoti che consentono il riequilibrarsi degli umori, e il tutto è veicolato dalla straordinaria capacità narrativa di Bocchiola: le descrizioni sono fortemente evocative e dimostrano un'eccezionale abilità di scrittura:
«Adesso è tardo agosto. L'aria che sta cambiando comincia ad avere degli spigoli, ma non ancora spigoli taglienti. La luce resta estiva: soprattutto continuano frequenti le vampate, qualche volta le ondate, di calore cocente. Però il sole è ogni giorno più basso, i raggi obliqui, la vita degli insetti comincia a diventare frettolosa, frenetica, premuta dalla notte e dall'esaurirsi dei cicli vitali.
I frutti più sugosi sono stati raccolti. O meglio, così sembra guardando il pometo: ma non è del tutto vero. I fichi che appesantiscono i rami hanno natiche grasse come conigli d'allevamento, l'uva si gonfia dal tramonto all'alba sfidando le vendemmie.» (p. 55)
Così, tra una fitta rete di riferimenti letterari e di richiami intertestuali, si dipana il racconto delle febbri e degli antidoti in grado di porre rimedio al malessere esistenziale, potremmo dire quasi ontologico, che accompagna l'uomo in questo periodo cristallizzato nel tempo.
Il libro si presenta, così, come una felice conferma del talento narrativo dell'autore: Bocchiola, infatti, si muove tra i frammenti di una vita passata con delicatezza ed estrema attenzione, osservando il mondo circostante con uno sguardo limpido e malinconico, mai infelice, piuttosto grato per gli antidoti che la vita gli ha fornito e conscio del percorso svolto.
Inoltre, egli riesce abilmente a fondere nell'opera la sua duplice natura di scrittore e traduttore, mettendo in apertura di alcuni capitoli delle citazioni, di autori famosi o canzoni, tradotte in dialetto lombardo. Tra queste, brani tratti da Louis MacNeice (Autumn Journal), Giorgio Caproni (Ad portam inferi), Plinio il Vecchio (Naturalis Historia) e così via.
Un libro unico, decisamente anticonvenzionale e fuori dalle proposte della narrativa contemporanea, in grado di suscitare nel lettore una profonda partecipazione per i fatti della vita.

Valentina Zinnà
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