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Il prete bello - Un universo di personaggi sbucati dal passato filtrato dagli occhi di un bambino

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Il prete bello
di Goffredo Parise
Adelphi, 2010 (I edizione 1954)

pp. 259

€ 20 (cartaceo)
€ 10,99 (e-book)

In quei tempi, in cui non si udivano altro che inni - la guerra non c'era perché tutti dovevano aver paura degli italiani -, in cui la bandiera aveva due stemmi e Tito Schipa cantava la più bella canzone del mondo, "Vivere senza malinconia", don Gastone Caoduro, fiore di serra, spuntò, crebbe e si abbellì in quel cortile in mezzo a noi, simile a un'orchidea in un cumulo di spazzatura. Forse era il destino a mandarlo. Dal momento che l'idolo più grande non bastava a tutti i caseggiati d'Italia, il cielo ce ne spedì in terra uno che fosse per nostra esclusiva adorazione, in via Corpus Domini numero 18, bello, a somiglianza di eroe ma, per un certo ordine e buon costume, in abiti da prete.
Da sempre sono un'assidua lettrice di opere realiste, ma Goffredo Parise (nato a Vicenza nel 1929 e deceduto a Treviso nel 1986) era sempre sfuggito dal mio radar
Un giorno, girovagando in rete, mi sono imbattuta nel suo romanzo forse più famoso, Il prete bello (Adelphi, 2010), uscito in Italia per la prima volta nel 1954. Scritto tra l'ottobre e il dicembre del 1953, quando Parise si era appena trasferito a Milano per lavorare da Garzanti e pubblicato proprio da questo editore in seguito al rifiuto di Leo Longanesi, riscosse un enorme successo, tanto da venire ristampato da numerosi editori italiani e tradotto presso le più celebri case editrici del mondo.

Ambientato a Vicenza nel 1940, la storia viene narrata da un bambino figlio di N.N., Sergio, che con la sua banda di amici, la "naia", scorrazza per la città e ci descrive un microcosmo di personaggi talmente surreali da attirare ben presto le simpatie del lettore, tra i quali menzioniamo: la signorina Immacolata, quella che oggi si definirebbe bonariamente una single incallita, ma che allora era solo la ricca e triste zitella padrona del palazzo; le signorine Walenska, simbolo di un'aristocrazia ormai decaduta, vestite con eleganti piume di struzzo, ma che riescono a riscaldarsi solo amplificando con una lente il "miserabile raggio di sole, tisico, marcio, ultravioletto fino all'inesistente" che entra dalla loro finestra al tramonto; ancora, assistiamo alle vicissitudini del Cavalier Esposito, vedovo napoletano  con due figlie che tiene rinchiuse in casa ed il cui odore crea uno "strano miscuglio" di aromi "meridionali" dolciastri, fervente ammiratore del fascismo ed  orgoglioso unico possessore di un gabinetto personale.

Tra le pieghe di questa variegata umanità si inserisce Don Gastone Caoduro, giovane sacerdote prestante e vanesio, sogno proibito di tutte le donne del quartiere, che affida la propria biancheria da rammendare proprio alle zitelle abitanti nel palazzo di Sergio, infondendo un'aura di ambiguità a tutte le sue azioni.
Sapeva tutti i buoni odori di questo mondo ma era privo di quello che gli sarebbe spettato per dote, quello di cui la Provvidenza avrebbe dovuto fornirlo per prima cosa a custodia della sua illibatezza: l'odore del prete. Odore non aveva; non un minimo d'incenso si attaccava al tessuto della sua tonaca, un sentorino di cera neppure quello, o quel selvatico che prendono i sacerdoti fin dagli anni del seminario.
Preda di una smodata ambizione letterario-mondana, pubblicizza il suo libro nel quale racconta le gesta di cappellano di guerra, ma è assai demoralizzato dalla mancanza di recensioni, tanto da chiedere invano spiegazioni al redattore del giornale della città che, sfinito dalle sue continue richieste, lo maltratta e gli urla contro.

L'intero quartiere viene in seguito scosso dalla venuta della giovane e bella Fedora, ragazza di dubbia moralità della quale anche Don Gastone, figura quanto mai lontana a quella "Buona Chiesa" di manzoniana memoria, si innamora follemente, evento, questo, dal quale deriveranno numerosi stravolgimenti che condurranno ad un finale drammatico e toccante ben lontano da quella genuina comicità che avevamo scorto per tutto il corso del libro.

La storia narrata da Sergio ne Il prete bello ben incarna il viaggio che ognuno di noi intraprende fin dalla inconsapevolezza dell'infanzia per giungere alla maturazione ed alla durezza della vita, e per descrivere al meglio questo mutamento Parise utilizza il piccolo mondo che si trova all'interno di un cortile di una cittadina cattolica e asservita al fascismo.

Se bellissime sono le descrizioni sensoriali adoperate dall'autore (come quella di Sergio che col vestito nuovo sembra "uno strano uccello con la gola coperta di morbide e delicate penne"), una menzione d'onore meritano certamente anche quelle situazioni e quegli oggetti (come il presepe composto da statuine di mollica di pane) che Parise tratteggia all'interno di questo romanzo picaresco dal sapore autobiografico che il critico Emilio Cecchi definì su "Il Corriere della sera" come attraversato da una "vena di angosciosa poesia, un dono verbale agile e impetuoso".

Lo stesso autore raccontò in un articolo pubblicato su "Il Resto del Carlino" il 5 ottobre 1957:
Avevo pubblicato già due romanzi, essi avevano ottenuto un buon successo di critica ma pochi li conoscevano ed erano introvabili. Volevo dunque scrivere un altro romanzo che mi tenesse compagnia durante l'inverno milanese, che mi divertisse, che mi commuovesse quel tanto da cacciare il freddo e la solitudine: un romanzo con molti personaggi allegri e sopra ogni altra cosa un romanzo estivo che mi facesse un poco caldo.
Di certo all'interno de Il prete bello (dal quale nel 1989 è anche stato tratto un film per la regia di Carlo Mazzacurati) l'allegria è quasi un sussurro che si insinua nelle miserie umane, nei dolori e nelle tragicità di uomini e donne che si trovano a dover affrontare una sopravvivenza quotidiana.

Ne emerge un ritratto dolce e struggente di una società, di un'epoca e di un luogo i cui residui ancora  oggi si possono scorgere in controluce (la morbosità per le vite altrui, la povertà umana e culturale, i riti di iniziazione), filtrati dagli occhi di un fanciullo che si apre al mondo.

L'opera di Goffredo Parise è stato una scoperta sensazionale, che ci permette di inserirlo a pieno titolo tra i più bravi esponenti del romanzo neorealista e che consiglio a quanti hanno voglia di fare un salto indietro nel tempo.

Ilaria Pocaforza