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«Ci sono doni che rovesciano la nostra vita e ci portano»: la maternità di Maria

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Lei
di Mariapia Veladiano
Guanda, 2017

pp. 171
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Sono una donna corale.
Un'opera collettiva senza il nome degli autori segnato in fondo.
Sono stata scritta da uomini e donne di ogni tempo. Mi hanno vista bambina, signora, gran dama, regina, spaventata, incantata, sgomenta, solenne, vestita di perle e di sacco. Sono stata di tutti come l'aria che si respira, l'acqua che dà vita, l'abbraccio di cui si ha bisogno.
Sarò di tutti ancora e per sempre, sono madre e non c'è fine al desiderio di essere figli. (p. 5)
Inizia così il nuovo romanzo di Mariapia Veladiano, Lei, uscito pochi giorni fa per Guanda e dedicato alla donna certamente più amata e celebrata dalle arti nei secoli: la Madonna. L'autrice riprende i fatti presenti nelle scritture, ma lascia che a raccontarli sia proprio lei, Maria, io-narrante d'eccezione, che rivela di pagina in pagina la propria straordinaria, annichilente e salvifica bontà. Scelta audace, direbbe qualcuno; potenzialmente folle, in un presente che vira sempre più verso la laicità. Ma scartare il libro a priori è decisamente discutibile: la scritta "romanzo" in copertina, sotto al titolo, conferma che non si tratta di un'opera religiosa, ma di una sorta di autobiografia di madre, umanissima e di straordinaria eleganza. D'altra parte, il fedele non deve temere di incappare in una riscrittura blasfema o irrispettosa: le Scritture restano la base e la trama di tutto il romanzo, ma Veladiano si è calata nei panni di Maria per sentire con lei cosa è davvero accaduto in quei trent'anni o poco più in cui la sua vita è cambiata per sempre. 

A partire dall'Annunciazione, vissuta con comprensibile timore («Allora non sapevo nulla e l'Angelo era un gioco di bambina», p. 13) e smarrimento («Come succede questo avere un bambino? Io non conosco uomo», p. 20), a cui segue la forza della fierezza di diventare strumento di Dio. E poi arriva Gesù, un bambino apparentemente uguale agli altri neonati, da contemplare «incantata e in silenzio» (p. 29), con l'estasi della madre che osserva suo figlio, a cui cantare ninnananne che i Vangeli non ricordano. 
Maria non è stata silenziosa ed è in questo romanzo che Veladiano cerca di darle la parola e quando le emozioni diventano troppo forti, la prosa si spezza e cede il passo alla poesia dove le emozioni hanno la meglio, il tempo si mescola e passato e presente si intersecano. 
Infatti, la Maria-narratrice conosce bene quanto è destinato ad avvenire ed è effettivamente avvenuto: si tratta di un racconto a posteriori, in cui i brevi capitoli riprendono questo o quell'evento della vita di Maria-personaggio. Nonostante l'impostazione perlopiù cronologica, non mancano prolessi e analessi: è Maria a decidere cosa raccontare, come e quando e, soprattutto, con quali parole esprimere i suoi sentimenti. 
Una costante attraversa tutto il romanzo: l'umiltà, l'umiltà di una madre che fa di tutto per crescere il figlio ricevuto in dono e per accettare le prove:
La vita è questo servire la vita, servire e amare la vita e accogliere la gioia che viene e il tempo in cui gioire è impossibile. Tutto si consegna e diventa salvezza. (p. 59)
Ma anche un'umiltà stilistica, che punta alla brevità, talvolta sapienziale («Lui ha dato pane, loro volevano potere», p. 139) e lapidaria nella sua cocente universalità («Non si mette al mondo un bambino per il dolore», p. 104). Ed è anche per questo, per la tenera determinazione di madre, che Maria è un modello per ogni donna che stringa (o che sogni di stringere) un figlio tra le sue braccia. Allora il romanzo, di cui non ci si stanca mai di ribadire l'eleganza pur nell'apparente semplicità del dettato, diventa una stella cometa che va oltre Nazareth, per richiamare a sé lettori che apprezzano la delicata determinazione di un messaggio in grado di travalicare il tempo, stimolare l'immaginario, rinfocolare la fede nell'amore familiare. 

GMGhioni