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La "droga" della serialità secondo "Addicted"

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Addicted
di autori vari (a cura di Carlotta Susca)
LiberAria, 2017

129 pp.
€ 10,00



L'assunto di base dell'ultimo agile libro di LiberAria è che le serie tv siano in grado di creare dipendenza esattamente come l'alcol e la nicotina. L'assunto ha un fondo di ironia ma non è affatto lontano dalla verità: chiunque abbia affrontato una maratona televisiva o sia caduto nella rete del binge watching conosce bene la sensazione di straniamento che resta dopo il "ritorno alla realtà". L'immersione completa nell'immaginario della serie tv ‒ non molto diversa da quella del libro ‒ può essere così coinvolgente da lasciare storditi, soprattutto se l'universo intorno a noi, avvolto nella notte silenziosa, non offre altrettanti stimoli. Il mondo intero in questi momenti si riduce allo schermo, ma al contempo si amplia proiettandoci accanto a personaggi, luoghi ed eventi che sappiamo essere fittizi eppure sono ancora in grado, grazie alla sospensione dell'incredulità tipica delle opere di fantasia, di portare qui-e-ora ciò che qui-e-ora non è.

I cinque saggi che compongono Addicted dunque mirano a indagare questo fenomeno, e ci riescono bene seppur con qualche lacuna, prima fra tutte l'assenza di fondamentali serie tv attualmente diventate cult e che perfettamente avrebbero reso il concept del libro. Penso ad esempio alla grande assente per eccellenza, la serie tv (in realtà la serie di libri, ma qui appunto si parla di un'altra categoria) che ha modificato strutturalmente l'immaginario fantasy e, scavando ancor di più, addirittura il modo in cui qualcosa può essere portato sul piccolo schermo: sto parlando di Game of Thrones che, sebbene nato da quel capolavoro del fantasy contemporaneo che è Le cronache del ghiaccio e del fuoco, è riuscito a prendere vita propria e imporre una presenza di tolkeniana memoria ovunque, dal merchandise ai cosplay, dai modi di dire (Valar morghulis) allo studio della lingua. Se pensiamo alle reazioni di tutto il mondo alla notizia che per l'ultima stagione bisognerà attendere quasi due anni, è impossibile che in testa non si formi la parola "dipendenza".
A parte questa (non troppo) piccola lacuna, che in ogni caso è solo un esempio perché altri se ne potrebbero fare, i cinque saggi raccolgono bene la sfida e approfondiscono i diversi aspetti della "dipendenza da serie tv". Quello più riuscito è forse quello di Marika Di Maro, La trama e il personaggio, che si sofferma soprattutto su quell'arco di trasformazione del personaggio a cui tanto si è interessata Dara Marks nel libro omonimo. Quasi superfluo è affermare come seguire da vicino le vicende del personaggio sia uno dei maggiori elementi di bonding fra lettore e libro (in questo caso spettatore e serie tv). L'esempio dell'evoluzione di Sheldon Cooper di The Big Bang Theory è calzante a tal proposito perché, sebbene spesso si sia gridato allo "snaturamento" dello Shelbot, quello è di fatto un personaggio che in dieci anni di serie tv è cambiato, rimanendo fedele a se stesso e al contempo migliorandosi e superando il proprio fatal flaw. Capire come un personaggio può riuscire a superare i propri limiti è qualcosa che incuriosisce, che affascina; che, appunto, crea dipendenza.
Interessante è anche il primo saggio, Le altre vite del cinema di Leonardo Gregorio, che analizza il modo in cui tre serie tv ‒ Ash vs Evil Dead, Minority Report e Fargo ‒ abbiano preso vita a partire dagli omonimi film (e, nel caso di Minority Report, anche come la serie tv si relazioni al libro originario di Philip K. Dick). In questo saggio si affronta con la dovuta perizia il tema di quella che potrebbe definirsi la "originalità della copia", ossia il rapporto delicato fra format originale e sua derivazione: è complesso infatti dare dignità e indipendenza al nuovo prodotto senza però perdere i contatti con le origini. È un po' la difficoltà che sta affrontando, per fare un solo esempio, la saga di Star Wars, che già nei primi anni Zero ha dovuto confrontarsi con gli originali episodi IV, V e VI e che adesso vede l'imporsi di nuovi personaggi che necessariamente devono andare a sostituire gli indimenticabili Darth Vader, Yoda, Han Solo, Leila Organa e Luke Skywalker.
Addicted è dunque un buon libro di critica, in grado di toccare i punti giusti (le trame, le colonne sonore, i temi, i personaggi), ma che forse avrebbe richiesto una maggiore discesa in profondità su determinati aspetti. L'utilizzo, infine, di serie tv non famosissime può rivelarsi un'arma a doppio taglio: chi non le conosce rischia di perdersi fra i riferimenti, ma può al contempo sfruttare queste proprie mancanze per ampliare il proprio orizzonte. Il che non fa mai male.

David Valentini