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#CritiCINEMA - Il racconto dell'ancella / The handmaid's tale - il libro, la serie

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Il racconto dell'ancella
di Margaret Atwood
Ponte alle Grazie, 2017

1^ edizione italiana: 1988
pp. 400
€  (cartaceo)

« Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, se no io muoio!».
Giacobbe s'irritò contro Rachele e disse: «Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?».
Allora essa rispose: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch'io una mia prole per mezzo di lei».
Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei. »
(Genesi 30,1-4)

È un rigidissimo credo religioso quello che governa la nuova società dei Comandanti, nella Repubblica di Galaad. Un regime totalitario teocratico che si ispira alla Bibbia e che tiene il Nord America sotto lo scacco del ritorno ai “secoli bui” di un Medioevo digievoluto che ha fatto leva sul progresso come forma estrema di sopraffazione.
Le donne sono state private di beni e diritti, sono distinte – a partire da foggia e colore dei loro abiti - in ruoli ben precisi e assegnati sulla base di criteri di fertilità e censo.
Ci sono le Mogli, mogli dei Comandanti, ci sono le Marte, le serve, ma soprattutto ci sono le Ancelle, che avvolte in lunghe palandrane rosse e con le loro cuffiette in testa sono nient’altro che uteri da fecondare, assegnate arbitrariamente a una famiglia per il tempo di una gestazione. Un’Ancella non possiede nulla, neanche un nome. Si chiama Difred, Diwarren, Diglen, a seconda del nome suo padrone.
Ancelle, nella terminologia mistificatoria che contraddistingue ogni regime, significa schiave. La Cerimonia, grazie alla quale il Comandante capofamiglia feconda l’Ancella che giace sulle gambe della Moglie, come nell’episodio biblico di Rachele e Giacobbe, non è altro che uno stupro legalizzato posto alla base di una società che ha in questo modo postulato una sua personale reazione alla crisi della natalità (dovuta all’eccessiva libertà di scelta delle donne post sessantottine) e della moralità.

«Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell'anarchia, c'era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo.»
Scritto nel 1985 dalla canadese Margaret Atwood (oggi in libreria per Ponte alle Grazie nella traduzione di Camillo Pennati) Il racconto dell'ancella è la narrazione in prima persona di una delle Ancelle, Difred, di un Occidente distopico in cui un Ordine Costituito ha fatto leva sulla percezione diffusa che sia un eccesso di libertà a creare l'infelicità.

…La guerra è pace? La libertà è schiavitù? L’ignoranza è forza?

Il racconto dell’ancella si muove nell’orizzonte delle distopie novecentesche del 1984 orwelliano e del Mondo Nuovo di Aldous Huxley (con quest’ultimo ha in comune l'ossessione per il tema della procreazione e del controllo delle nascite).
Ci mostra le aberrazioni di una società che della libertà sia priva, ma, mentre il senso di terrore di fronte alla palese sopraffazione ci agghiaccia, siamo costretti alla consapevolezza del fatto che, la Storia insegna, sono i momenti di forte crisi (economica, delle identità, dei valori) quelli che spingono il piede della folla su una scellerata corsa ai totalitarismi.

Il racconto dell'ancella è, per usare un'espressione un po' logora, un libro molto attuale.

E la lettura del libro viene beatificata dalla visione (possibilmente congiunta, o -eresia?- anticipata) della serie tv omonima in dieci puntate, in uscita a settembre in Italia con TIMVision ma già andata in onda in America sulla piattaforma streaming Hulu.


Il ruolo della protagonista è affidato a una strepitosa Elizabeth Moss, che noi amanti di Mad Man ricordiamo come Peggy Olson, e gli è valso una candidatura agli Emmy Awards (la serie in tutto ha ottenuto 13 candidature). Con lei Joseph Fiennes, Alexis Bledel, Samira Wiley, Ann Dowd.
La Atwood è coinvolta come consulente di produzione e si sente: non soltanto lo spirito ma anche lo svolgimento del libro è pressoché intatto.
Il merito principale della serie è quello di attualizzare la trama (c'è Uber, ci sono gli smartphone e Tinder) e di renderla ancor più cruda, forte, d'impatto.
Laddove il libro sconta il passare degli anni e i mutamenti storici intercorsi, la serie è capace rende di rendere il racconto incredibilmente avvincente e contemporaneo, scavando nei meccanismi psicologici e nei silenzi, creando ritmo e sospensione con l'alternarsi di monologhi della protagonista e scene di violenza e con una scelta delle musiche in alcuni casi provvidenziale.
E ci restituisce la contemporaneità intatta di una riflessione terribile sui legami fra sesso, religione, potere e sull’urgenza e la necessità di raccontarli.



Giulia Marziali