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Sesso, droga e basketball: "Jim entra nel campo di basket" di Jim Carroll

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Jim entra nel campo di basket
di Jim Carroll
Minimum fax, 2013

A cura di Tiziana Lo Porto

pp. 208
€ 10,00




Per Tiziana Lo Porto, curatrice del volume, tutto quello che c'è da sapere su Carroll sta in queste parole: pallacanestro, poesia, rock'n'roll, eroina. Nel libro troviamo sicuramente la prima è l'ultima.
Enfant prodige o enfant maudit, Carrol è stato sin da giovanissimo musicista oltre che scrittore, producendo con la Jimmy Carroll Band brani new wave punk rock. Quest'opera è composta dai suoi diari del periodo Autunno 63-Estate 66, pubblicati nel 1978. Raccontano di giornate passate a giocare a basket, a sniffare detergente, scippare le borsette e girare a zonzo per New York.
Di fatto ho smesso di credere a otto anni, il giorno in cui sono andato in chiesa per la prima volta e ho cercato di fare amicizia con Dio chiedendogli di venire a casa da me a guardare le World Series insieme

Carroll fa un resoconto asciutto di ciò che gli succede, anche le situazioni più difficili o potenzialmente patetiche sono descritte senza enfasi. Di tanto in tanto si infervora (coi ricchi genitori della squadra avversaria, coi gli abitanti di Manhattan o con le “pinguine”, le suore della scuola cattolica) ma il tutto rientra nella quotidianità della sua esistenza. Perché il degrado, la droga e i furti sono la normalità per Jim ed è il nostro sguardo a connotarli come esperienze estreme. Stupisce la maturità, non del personaggio ma della sua prosa: un diario di un ragazzino (l'autore è del 1949) non dovrebbe essere scritto così.
Oggi giochiamo la nostra ultima partita dell'anno nella Biddy League, ma prima della partita c'è stato un raduno di tutti i membri del Boys' Club lì davanti per una specie di commemorazione per il piccolo Teddy Rayhill. Teddy è uno del club che è caduto dal tetto l'altro giorno mentre sniffava colla. Il prete stava facendo un discorso su Teddy e cercava di far passare per buona una storia secondo cui Teddy stava aggiustando un'antenna della tv quando è caduto ma nessuno se la beve 'sta stronzata. Nel bel mezzo della cerimonia Herbie Hemslie e i suoi si sono messi a lanciare mattoni giù dal tetto del palazzo di fronte. Tutti sono dovuti rientrare nel club e gli sbirri si sono messi a inseguire Herbie e i suoi. Dopo che s'è potuto di nuovo uscire fuori, tutti sono passati davanti alla bara chiusa di Teddy e se volevi potevi dire una preghiera. Se non volevi immagino che te ne potevi stare fermo lì e basta e sentirti una merda per tutto.
Non c'è crudezza, ossessione dei dettagli o qualsiasi altro espediente retorico ad effetto. La prima volta che si è iniettato eroina in vena viene descritta in un breve paragrafo, quasi distrattamente: “Non ho mai scritto della prima volta che mi sono bucato. È stato un paio di mesi fa”. Anche questo è solo un episodio tra tanti, non un momento topico. In maniera analoga, se non conoscessimo l'autore scopriremmo che scrive poesie solo grazie ad un accenno fugace. Nonostante la maggior parte degli aneddoti si abbastanza triviale, Jim dimostra anche della sensibilità, che inevitabilmente si mischia ad altre pulsioni: emblematica è la scena in cui decide di masturbarsi completamente nudo sul tetto di casa sua fissando il cielo stellato, un mix di eccitazione e vago sentimento oceanico. Tra famiglie disfunzionali e bande giovanili, tutto sommato Carroll e i suoi amici sembrano godere di una certa libertà che consente di passare pomeriggi e sere a fare quello che pare a loro, principalmente fumare e sbronzarsi. Più di un brano è comico, comico come può essere il mondo visto da un adolescente intelligente e anticonformista.

Con lo scorrere delle pagine la scrittura diventa più attenta all'espressività, ed è impossibile non collegare il cambiamento alla crescita dell'autore, sempre più dentro il turbolento periodo adolescenziale. A sancire questo passaggio, anche a livello stilistico, la descrizione di una scopata con una tredicenne. Avventure sessuali si mischiano a prostituzione maschile, senza che questo sconvolga lo scrittore che resta fedele al suo stile: più che un diario di emozioni è un resoconto delle sue quotidiane vicende.
Stasera siamo andati al parco con un po' di eroina di quella buona che Joey L. ha rimediato a Chelsea e ci siamo ritrovati totalmente sconvolti al BUCKET OF BLOOD, la simpatica taverna del quartiere. Jimmy Mancole e Henry si sono messi a chiacchierare con Joey al bancone. Io e Brian ci siamo seduti in un séparé a goderci il nostro viaggio. Andava tutto alla grande finché dalla porta laterale non sono entrati tre tizi tutti impettiti che sono andati al bancone. Avevano l'impermeabile e dei piccoli fedora con la piuma, due bianchi e un nero. Avevano una macchina grigia parcheggiata lì davanti che aveva visto anni migliori. Vestiti a quel modo potevano essere solo due cose: o talent scout di giocatori di pallacanestro o sbirri della narcotici. E dato che è difficile che uno scout passi dal BUCKET, era più probabile la seconda. Di fatto sarebbero passati più inosservati se si fossero messi tutti e tre un lampeggiante rosso sul cappello.
La New York della prima metà degli anni Sessanta che emerge dal libro è lontanissima dalla metropoli scintillante cui siamo abituati: sporcizia, tossici ovunque, possibilità criminali come se non ci fosse alcun controllo, promiscuità sessuale sulla pubblica via. Jim passa sempre più tempo al Quartier Generale, un posto eletto a luogo di ritrovo dove lui e i suoi coetanei sono liberi di cazzeggiare, fare festa e drogarsi su un pavimento di bottiglie rotte. L'unico timore che sembra provare è per l'apocalisse atomica, per il resto i suoi giorni scorrono sempre uguali e mai particolarmente profondi. L'unico racconto che, pur nella consueta concisione, rompe la patina di normalità con una sentita carica d'orrore è quello relativo al mese passato al riformatorio di Rikers Island, un carcere infernale peggiore della peggiore vita in strada.
Più ci avviciniamo alla fine, più la droga acquista centralità nel vuoto della trama di Carroll, fino a diventare l'unica cosa che riempie le giornate di Jim. D'altronde è così che va ai tossici. Per procurarsela, lo scrittore e i suoi amici passano dagli scippi di borsette dell'esordio alle minacce col coltello (coi furti d'auto è andata male). Non si tratta di un romanzo di formazione, il protagonista non intraprende una crescita e neanche un percorso che lo porterà da qualche parte. Non c'è Hollywood, che in Ritorno dal nulla a lui dedicato affida a Di Caprio il ruolo principale e costruisce una redenzione finale posticcia, con il giovane drogato salvato dalla poesia. A tal proposito va comunque rilevato che Carroll è sopravvissuto a quegli anni (morirà nel 2009) e forse l'arte ha giocato davvero un ruolo in tutto questo, seppure in maniera meno diretta che nel film.
Una dipendenza tipo «Pepsi Cola» è una dipendenza leggera, è un inizio di dipendenza che comincia a farsi viva mentre sei lì che pensi: «Cazzo, mi faccio da tre anni e so quando smettere per un po' e non mi sta dando nessuna dipendenza». Ma una mattina ti svegli, di colpo hai il naso che ti cola e gli occhi che lacrimano e i muscoli delle gambe e della schiena iniziano a farsi rigidi e pesanti. Lì sei fottuto. E non importa da quant'è che convinci te stesso che è tutto «sotto controllo». E allora adesso mi guardo allo specchio e capisco che è meglio se ci do un taglio e smetto di raccontarmela.
Cazzo se è complicato.
Jim entra nel campo di basket è un reportage in prima persona della giovanissima e sbandata vita del protagonista, il cui valore sta nella verità che emerge grazie ad una scrittura incredibilmente sicura per l'età del suo autore.

Nicola Campostori