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Il Salotto: intervista a Lisa Hilton

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Foto di ©Luca Del Pia
Lisa Hilton sembra nata per abbattere stereotipi e pregiudizi. Bellissima, estremamente intelligente e curiosa, paga lo scotto di essere una donna interessante dal punto di vista intellettuale quanto estetico, in un mondo in cui ancora, purtroppo, sembra che le due cose difficilmente possano coesistere. Per dirla senza mezzi termini: non si può essere - molto - belle e anche intelligenti. E lei che per di più è diventata celebre al pubblico con un thriller erotico molto discusso, Maestra, dimostra che non solo è possibile ma, soprattutto, non c'è niente di male. Il pregiudizio è solo nella mentalità ristretta degli altri.
Da poco in libreria con Domina, secondo volume della trilogia, ci ha dedicato un po' del suo tempo per un'intervista esclusiva. Un intenso dialogo sugli aspetti più controversi del nuovo romanzo, i pregiudizi che pervadono la società contemporanea, le scelte narrative e i modelli letterari che hanno ispirato Judith, la protagonista della storia.

Prima di Maestra lei aveva scritto biografie di nobili e personaggi storici: in termini di metodo come è cambiato il suo approccio alla scrittura?
Personalmente non ho trovato poi così diverso, dal punto di vista del metodo, scrivere biografie storiche o romanzi. In entrambi i casi sono necessarie molte ricerche e non c'è una grande differenza tecnica. Scrivere romanzi, tuttavia, è per certi versi più facile, perché diversamente dalla non fiction, basata sui fatti, la narrativa si appoggia all'immaginazione.

In un'intervista ha definito Judith, la protagonista dei suoi romanzi, "a hero without any morality": perché ha scelto una dark lady come protagonista principale? Mi ha ricordato qualcosa di Becky Sharp, la protagonista de La fiera delle vanità di Thackeray: Becky combatte per assicurarsi una posizione sociale e la stabilità che da essa deriva, qual è invece la motivazione reale di Judith?
Ti ringrazio di cuore per l'osservazione, l'eroina di Thackeray è stata senza dubbio uno dei modelli a cui mi sono ispirata nel creare Judith, ma alla fine il paragone più frequente - ed erroneo - che la stampa ha sottolineato è stato quello con la trilogia erotica delle Cinquanta sfumature. Vanity Fair è uno dei miei romanzi preferiti in assoluto e trovo la protagonista davvero straordinaria. Si, Becky lotta per lo status, per la posizione sociale e la stabilità che rappresenta; Judith combatte per la vita che crede di volere. La fine di Maestra è, in un certo senso, una sorta di happy ending, in Domina invece Judith viene privata di tutto e questo la porta a riscoprire chi è davvero e le ragioni della sua battaglia. Non è più spinta dal desiderio, dalla brama di prendere, possedere, ma dalla necessità di sopravvivere.

Qualcosa in Judith mi ha ricordato anche Amy, la protagonista de L'amore bugiardo, il thriller di Gillian Flynn da cui era stato tratto anche un film con Rosamund Pike: la storia di Flynn raccontava il lato oscuro del matrimonio, la sua mette in mostra un mondo decadente, dove il denaro corrompe ogni cosa e non sembra esserci posto per i sentimenti. Solo l'Arte rappresenta un'ancora di salvezza. Che cosa ne pensa? 
Si, sicuramente in Maestra e Domina viene fuori il ritratto di un mondo decadente, come hai detto tu. Judith deve fare il meglio che può in questo mondo corrotto, privo di valori reali. Il romanzo di Flynn si concentra sull'aspetto più intimo, sulle emozioni, io ho scelto invece di rappresentare l'esterno e il contrasto fra bellezza e morale. L'amore per l'arte è, nella vita di Judith, qualcosa di assoluto, un legame quasi erotico.

Secondo lei perché siamo così affascinati da personaggi oscuri come Judith?
A mio parere sono le donne oggi che guidano il mercato dei libri e probabilmente viviamo un momento culturale in cui siamo affascinate dall'idea dell'anti eroina: sono ancora molti, infatti, i pregiudizi di genere nella società contemporanea e forse anche per questo siamo attratte da personaggi come Judith, che hanno il coraggio di rompere le regole. Lei è una donna completamente libera, che fa quello che vuole e questo, probabilmente, è proprio quello che le donne cercano, almeno con l'immaginazione.

Nel passato di Judith qualcosa, ad un certo punto, si è rotto e in questo secondo romanzo comprendiamo meglio che cosa di preciso: rivelare i traumi del suo passato serve a trovare una giustificazione per le sue azioni? Perché? Abbiamo bisogno di rendere le sue scelte in un certo senso moralmente più accettabili?
Questo bisogno di giustificare il personaggio è più o meno il tema principale di Domina: scopriamo qualcosa del passato di Judith, un trauma davvero profondo, e attraverso questo troviamo una logica nel suo comportamento. Ma le due cose sono davvero legate? Forse noi vogliamo credere che lo siano ma nel terzo romanzo potremmo scoprire che esistono altre possibilità.

A proposito di pregiudizi: nei suoi romanzi Judith si scontra con un mondo, quello dell'arte, dominato da forti pregiudizi sessuali, in cui il merito non basta per emergere. Nella sua esperienza, cosa pensa invece dell'ambiente editoriale?
Si, purtroppo la società contemporanea è profondamente pervasa da pregiudizi di genere e, in una certa misura, io stessa come scrittrice mi sono scontrata con queste problematiche. Per esempio i giornalisti mi rivolgono spesso domande che non farebbero mai a uno scrittore di sesso maschile: mi sono resa conto, purtroppo, che se sei una scrittrice quasi tutti credono tu non abbia abbastanza immaginazione e che, di conseguenza, quello che scrivi debba essere necessariamente autobiografico, cosa che spinge a domande anche molto personali che nessuno si permetterebbe di rivolgere ad un uomo appena incontrato. Inoltre, nel lavoro di una scrittrice, si va sempre alla ricerca del "livello politico": quando Lee Child scrive un thriller nessuno obietta che non si può scrivere in quel modo, che è troppo violento, disturbante, disgustoso nell'immagine che traspare della società contemporanea. Una scrittrice, invece, viene costantemente giudicata: il libro è troppo femminista e "politico" oppure non lo è abbastanza, è troppo esplicito e disturbante per una ragione o per un'altra. Dobbiamo sempre fare i conti con questo aspetto politico della scrittura e io sono assolutamente contraria perché mi sembra un modo piuttosto brutto, limitante, di vedere la letteratura e scindere in questo modo letteratura ed immaginazione. Sì, a mio avviso c'è davvero una differenza su come vengono trattati scrittori e scrittrici, esemplificata anche dall'insistenza per il dettaglio autobiografico. Per fare un solo esempio: dopo la pubblicazione di Maestra, una giornalista del «Daily News» mi ha chiesto quanti amanti avessi avuto! Una domanda che certamente nessuno si sarebbe mai sentito in diritto di rivolgere ad un uomo.

Un altro aspetto molto interessante e spesso purtroppo messo in ombra da chi si concentra sul contenuto erotico della storia, è l'intento di critica sociale che pervade il romanzo: la vicenda di Judith mostra una società profondamente sessista, pervasa da nette divisioni di classe ed è questo, a mio avviso, il nodo cruciale. 
Concordo pienamente con te. Come dicevo, molti lettori e critici si sono scandalizzati per la rappresentazione esplicita del sesso, per la violenza e l'oscurità della protagonista, che tuttavia non sono il tema centrale della storia. Hai parlato di critica sociale e in effetti è proprio questo, insieme al pregiudizio sessuale, che avevo ben in mente scrivendo Maestra e gli altri due romanzi. Siamo convinti di vivere in una società priva di distinzioni di classe, dove barriere di questo tipo sono state da tempo abbattute: ma credere che nel mondo di oggi esista davvero la meritocrazia è qualcosa di ridicolo. Il merito non sempre, purtroppo, è sufficiente ed è proprio questo che Juduth osserva e giudica.

Personalmente credo che il "problema" per molti lettori e critici è appunto il fatto che Judith sia una donna e rappresenti una femminilità non convenzionale: non è una vittima, ha una sessualità dominante, sa quello che vuole. Non ha bisogno di un uomo, di una relazione, non è un modello positivo, un eroe tradizionale.
Judith ha una sessualità molto forte e il sesso è un argomento importante della storia, ma non quello centrale. Eppure per molti lettori è stato interpretato come il cuore della vicenda: l'ho trovato sorprendente perché io non avevo affatto intenzione di scrivere un romanzo erotico. In Maestra le scene erotiche avevano una funzione narrativa ben precisa, erano essenziali allo sviluppo della trama; in Domina sono funzionali allo svelamento della psicologia di Judith nei diversi momenti della storia, il sesso diviene il mezzo per comprenderla davvero. Questo tipo di personaggi destabilizza e, qualche volta, attira le critiche.

Può dirci qualcosa sul terzo capitolo della storia? 
Il terzo romanzo sarà il capitolo finale. Nonostante la trama si sviluppi in una trilogia, Maestra era in un certo senso un romanzo compiuto, mentre in Domina scopriamo che forse le cose sono molto diverse da come avevamo immaginato e il finale lascia parecchie domande in sospeso, aprendosi al capitolo conclusivo della storia. Quando ho iniziato a scrivere avevo già in mente tutta la storia, sapevo quello che sarebbe successo a Judith. Ora sono quasi alla fine del lavoro e il libro uscirà il prossimo anno. Le domande in sospeso troveranno una risposta, anche se non sempre sarà quella che ci si sarebbe aspettati.

Intervista a cura di Debora Lambruschini