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E se a guardare la Storia fossero gli occhi di un Fox Terrier?

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Sirius, il Fox Terrier che (quasi) cambiò la storia
di Jonathan Crown

Mondadori, 2016

Traduzione di Margherita Carbonaro

pp. 216
€ 19,00 cartaceo

Mettete in un pentolone la seconda guerra mondiale, il jet set dell’età aurea del cinema hollywoodiano, una famiglia sgangherata e originale, il suo Fox Terrier dalle doti straordinarie e dopo una lenta cottura otterrete Sirius il Fox Terrier che (quasi) cambiò la storia, uno scritto originale che restituisce una prospettiva della Storia inedita: i grandi eventi vengono raccontati in prima persona da Sirius, il protagonista a quattro zampe non solo del romanzo di Jonathan Crown ma, sembra, di ogni evento saliente del secondo conflitto mondiale. 

Mentre il nazismo aumenta di giorno in giorno il proprio potere, il professor Carl Liliencron, biologo di grande fama, e la sua bellissima moglie Rahel non si decidono a lasciare Berlino, nonostante i chiari segnali di antisemitismo e intolleranza che, da ebrei, iniziano a colpirli in prima persona. Di contro la preoccupazione attanaglia i loro due figli George, aspirante medico, ed Else, pianista in erba, che trovano nel loro buon cane ebreo dal nome ebreo Levi un compagno di inquietudini. Il Fox Terrier sembra partecipare dell’ansia storica che pervade ogni strada di Berlino e quando il padrone decide di modificargli il nome nel meno pericoloso Sirius, proprio il cane decide di rompere gli indugi e portare tutta la famiglia in salvo in America. Lì Sirius diventa subito una star di Hollywood: conosce Marlene Dietrich e fraternizza con il cane di Humphrey Bogart. La girandola degli eventi farà sì, tuttavia, che il protagonista a quattro zampe viva altre due nuove identità; prima nelle vesti di Hercules, fenomeno da circo dalle capacità sensazionali (quasi, umane) e poi di Hansi, cane prediletto del Führer e partecipe dei suoi più intimi segreti. Quando la famosa Operazione Valchiria fallisce, a Levi-Sirius-Hercules-Hansi non resta che cercare di scampare alla guerra, tornando alla sua vecchia casa e aspettando ai piedi dell’alberello dove giocava da cucciolo che la fine del nazismo faccia accadere l’ultimo miracolo: ritrovare la sua adorata famiglia.

Sirius il Fox Terrier che (quasi) cambiò la storia è un libro intelligente e divertente, ma al tempo stesso così tenero da alleggerire, senza ingenuità, la portata emotiva del contesto storico narrato. Il testo può essere definito, senza esitazioni, una fiaba in cui l’eroismo usuale viene spostato dal principe azzurro a un animale domestico in grado non solo di pensare, parlare e ragionare come gli esseri umani ma, più di loro, di agire ai limiti dell’istinto di sopravvivenza pur di proteggere i suoi più prossimi affetti. Poco importa se la levità narrativa sembri non approfondire adeguatamente i cenni storici citati (emblematico il caso dell’operazione imbastita per attentare alla vita del Führer). Jonathan Crown (pseudonimo di Christian Kämmerling, giornalista del «Süddeutsche Zeitung») tiene in pungo i lettori dalle non elevate pretese (e, perché no, anche i giovani adolescenti da avvicinare alla lettura con un testo serio ma non serioso) con una scrittura lineare e limpida, struttura portante di un’architettura narrativa ben riuscita. Si procede da un bunker sotto terra a Berlino, al circo di Sarasota in Florida, passando per le feste di Billie Wilder per cui «Non importa in che lingua. C’è una lingua mondiale della felicità» (p.38), a Vicky Baum, Otto Preminger, Robert Siodmak o Fritz Lang senza interessarsi della veridicità dei fatti, ma volendo semplicemente continuare ad essere partecipi di questo mondo e di questa dimensione, in un quadro storico e sociale in cui sembra normale dover decidere, su due piedi, quali sono gli oggetti i propri oggetti più importanti da portare con sé all’inizio di una nuova vita dall’altra parte dell’Oceano Atlantico:
«Carl!» chiama Rahel. «Sei impazzito?» «No, no» mormora Liliencron. «Mi sento malinconico. Ma forse invece è pazzia.» Rimette il libro nello scaffale e, pragmaticamente, sceglie invece la propria opera Fitoplancton e fotosintesi. Chissà che un giorno possa tornare utile dimostrare di essere un esperto di plancton. La medaglia d’oro di Cothenius la lascia appesa al muro. Rahel è davanti all’armadio e vorrebbe portarsi dietro tutto. Il tailleur rosa potrebbe andare bene per i cocktail. E il vestito da sera azzurro è un vero sogno. Ma no, decide: sarà un nuovo inizio. Mette in valigia i gioielli. E un paio di fotografie incorniciate. Else mette in valigia soltanto una partitura. Il Concerto per violino e pianoforte di Felix Mendelssohn Bartholdy, opera 64. La sua storia d’amore. Georg non prende niente. Assolutamente niente. È quello che pesa di più. Alla fine c’è una valigia sola davanti alla porta. Una valigia piccola. Il passato deve imporsi dei limiti, se vuole viaggiare anche lui verso il futuro. (p. 28-29)
Ancor più normale, tuttavia, «è la vita. Non c’è felicità senza lacrime. Né dolore senza un sorriso.» (p.45) così come la definisce Robert Siodmak, splendida e preziosa proprio nei suoi alti e bassi.

Federica Privitera