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#PagineCritiche - Sull'amore per i libri (per bambini, studenti e altri estimatori)

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Se una mattina d’estate un bambino. Lettera a mio figlio sull’amore per i libri
di Roberto Cotroneo
Frassinelli, 2001
 


pp. 176


Tutto, per me, è iniziato per caso. Accompagnavo in gita alcuni studenti dell’istituto tecnico e stavamo osservando un’opera architettonica di rilievo. Io mi beavo delle linee, delle proporzioni, della straordinaria ricchezza figurativa. Una ragazza ha seguito il mio sguardo, ha intercettato un elemento decorativo su una parete e mi ha chiesto: “Prof., ma quello a che cosa serve?”. È stato più o meno a quel punto che mi sono resa conto che probabilmente a tanti ragazzi non interessa la letteratura perché ragionano esclusivamente in termini di funzionalità, di utilità immediata. Sfugge loro, e forse non per loro colpa, l’idea della bellezza fine a se stessa, la bellezza inutile, la bellezza che è tale perché inutile. Il giorno dopo, per una di quelle coincidenze perfette che a volte capitano nella vita e la fanno assomigliare alla narrativa, in biblioteca mi sono imbattuta nel testo di Roberto Cotroneo. 

In quella che si configura come una vera e propria lettera-saggio, l’autore si rivolge direttamente al figlio Francesco, all’epoca della scrittura ancora piccolissimo, eppure già curioso e recettivo. Obiettivo del padre è quello di trasmettere al bambino, e con lui al lettore, almeno un’idea di quanto importante possa essere la lettura in qualunque processo di crescita. A Francesco, papà Roberto vuole insegnare lo spirito critico, il gusto di rimettere in discussione ogni certezza, la capacità di guardare al testo in un’ottica desacralizzante, per non esserne intimorito: “voglio tu capisca che l’ammirazione è sempre un processo finale, mai iniziale. Se no è misticismo, è innamoramento, dunque tutt'altra cosa”. Attraverso le sue parole, semplici e sempre immediate, inizia a far capolino l’idea che la letteratura non sia qualcosa da osservare dal di fuori, ma qualcosa da vivere, qualcosa con cui sporcarsi le mani e la mente. La letteratura è infatti ambiguità, contaminazione, complicazione del reale. La letteratura ci impone di calarci in un universo altro, ma al contempo incide pesantemente sulla quotidianità di ciascuno:

Tutti i libri sono macchine interpretative dotate di una coscienza, la tua. Qui sta la grandezza dei libri: vogliono letture diverse, si aprono con chiavi che devi cercare, o che la fortuna ti lascia tra le mani quando meno te lo aspetti. Non si concedono a tutti; tanto meno a chi non li cerca. Ti capiterà di aver a che fare con libri che non riuscirai ad aprire, di cui non troverai la chiave.  [...] La vita è fatta di rivelazioni, di epifanie. Io ti sto raccontando le mie, di epifanie. E in queste c'è sicuramente il ricordo di un libro [...], ma anche delle circostanze in cui questo libro è stato letto.

Ogni libro ha la sua storia, e la storia cambia a seconda della predisposizione del lettore, del suo umore, della fase esistenziale che va attraversando. Quello della lettura è un atto condizionante ed arbitrario al tempo stesso. In ogni volume sfogliato, l’individuo cerca risposte a domande che scaturiscono in un momento preciso e per un motivo preciso: con il passare del tempo, mutano le esigenze, così come le richieste. Resta intatto, però, il bisogno di sogno ed evasione: “la dimensione del sogno, quella del racconto, del fantastico, non te le regalerà nessuno e la tua ricchezza sarà quella di non riuscire a farne a meno. Più nel mondo ti diranno che tutte queste cose sono superflue più dovrai impegnarti a considerarle parte della tua vita” (72).

L’autore è abile nel legare i libri prediletti (nel duplice significato di scelti e amati sopra a tutti) alla vita di ogni giorno, alle emozioni proprie dell’essere umano: così L’isola del tesoro di Stevenson offre il pretesto per parlare della labilità dell’etica, della permeabilità del bene e del male; Il giovane Holden dell’importanza di diffidare da ogni verità spacciata per assoluta; la poesia di T.S. Eliot può essere collegata all’eroismo del quotidiano e alla necessità di vivere appieno e di prendere decisioni, e così avanti. Ogni libro si fa motivo di riflessione, incarnazione di un sentimento: l’inquietudine, la tenerezza, la passione, il talento... Cotroneo sfoggia senza reticenze l’abilità di un fraseggio che scivola rapidissimo attraverso temi delicati e opere importanti, anche se non necessariamente canoniche. Il volume finisce troppo presto e lascia nel lettore il desiderio pressante di condividere quanto letto, al più presto, con qualcuno che possa capire, ma soprattutto con chi non ha ancora capito.

Il cortocircuito intertestuale è stato immediato: se il titolo dell’opera appare un omaggio giocoso a Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, è tuttavia ad un altro scritto dello stesso autore che viene spontaneo pensare prima di concludere, o meglio per concludere. Il Calvino di Una pietra sopra ci rimanda infatti agli stessi impulsi, allo stesso slancio etico, alla stessa celebrazione entusiastica ed illuminata della letteratura come necessaria. Nel riportare le parole originali, mi riservo di non aggiungere altro, poiché tutto – come sempre – risiede già nel testo.

Noi pure siamo tra quelli che credono in una letteratura che sia presenza attiva nella storia, in una letteratura come educazione, di grado e di qualità insostituibile. […] Le cose che la letteratura può ricercare e insegnare sono poche ma insostituibili: il modo di guardare il prossimo e se stessi, di porre in relazione fatti personali e fatti generali, di attribuire valore a piccole cose o a grandi, di considerare i propri limiti e vizi e gli altrui, di trovare le proporzioni della vita, e il posto dell’amore in essa, e la sua forza e il suo ritmo, e il posto della morte, il modo di pensarci o non pensarci; la letteratura può insegnare la durezza, la pietà, la tristezza, l’ironia, l’umorismo, e tante altre di queste cose necessarie e difficili. Il resto lo si vada a imparare altrove, dalla scienza, dalla storia, dalla vita, come noi tutti dobbiamo continuamente andare ad impararlo (Italo Calvino, “Il midollo del leone”, Una pietra sopra).





Carolina Pernigo