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Il presente come peggior nemico dell'identità

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Meno dodici. Perdere la memoria e riconquistarla
di Pierdante Piccioni, con Pierangelo Sapegno
Mondadori, 2016

pp. 350
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Nessuno torna più quello di prima. Diventi un altro, il buco del passato fa di te una persona diversa: sei un altro per te stesso e non sai chi sei per chi ti conosce. Che sa di te cose che tu ora ignori.

Davvero «la sola funzione della memoria è di aiutarci a rimpiangere», come sosteneva Cioran? Chiedetelo a Pierdante Piccioni, che il 31 maggio 2013 per un incidente sulla tangenziale di Pavia ha perso ben dodici anni di vita. Non di vita futura, ma di vita passata: al suo risveglio, ha la convizione assoluta di trovarsi ancora del 2001. Certo, di primo acchito sembra tutto dovuto al trauma cranico, o forse allo shock: invece, Pierdante è sicuro che ci sia ancora in vigore la lira; così l'attentato alle Torri Gemelle è fresco nella sua memoria. Non sa nulla del suo incarico da primario nell'ospedale di Lodi, né delle liti con quella sua collega... 
Soprattuto, il protagonista fatica a riconoscere le rughe sul viso di sua moglie e, cosa ancor più impensabile, non ammette che i suoi bambini siano stati "fagocitati" da quei due ragazzoni (un Gatsby e un Mr Muscolo, per intenderci) che gli stanno davanti, parlano sguaiatamente e lo chiamano fastidiosamente "Savio". Non c'è gradualità nell'apprendere quel che si è perso, e Piccioni coglie tutta la drammaticità di quei dodici anni in poche ore: così si trova a rivivere il lutto per la morte della madre e il dolore per la lotta della moglie contro il cancro. E ancora non sa come fronteggiare il presente, perché ormai anche la bella casa costruita ad hoc con tanta passione e sacrifici è qualcosa di impersonale ai suoi occhi. 

Le domande che si susseguono nella sua mente sono tante, e i batticuore anche di più: cosa è davvero accaduto in quei dodici anni? Sa bene che non basteranno le parole di familiari, colleghi e amici per ricostruire davvero il tempo andato. I suoi pensieri, le emozioni più profonde e anche i suoi segreti resteranno sotterrati. Dunque, la passione per sua moglie è rimasta costante o ci sono stati tradimenti? Ha mai pensato di abbandonare il suo lavoro? E come ha vissuto l'incarico di primario? Tutto quello che le persone amate possono offrire è l'apparenza: tutti hanno visto la sua dedizione per il lavoro e la famiglia, quel nervosismo inevitabile con una responsabilità quotidiana tanto grande,... 
Pierdante non è certo di potersi accontentare di questa realtà a spizzichi e bocconi, e persino il presente sembra vacillare sull'incertezza dei passi andati. Così l'opzione di «rassegnarsi al presente» pare quasi una condanna, perché il protagonista si sente due persone diverse: 
Se mi fossi incontrato, non mi sarei riconosciuto.
E la cosa ancor più cruda è che Piccioni sa analizzare benissimo i suoi sintomi, e sa spiegare con esattezza chirurgica cosa gli è successo. Ma come metabolizzarla? Si tratta di un libro pieno di domande, in realtà, perché l'esperienza di Piccioni è qualcosa di rarissimo, che scardina tutte le nostre certezze. Viene da chiedersi se i viaggi nel tempo non siano proprio questo, l'evasione dal guscio del proprio presente verso un futuro di smartphone e nuove tecniche mediche avanzatissime, dove tutti ci guardano come se fossimo marziani sul pianeta che abitiamo da sempre. 

GMGhioni