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Dimenticando il mondo che c’è fuori per avvolgerci in ciò che abbiamo dentro

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Il contrabbandiere di parole
di Natalio Grueso
traduzione di Claudia Marseguerra
Salani Editore, 2015
252 pp.
14,90€


Forse era proprio quello il gran male del nostro tempo: tutti si credono in diritto di giudicare tutto, di esprimere la propria opinione su tutto senza conoscere tutti i fatti, come il marinaio arrogante che se ne infischia dell’iceberg senza sapere cosa c’è sotto.
Uno dei tempi de Il contrabbandiere di parole è un’epoca post-apocalittica dove a essere distrutta non è la civiltà visibile nella sue forme architettoniche; a essere annientata è la civiltà culturale e spirituale perché tutte la parole e il loro dominio sono in mano a un unico uomo, il più ricco di tutto l’universo, che è riuscito a instaurare un vero e proprio monopolio di vendita e acquisto di questo “nuovo” bene.
Così, chiunque voglia raccontare una fiaba a un bambino o augurare per telefono la buona notte al proprio innamorato lontano, deve centellinare come preziose gocce di un nettare di vita le parole ancora in suo possesso, magari frutto di un regalo o di un costoso acquisto. La società vede incancrenirsi ancora di più la forbice tra ricchi e poveri, non più solo sul piano materiale ma soprattutto sul piano culturale, dato che i poveri non possono permettersi di spendere i loro magri risparmi in parole: perdono progressivamente la capacità di esprimersi, iniziando a parlale in ritardo o non arrivando a farlo affatto. Il titolo fa riferimento a questa possibile realtà, una tra le tanti affascinanti dimensioni che si avvicendano nella storia.

Di “parole” si parla nella storia che racconta un futuro dove i segni universali della comunicazione vengono assimilati a beni materiali, ma non solo in questa. Parola è la chiave di volta che regge tutta la storia, lasciando aperte le porte verso un mondo da un potere a tal punto coinvolgente che il lettore è spinto a perdersi in questa nuova dimensione, accorgendosi solo saltuariamente che la trama non procede mai lungo un unico binario.
Sì, perché Keiko aveva imparato che la felicità e il piacere in fondo sono cose semplici, come passare dal freddo al caldo, che sia il caldo di casa, di una coperta o di una persona che ti protegge.
Keiko è una prostituta giapponese che vive da tempo a Venezia “la città più malinconica e solitaria del mondo” che sceglie i propri clienti seguendo un rituale dal fascino orientale: chiunque voglia godere della sua compagnia un’unica volta (senza eccezioni), dovrà indirizzarle dei pensieri scritti su un biglietto anonimo. A Keiko non interessa il volto, il nome, il peso, il portafogli del cliente: la sua scelta è orientata verso chi è in grado di colpirla per la scelta delle parole.
Il prescrittore di libri è un professionista come un altro: al pari di un medico prescrive, non sbagliando mai, ai suoi pazienti libri giusti per l’occasione giusta. La sua sconfinata cultura gli permette di scartabellare nella memoria personale e sapere esattamente quale libro possa essere utile a chi si è rivolto a lui. La profondità dell’opera letteraria è in grado, con le sue parole appunto, di lenire il disagio del paziente.
La voce dell’Argentina è un cronista conosciuto in tutto il paese per la voce suadente e precisa grazie alle quali le partite del campionato di calcio raggiungono i cuori di tutti i tifosi; sceglie di usare la parola come estremo gesto d’affetto per la persona che più gli è cara: il nonno anziano e ormai giunto al limbo della vita troverà nelle parole pronunciate dal nipote il coronamento felice della propria esistenza.

Parole, parole, parole. Anche loro hanno uno statuto in base al significato, all’etimologia, alla complessità della forma o del significato. Eppure nel profluvio di questa magica scrittura de Il contrabbandiere di parole troviamo altri nodi simbolici che lo caratterizzano, semplici vocaboli comprensibili a tutti.
Felicità non è solo un obiettivo a cui tendere ma diventa una costante di gestione della propria identità visto che ogni personaggio della storia sembra esser guidato non solo dal desiderio di raggiungere la propria felicità, ma anche dalla voglia di assicurarla a quelli che stanno loro vicino. Vi è un continuo scambio di messaggi, premi, regali e doni disinteressati che offrono a chi legge una piacevole sensazione di speranza per il futuro dei rapporti umani.
Tempo ne Il contrabbandiere di parole è quell’entità che si nasconde nei dettagli, fianco a fianco col diavolo. Diabolica è infatti la consapevolezza dello scorrere del tempo che spinge a prendere scelte, pronunciare discorsi, rinunciare a propositi. Ancora più umani e coinvolgenti diventano quindi le vicissitudini raccontate, perché ognuno di noi conosce il peso della cronologia infinita della vita.
Infine, è lo scrittore stesso a fornirci un’ultima chiave interpretativa della sua storia e lo fa in tre luoghi, tutti legati strettamente all’essenza stessa del testo. L’incipit “A Judit nessuno conosce la solitudine meglio di me”; l’epilogo “La solitudine, pur non perdendo mai la sua essenza, è molto più sopportabile in buona compagnia”; il titolo, La soledad nell’originale spagnolo: la traduzione italiana sceglie inspiegabilmente uno solo dei gusti variegati della storia, amalgamati da un unico ingrediente, la solitudine del titolo originale appunto. Tutta la vicenda viene inquinata dallo spirito della solitudine, aleggiante nei gesti e nelle dimensioni personali. Ma come ogni medaglia, anche lei ha la sua doppia faccia nella storia di Grueso. Se Andrea Camilleri dice che “letteratura serve, almeno per un momento, a far dimenticare il mondo che sta attorno, e a trasportarti in un'altra dimensione”, nonostante il peso della solitudine è proprio grazie ad essa che Il contrabbandiere di parole risponde perfettamente alla definizione di Camilleri: una sospensione momentanea e meravigliosa dalla mediocrità sfranta e affranta dell’esistenza quotidiana. 

Federica Privitera