#Scrittori in ascolto – con Nicola Lagioia



Nicola Lagioia, pugliese, uno dei protagonisti di qualità della narrativa italiana contemporanea, è scrittore e si occupa di scrittori visto che dirige la collana “Nichel” per Minimum Fax, voce di “Pagina3”, la rassegna stampa culturale di Radio3, tra i selezionatori dei film per la mostra del cinema di Venezia. Nicola, ci siamo conosciuti su un social, prima che dal vivo, capita frequentemente, e mi ha colpito una tua affermazione: oggi, per spiegare la realtà, dunque anche noi che la abitiamo, è più utile ricorrere all’etologia che non alla sociologia. Cosa intendi dire?

Pantera e Aixi: le Dee si aggirano ancora nel mondo degli uomini

Pantera
di Stefano Benni 

(con illustrazioni di Luca Ralli)

Feltrinelli, 2014
pp. 106

12


Non siamo al bar sport. O meglio, ci aggiriamo pure a quelle latitudini ma stavolta entra in scena un autentico sottoscala infernale dove regnano fumo e oscurità. Scendendo pochi gradini si arriva in una sala biliardo, che è come una memoria del sottosuolo. Sì, in senso dostoevskijano. La città, la superficie, viene abbandonata, e tutto si svolge in un ambiente che è un andirivieni di personaggi con un tratto malfamato, alcuni di rozza volgarità, altri di superba eleganza. C’è una Dea, Pantera, e questa corte dei miracoli di giocatori maschi che lei sfida e batte puntualmente. D’altronde Pantera deve rifarsi di un’infanzia difficile, dove un uomo ha abusato di lei. Finché un giorno non appare un altro giocatore dal talento pari al suo: l’Inglese. Prima di giocare, si siedono e non si sa quel che si dicono. Scambiano speranze per vincere le rispettive solitudini. Benni dimostra una grande maturità narrativa perché è come se prendesse i lettori per farli avvicinare al tavolino e ascoltare un dialogo costruito attorno alla sensibilità di ciascuno.

Invito alla lettura di "La marcia di Radetzky" di Joseph Roth

La marcia di Radetzky
di Joseph Roth
Adelphi, Milano, 1987 

[Ed. orig. 1932]



Nella Marcia di Radetzky Joseph Roth racconta attraverso la specola di tre generazioni della famiglia Trotta, poi von Trotta, la dissoluzione dell’Impero asburgico all’indomani della Grande Guerra. Con la potenza austro-ungarica, in realtà, si dissolse non solo l’ultima possibilità reale di una dominazione sovranazionale, ma anche quel clima culturale poliglotta e cosmopolita che permeava la Vienna di fine Ottocento e primo Novecento. Roth, che di quel clima fu acceso e illustre protagonista, ne racconta la fine politica, anzi più specificatamente politico-militare. E le più vibranti e turgide pagine del romanzo sono proprio quelle in cui Roth descrive l’annuncio della notizia dell’attentato all’Arciduca Francesco Federinando a Sarajevo, durante una grande festa in una guarnigione di confine, dove si trovano riuniti diversi ufficiali dell’esercito austro-ungarico. Già solo la notizia scopre le crepe sotterranee che i nazionalismi aveva scavato tra quelli che avrebbero dovuto combattere e morire per la saldezza dell’Impero: slavi, magiari, ruteni, tedeschi s’accapigliano fin da subito. La guerra è persa prima ancora di cominciare. I decenni che l’avevano preceduta, cui si dedica la narrazione di Roth, erano stati una lenta e implacabile china verso il prevedibile epilogo. E i personaggi del romanzo, dal capostipite Sottotenente Joseph Trotta al figlio e al nipote, fino ai molti che ne incrociano le vicende, non ultimo lo stesso Imperatore Francesco Giuseppe, sono sbozzati a rilievo entro un arco fatale, un destino, che li sovrasta, indifferente alle virtù o ai vizi di ognuno.

"Philip e gli altri" di Cees Nooteboom




Philip e gli altri 
di Cees Nooteboom
Milano, Iperborea, 2005
Prima edizione olandese, 1955.

Traduzione di David Santoro.
Postfazione di Rudiger Safranski

pp.168
13,50


Pubblicati a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, tra il 1945 e il 1951, In gioventù il piacere di Denton Welch, Il giovane Holden di Salinger e La veglia all’alba di James Agee consegnano alla letteratura una originale mappa della formazione, che rilancia alcuni temi propri della gioventù, della letteratura che si incardina nel racconto della gioventù, altri li reinventa. Certo è che, comunque, il mito di Holden presto spazza via gli altri due romanzi, quello di Agee estremamente complesso, fitto di allegorie, quasi un tentativo filosofico di descrivere, nel turbamento adolescenziale, il rapporto tra l’Io e il Tutto, l’infinitamente grande del mondo e la necessità di costringerlo nell’infinitamente piccolo dell’uomo, appena esso si rivela, all’alba della maturità, quello di Welch troppo presto consegnato, per una fraintesa semplicità dello stile, allo scaffale della buona narrativa per ragazzi che più di tanto, dopo Il grande amico di Alain-Fournier, si credeva (si crede) non possa dare. 
E così Holden, vincendo sugli altri due romanzi coevi, e quindi sugli altri due modi di raccontare ed intendere la formazione – quello simbolico-allegorico e quello fantastico-immaginifico – con la sua vicenda elettrica, nevrotica, la lingua frizzante, il discorso diretto e immediato, adrenalinico e quasi tutto visivo, gestuale, attivo, da un lato inaugura una lunga stagione di epigoni holdeniani, tuttora fiorente e nel tempo più o meno rilevanti, dall’altro pare chiudere, con la potenza del suo mito, la possibilità di raccontare le stesse cose in modo diverso, cioè la formazione itinerante – il viaggio di formazione – con altro stile che quello all’americana di Salinger.

Scrivere per fermare il tempo: la guarigione secondo De Majo

Guarigiorne
di Cristiano De Majo
Ponte alle Grazie, 2014

pp. 241
€ 16,50



Per anni sono stato un appassionato lettore di complicate costruzioni cerebrali e, anche se non sento il bisogno di rinnegare i miei vecchi amori letterari, ho la sensazione che, diventando più vecchio e accumulando sempre più esperienze, stia cercando una letteratura che mira a rappresentare la complessità della vita anche sul piano emotivo. Una letteratura che parla di dolore, di perdita, o anche di amore e di felicità in modo esplicito. 
Questo passo, che legge a pagina 125, potrebbe perfettamente riassumere il messaggio dell'intero Guarigione, libro di Cristiano De Majo salutato a fine 2014 come grande prova di emozione e letteratura al tempo stesso. Non c'è freddezza, né compiacimento o lamentela in queste duecentoquaranta pagine dedicate a un viaggio tra i più complessi: quello nella paternità, nel dolore e nella perdita, ma anche nella malattia e nella sua risoluzione. Il tutto, in toni «disarmanti», per riprendere l'azzeccata definizione di Leonetta Bentivoglio sulle pagine della «Repubblica» (6/11/2014): è un'opera che disarma, impone al lettore di scoprire il fianco esattamente come ha fatto lo scrittore, senza mai erigere schermi razionali e resistenze preconcette. Lo si coglie fin dagli interrogativi iniziali: 
Era una paura simile, lo scampato pericolo di non riuscire a essere padre, che mi fece venire voglia di avere un figlio, o qualcosa che aveva a che fare con la naturale evoluzione di un rapporto, o ancora la fatica spesso insopportabile di essere sempre e soltanto figlio? (p. 13)

Di libri, percorsi e opere sopravvalutate: intervista a Tiziano Cornegliani

Per i lettori curiosi sempre a caccia di nuovi spunti e per noi addetti ai lavori, i “libri che parlano di libri”- siano essi romanzi o saggi sul genere del recente I 100 libri che rendono più ricca la nostra vita di Dorfles, o La sovrana lettrice di Alan Bennet pubblicato un paio di anni fa, solo per citarne un paio - sono una buona occasione per farsi guidare da un lettore d’eccezione in una passeggiata tra autori ed opere, lasciarsi ispirare, condividerne gli entusiasmi o contestarne scelte ed esclusioni. In questo filone, che negli ultimi anni pare aver trovato nuovo slancio, La farmacia dei libri. Rimedi per l’anima del prof. Cornegliani, recentemente pubblicato in ebook e cartaceo, è l’interessante viaggio tra i testi – romanzi, saggi, racconti – identificati dall'autore come meglio rappresentativi intorno ai ventiquattro temi ricorrenti nella letteratura e organizzati in ordine alfabetico dalla A di Amore alla V di Vanità. A ognuno di essi Cornegliani dedica un paio di pagine circa e dopo aver introdotto brevemente il tema si concentra su quei testi che meglio di altri hanno saputo farsene interpreti, spesso partendo dalla tradizione greco latina, per giungere a classici e contemporanei. Opere e autori scelti risentono ovviamente del giudizio e del gusto personale dell’autore del saggio, come inevitabile in lavori di questo genere, e il lettore non sempre si troverà d’accordo con le scelte operate, le opere escluse a discapito di altre: semplicemente sono le scelte soggettive e personali di un lettore appassionato, che da sempre si occupa di medicina ed editoria medico scientifica, oltre a ricoprire il ruolo di docente nell’ambito del Master in Editoria dell’Università Cattolica di Milano. Con toni per nulla accademici e tantomeno saccenti, Cornegliani ci guida in questa passeggiata tra i libri che ha più amato e, lungi dal voler esaurire l’argomento, offre spunti e suggerimenti di lettura che inevitabilmente invogliano il lettore ad approfondire, rileggere, trovare nuovi esempi intorno al tema scelto o individuarne altri su cui la letteratura si è interrogata. Una chiacchierata vivace che noi di Critica Letteraria abbiamo avuto il piacere di proseguire oltre lo spazio del saggio pubblicato, intervistando il prof. Cornegliani per parlare ancora con lui dei numerosi spunti che la lettura de La farmacia dei libri ci ha suggerito.

I diari di Tommasi Landolfi: "Des Mois" (terza parte)

Des Mois
di Tommaso Landolfi

Vallecchi, 1967



Des mois, terzo tassello di questa “autobiografia” programmaticamente schivata e programmaticamente costruita come una sorta di autobiografia delle forme letterarie, dopo un approccio di nuovo sconcertante per il lettore, ché tocca acclimatarsi di bel nuovo e reintrodursi in nuovi meandri formali, si rivela alla fine non solo degno compare dei suoi predecessori, ma fors’anche ad essi superiore. Qui Landolfi riprende a “giocare” con le forme, inventa una nuova maschera, una nuova mistificazione vera più del vero. 

Des mois è un prosimetro dove il rapporto tra prosa e versi non è logico-consequenziale, né si ridice in versi ciò che è stato detto in prosa, né la prosa serve a introdurre e spiegare i versi: qui i versi fanno un discorso discorde rispetto alla prosa, dicono altro, invitano a diffidare della prosa e della maschera che essa costruisce. Dunque, da un lato una prosa frammentaria, che ricava lacerti più o meno preziosi dal già pensato o esperito (la prosa come punta dell’iceberg), dove frequentemente Landolfi tradisce se stesso, tenta vie che non gli appartengono (la satira sociale, ad esempio), scadendo talvolta, e talvolta attingendo risultati sorprendenti anche per quelle vie, quasi sempre riprendendo la sua “naturale” – anche di questo tratta esplicitamente – bella scrittura; dall’altro i versi, che, indossano a loro volta la maschera della facile cantabilità, quasi da novello Chiabrera, della misura metrica prenovecentesca, il cui colorito giocoso, anacronistico e parodico ripropone, per antifrasi, la sua sete più inestinguibile: il senso di inappartenenza, la cupa disperazione, la vertigine razionalistica che “batte il naso” nell’irrazionalizzabile o nel misticismo, nel disincanto cosmico. Spesso i versi cominciano con una formula del tipo “lasciamo questo, parliamo d’altro” e sarebbe da dire con “altra forma”.

Come nasce un classico? Il carteggio tra Calvino, Rigoni Stern e Vittorini



Come si fa a riconoscere uno scrittore? Quali sono gli ingredienti per fare di un libro un classico della letteratura? Per capirlo non basta andare per librerie, allungare il braccio e leggere i libri più belli di sempre, perché si resta comunque all’oscuro di cosa c’è stato dietro la manifattura di un testo: quello sotto i nostri occhi è solo il progetto finito. Per indagare bisogna mettere il naso nelle carte dell’editore, tra le lettere dei suoi redattori e, se pensiamo alla casa editrice Einaudi di qualche decennio fa, tra loro figuravano nientemeno che Italo Calvino, Elio Vittorini, Cesare Pavese e Raffaele Crovi. 
Nella Storia dei Gettoni, la collana diretta da Vittorini, ritroviamo le lettere che ricostruiscono il caso del Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, che fu sergente durante il periodo della Seconda guerra mondiale nel corpo degli Alpini. 
Nell’ottobre del ’51 Vittorini si adoperava per far pubblicare Il sergente, che gli sembrava «la cosa più viva» che avesse letto sulla guerra, seppure rimaneva forte il dubbio che fosse un tema ormai sviscerato in numerosissime pubblicazioni politiche; ma poi tornava di nuovo a pensare che se Einaudi non avesse voluto pubblicarlo l’avrebbe proposto a Laterza. Rifletteva sulle imperfezioni del testo, Vittorini, ma sapeva che con qualche modifica il testo sarebbe stato perfetto. Poco più di un anno dopo, Rigoni Stern riceveva una lettera dell’editore in persona: Giulio Einaudi dichiarava che il suo libro fosse «di grandissimo interesse», ma la copia che l’autore ha inviato risultava «molto scorretta», bisognava dunque intervenire sul testo. Nel carteggio relativo al romanzo di Stern ritroviamo molte lettere di Calvino: nella prima, ad esempio, richiedeva a Vittorini di scrivere la quarta di copertina e un buon titolo; fu Vittorini a proporre Il sergente nella neve, che in seguito venne confermato, e scrisse un breve testo di rara efficacia per la quarta: 
Mario Rigoni non è scrittore di vocazione. […] alpinista, impiegato statale, forse non sarebbe mai capace di scrivere di cose che non gli fossero accadute. Ma può riferire con immediatezza e sincerità di quello che gli accade. […] Rigoni non testimonia per rendersi utile a una causa o a un’altra, ma per il semplice gusto che prova, in comune coi poeti, a testimoniare.

#EditorinAscolto - Con Giuseppe Laterza al Collegio Santa Caterina

Collegio Santa Caterina, inaugurazione del Master in Professioni e Prodotti dell'Editoria
12 febbraio 2015

Anche quest'anno il giorno di inaugurazione del Master in Professioni e Prodotti dell'Editoria presso il Collegio Santa Caterina di Pavia non si smentisce, con una lectio magistralis che apre a molteplici osservazioni sul mondo editoriale e culturale. 
Se l'anno scorso era ospite Roberto Calasso di Adelphi, quest'anno è stato Giuseppe Laterza a inaugurare questa nuova edizione di un master che sta portando sempre più giovani a imparare e poi testare sul campo in uno stage di due mesi cosa significhi lavorare per una grande e prestigiosa casa editrice. 

Fin da subito, Giuseppe Laterza si distingue per spontanaeità: è un po' emozionato, e non fa nulla per nasconderlo, ma poi parte con una considerazione potente, che zittisce tutta la platea: 
Il libro è molto meno potente della tv e dei giornali, manca in globalità e in impatto, ma se pensiamo a un evento drammatico come le Twin Towers, ecco che all'inizio la gente ha guardato la tv, nei giorni successivi ha letto i giornali ma per capire davvero cosa ci fosse alla base dell'attacco terroristico si vanno a prendere libri.

#CritiMusica - Caro Duke, non ci crede nessuno!

La musica è la mia signora. L'autobiografia
di Duke Ellington
Minimum Fax, Roma 2014

traduzione italiana di Franco Fayenz e Francesco Pacifico
prefazione di Franco Fayenz

pp. 462 
17 euro

Il libro è la versione integrale dell’autobiografia scritta da Duke Ellington. Sì, proprio il grande Duke Ellington, in persona. Leggendolo però il sottofondo musicale che ne esce è tutt’altro che jazz. Direi che piuttosto sentiamo in lontananza un Yann Tiersen del favoloso mondo di Amélie, ma tutto in un ottimistico e stucchevole maggiore, senza modulazioni né malinconia. Duke ci sta servendo una scatola di dolcissimi macarons mentre ci fa accomodare nei suoi appartamenti che sembrano arredati da Barbie Principessa. Perché Duke vuol mostrarsi un uomo tutto d’un pezzo, religioso senza macchia e senza paura, amante della vita e di tutti – proprio tutti – gli esseri umani: il ritratto che ne esce è quello di una creatura mitologica mezzo Madre Teresa e mezzo Pangloss. Sì, perché Duke vuol davvero convincerci di aver vissuto nel migliore dei mondi possibili. E noi lettori non gli crediamo, nemmeno per un attimo.

Don't be a drag, just be a (drag) queen

God Save the Drag Queen. Dall'officina al palco, un viaggio memorabile tra arte, piume e paillettes
Sara Perro

Zandegù, 2015


Non so a quanti di voi sia mai capitato di assistere ad uno spettacolo di drag queen. Io ci sono stata, più volte, e posso assicurarvi che non è affatto disdicevole. Quelli a cui sono stata io si svolgono in comunissimi caffè, con un pubblico di gente perfettamente padrona di se stessa, in un'atmosfera gioiosa e allegra, e senza traccia di quel côté equivoco che si tende a dare agli spettacoli da nightclub. Si fa spesso confusione quando si parla di drag queen: non hanno niente a che vedere con prostituzione, transessualismo, pratiche estreme. Delle volte il discorso non è neanche riferito totalmente all'omosessualità. Quello che generalmente non viene recepito è che chi si traveste non si traveste perché è omosessuale. Si traveste perché gli piace farlo. Il fatto che poi la maggioranza delle drag queen sia effettivamente omosessuale non è il punto più fondamentale della discussione.

Le drag queen sono performer, sono individui di sesso maschile che si travestono da donna, scimmiottando le soubrette e le svampite della tv (e i loro nomi, da Carla Stracci a Simona Sventura, da Ivana Tram a Wanda Gastrica) con straordinaria e sorprendente abilità, e intrattengono il pubblico con balletti, canzoni, allegri siparietti in spettacoli divertenti e coinvolgenti. Un drag show è una splendida kermesse baracconesca, un carnevale di tacchi, paillettes, piume e battute salaci che non scadono mai, però, nella volgarità banale e scontata. I tabù vengono affrontati, ribaltati, perché ci sia un dialogo. Perché non ci si vergogni mai, di nulla, e soprattutto di se stessi.

Per farci un'idea fresca e veloce di cosa ci sia dietro questo mondo, possiamo seguire Sara Perro, giovane giornalista piemontese, nel suo reportage God save the drag queen, appena uscito in ebook per la casa editrice Zandegù. Sara - che se avesse deciso di mettersi anche lei piume e parrucche, sarebbe stata Anita Vicì, soprannome inventato da una delle regine che ha incontrato «sostenendo che avevo la capacità di infilarmi dappertutto come il noto prodotto per la pulizia dei gabinetti: l’Anitra WC, appunto» - si sposta a Viareggio per la finale di Miss Drag Queen Italia e, con lievità e curiosa attenzione, raccoglie storie. Storie di accettazioni difficili, di emarginazione, di solitudine ma anche di riscatto e di soddisfazione professionale. Qui si va al di là dei pregiudizi e degli obsoleti discorsi sul gender e sull'identità sessuale, si racconta di chi il salto (e non senza difficoltà) l'ha fatto ed ha il coraggio e l'ironia bastanti a scherzarci su e a rendersi, al contrario, visibilissimo. 

Ma si riflette anche sul bisogno di riconoscimento, sulla necessità di fare gruppo e configurarsi in associazioni di categoria: «Drag può anche voler dire impegno sociale». Fare la drag queen non è soltanto un modo di (voler) essere, ma anche una forma d'arte che può salvarti la vita. Quanto mai lontana dall'idea di “roba da pervertiti” che solo i retrogradi più imbecilli possono ancora avallare, quella del travestirsi è un'attività, oltre che divertente, molto utile, non soltanto per chi la pratica. Implica il prendersi poco sul serio e allo stesso tempo l'accettarsi, paradossalmente, per come si è.
«Entrare nel mondo delle drag queen mi ha permesso di conoscere persone interessanti, simpatiche, preparate, con la voglia di divertirsi. Vorrei che dopo aver letto l’ebook venisse la voglia di partecipare a una serata con loro. Di andare a vedere un loro spettacolo. Come di qualsiasi altro artista. Perché è questo ciò che sono e che fanno.»

Mi trovo perfettamente d'accordo con Sara. 

Giulia Marziali

La donna è mobile? Sì, ma solo se non è felice

Chi è felice non si muove
di Giulia Villoresi
Feltrinelli, 2014

pp. 336
€ 17,00


L'esperienza insegna che facciamo bene ad avere i timori che abbiamo; che non c'è niente di peggio che uno spirito d'avventura fasullo per rovinarsi la vita. Il mio pensiero, nel giorno in cui sono partita, tornava spesso a Francesco Totti. Un giocatore del suo talento, dicono alcuni, poteva andare ovunque, poteva andare al Real Madrid, ma il suo provincialismo e la sua vigliaccheria gliel'hanno impedito inchiodandolo a Roma. E che cosa ha vinto la Roma? E che cosa ha vinto Totti? Non sono d'accordo. C'è chi ambisce al premio materiale e c'è chi punta più in alto. I veri artisti riproducono la propria vita nell'arte: veder giocare Totti e vederlo vivere è tutt'uno. Se a un genio non gli va di partire, non deve partire. Non c'è niente di peggio che uno spirito d'avventura fasullo, per sprecare i doni del cielo.

Chi è felice non si muove, il secondo romanzo di Giulia Villoresi, prende a prestito una citazione da Thomas Mann (il titolo) e la usa per giustificare l'elogio di Francesco Totti. Abbinamento bizzarro, ma perfettamente nelle corde della protagonista, romana in trasferta che a Totti (un genio che non gli andava di partire e infatti non è partito) pensa fin dalle prime battute del suo viaggio, a bordo di un taxi che dalla Plaka di Atene conduce all'aeroporto lei e il fidanzato Olmo. Là i due si saluteranno: lui tornerà a Roma, lei prenderà un aereo per Rodi, poi a Rodi un traghetto per una sperduta isola del Dodecaneso in cui, lontana dal mondo e dai pensieri, potrà dedicarsi al progetto di scrivere le vite dei poeti del Novecento per un nuovo Canone Occidentale promosso (ma non pagato) dalla UTET e dall'Università di Yale. Un'esperienza destinata a una "gloria" finale parecchio diversa da quella prevista: perché, se chi è felice non si muove, chi si muove con "uno spirito d'avventura fasullo" potrà scoprire la felicità solo tornando a casa.

Des Esseintes e l’estetica del disturbo antisociale di personalità


Si è comunemente portati a pensare ai secoli passati come ad un’epoca lontana anni luce dai giorni nostri. Una società diversa, regole diverse, persone diverse, conseguentemente una psiche diversa. Eppure, è bene ricordare che è proprio negli ultimi anni di questo affascinante secolo che gli studi sulla psiche umana cominciano a radicarsi e a diventare fondamentali nell'analisi dell’animo umano, soprattutto in ambito romanzesco.

Adesso, si immagini la Parigi dell'Ottocento. Una società sporcata dal materialismo borghese e da una politica dedita all'occultamento di prove. Un secolo in cui i romanzieri tentano di rispecchiare la società senza ripulirne il riflesso. Un periodo di rivolte, violenza ma di tanta evoluzione intellettuale. Il periodo delle tecnologie che stravolgono la vita dell’uomo comune. O meglio, dell’uomo benestante, perché le scoperte toccano sempre chi può farne buon uso, di certo non il comune cittadino. Il secolo in cui il concetto di popolo comincia ad avere un’entità ben definita ma al contempo reclama la singolarità dell’individuo. Un secolo che, seppur si è ben lungi dall’ammetterlo apertamente, prolunga i suoi strascichi fino ai giorni nostri. C’è poi così tanta differenza rispetto alla società nella quale viviamo?

"Charlotte" di David Foenkinos

Charlotte
di David Foenkinos
Mondadori, 2015

pp. 204



“È tutta la mia vita”: con queste parole, una ventiseienne pittrice tedesca di origine ebraica consegna nelle mani di un medico una valigia contenente la sua opera definitiva che intitola “Vita? O teatro?”. Disegni, parole e musica che ripercorrono la breve vita della giovane artista, segnata dalla sofferenza e dal lutto ma anche dall’amore profondo per un uomo, Alfred Wolfsohn, mai dimenticato.
In quelle parole rivolte al dottor Moridis,  l’evidente nota autobiografica dell’opera racchiusa nella valigia ma anche la drammaticità del momento e il valore di ciò che gli sta affidando: tutta la mia vita, qui rielaborata in ogni suo dramma, sentimento, dolore o gioia, tutto ciò che rimane di me. Sarà il testamento di Charlotte Salomon, di lì a poco deportata ad Auschwitz dalla furia nazista, dove morirà a soli ventisei anni. Con la fine della guerra si rimettono insieme i pezzi di molte vite devastate e l’opera della pittrice tedesca troverà finalmente un pubblico fuori dalla cerchia degli affetti, nonostante il successo e il suo nome non giungano mai davvero all’attenzione che meritano.

Giordano Bruno, martire della libertà


Era il 17 febbraio dell’anno 1600 quando Giordano Bruno fu arso vivo in piazza Campo de’ Fiori, a Roma. Venne scortato verso il rogo con la lingua in giova, serrata in una morsa di legno. Sino all’ultimo la follia controriformistica lo volle tenere imbavagliato. Prima di quella fatidica data pare sia stato talvolta sul punto di abiurare. Tentò di venire a patti con gli inquisitori, ma questi non gli lasciarono scelta. O tutto o niente. Venga rinnegato in toto quello che la Chiesa ti contesta, o morte. Siamo in piena Controriforma, c’è poco da trattare. Bruno deve fare quanto gli viene chiesto per avere salva la vita. Ma non lo fece. Non poteva rinunciare alla sua verità, alle sue opinioni.

Pochi sanno che Giordano Bruno si chiamava in realtà Filippo: il nome Giordano gli fu dato quando entrò nell’ordine domenicano. Già: era cresciuto e aveva studiato proprio in seno a quella Chiesa che poi lo condannò. Insomma era partito col piede giusto. Studiava teologia. Sulla materia nulla da eccepire. A metterlo nel sacco è stato l’approccio. Bruno faceva come un po’ come i teologi tardoantichi, quelli che se ne stavano tutto il giorno a discutere con altri teologi e poi cercavano un punto d’incontro nei concili ecumenici. Dio è uno? Dio è trino? Bruno voleva dibattere, dialogare sugli argomenti che non lo convincevano, questioni teologiche comprese. In piena Controriforma.

Invito alla lettura di I duellanti di Joseph Conrad


I duellanti
di Joseph Conrad,
E/O edizioni, 1994




Conrad pubblicò questo racconto lungo o romanzo breve assieme ad altri cinque nel 1908 con il titolo complessivo A set of six.

Il nocciolo, il centro propulsivo del racconto è il “futile motivo” all’origine del duello, più e prima del duello stesso, dei personaggi e del mondo rappresentato (è Conrad stesso che ci mette sulla buona strada quando dice che trasse ispirazione da un trafiletto di un giornale nel quale si parlava “di due ufficiali della Grande Armata napoleonica «che avevano combattuto una serie di duelli nel bel mezzo di grandi guerre per un futile motivo». Il “futile motivo” (la cui conoscenza accomuna i personaggi duellanti, l’autore e il lettore di contro al resto del mondo rappresentato) è avvolto in una nube di mistero – “la misteriosa offesa” – che lo sottrae ad uno sguardo chiaro e sereno rendendolo inquietante, insondabile e inesprimibile, anche per i duellanti, l’autore e il lettore. Tutta la maestria narrativa di Conrad concorre a questo prodigioso effetto narrativo: è il mondo stesso ad essere incapsulato in un fatum tenebroso (l’aggettivo non è casuale se uno dei romanzi di Conrad s’intitola appunto Cuore di tenebra), inspiegabile, ineluttabile. 

Il Salotto - Con Michela Tilli

Foto credit: Davide Campana

Ricordate "Ogni giorno come se fossi bambina"? Lo abbiamo recensito su CriticaLetteraria pochi giorni fa (clicca qui) e, non a caso, si parlava di un romanzo pieno di sentimenti positivi, dove anche le problematiche quotidiane sono affrontate con speranza, senza cupezze, sebbene ci siano risvolti d'ombra e mai si cada nell'ingenuità. Bene, siamo molto felici di aver invitato Michela Tilli nel nostro Salotto e che lei abbia accettato di rispondere alle nostre domande nonostante i tanti impegni di lavoro (grazie!).


Nel tuo romanzo, dai molta importanza al tema del viaggio e del ritorno, quasi un nostos classico, che ha ricadute non solo sul presente ma anche sulla personalità stessa dei personaggi e sul loro approccio al mondo. Fin dall’inizio del romanzo hai pensato a un’evoluzione simile?

Sì, perché quando inizio a scrivere ho sempre bisogno di sapere dove andrò a finire. In realtà il lavoro su un romanzo inizia molto prima che io mi metta seduta davanti al computer. C'è tutta una fase di gestazione che può durare mesi e anche anni, durante la quale la storia prende forma. Per questo motivo cerco sempre di avere più progetti aperti, in fasi diverse, in modo da potermi prendere tutto il tempo per pensare e immaginare senza che mi venga l'ansia di mettermi a scrivere: mentre rifletto e faccio scarabocchi su un'idea, c'è qualcos'altro, in uno stadio più avanzato, che mi impegna in modo più costruttivo. Così se un'idea non parte e non si sviluppa posso lasciarla ferma in un cantuccio in attesa di tempi migliori e la libertà creativa è salva. Quando inizio a scrivere l'evoluzione che avranno i personaggi mi è abbastanza chiara.

La galleria delle ombre di Melania. “Il Museo del Mondo” di Melania Mazzucco

Il Museo del Mondo
di Melania Mazzucco

Einaudi, 2014


pp. 232 
  € 33 


È una delle convenzioni più sintomatiche e rappresentative dell’arte figurativa occidentale, l’ombra. L’ombra è infatti ciò che il pittore, almeno a cominciare dall’età gioettesca in avanti, utilizza per significare che quel corpo, quella struttura, quel personaggio scenico è un qualcosa rispondente a realtà, cioè è la descrizione di qualcosa che nel mondo reale possiamo toccare e sentire. Discorso diverso per i corpi senz’ombra, solitamente angeli o divinità, che per l’appunto a causa del loro precipuo status di realtà altra, staccata dal mondo contingente, non presentano questa velatura di tinta sul suolo o sulla parete.

Invito alla lettura di Tommaso Landolfi, Rien va


Tommaso Landolfi
Rien va 
a cura di Idolina Landolfi
Adelphi, Milano 1998

 

      In Rien va Landolfi rinuncia programmaticamente alla bella scrittura. Sembra cioè voler dar vita ad un vero e proprio diario: indicazioni temporali, scrittura poco o punto controllata, fatti e fatterelli della vita comune. Alle speculazioni filosofico-letterarie si aggiungono e si intrecciano la grande novità della vita: la paternità e l’eterno demone del gioco e dell’inappartenenza alla realtà. A tutta prima sembrerebbe un diario meno mistificatorio e meno costruito, e per molti versi lo è, sia pure per scelta “estetica”, un diario in cui i pensieri e i fatti vengono colti in un punto anteriore rispetto alla costruzione stilistica. Landolfi sembrerebbe voler scrivere un diario più immediato e perciò stesso, vista la natura dell’uomo, più crudele; dice espressamente di non voler fare letteratura.

I meccanismi dell'amore e quelli della narrazione: "Amore, ecc." di Julian Barnes

Amore, ecc.
di Julian Barnes

Einaudi, 2013

traduzione italiana di Riccardo Mainardi

pp. 272
€ 12


"Mi chiamo Stuart e mi ricordo tutto." L’incipit di Amore, ecc. non lascia dubbi: l’ossessione di Barnes per la memoria, al centro di uno dei suoi libri più famosi, Il senso di una fine, è centrale anche in questo romanzo, strutturato come un copione teatrale in cui a turno intervengono, rivolgendosi direttamente ai lettori, Stuart, sua moglie Gillian e Oliver, amico di Stuart sin dai tempi della scuola (l’edizione Einaudi, purtroppo, contiene un alto di errori e sviste ortografiche).

Sono agli antipodi, Stuart e Oliver: riflessivo il primo, pragmatico il secondo; entrambi di buona cultura, Stuart è goffo nell'approcciarsi alla vita mentre il suo amico è un eccentrico viveur capace di godere di ogni momento, perfettamente a suo agio nel mondo. Stuart è quello che ricorda maggiormente altri protagonisti e narratori di Barnes, in quanto condivide con loro alcuni tic e manie; prima fra tutte, il cercare attraverso l’analisi, la riflessione, in definitiva attraverso le parole, di dare un senso all’esistenza.

Scommettere sulla decrescita: intervista a Serge Latouche

Il pensiero di Serge Latouche non è certo tra i più ortodossi. Tuttavia, è un pensiero a misura d’uomo e per questo inserito nell’ambito della nostra tradizione occidentale. Latouche ama definirsi un «obiettore di crescita» e ricordiamo tra i suoi libri Breve trattato sulla decrescita serena (Bollati Boringhieri) e La scommessa della decrescita (Feltrinelli). Professore, che reazioni suscitano le sue teorie?
Devo dire innanzitutto che nessuno è profeta in patria. Non sono accolto sempre favorevolmente quando parlo in Francia. I governanti o i sindaci non provano simpatia per tesi quali: stop alle grandi opere, basta inceneritori, no alla tav. Ma sono tesi che partono da un assunto finanche banale: la crescita conosciuta nel periodo d’oro appena concluso è una parentesi finita. Un filosofo francese, Jean-Pierre Dupuy, in un libro che s’intitola Il catastrofismo illuminato, ha chiarito bene il concetto: nonostante sappiamo bene che il pianeta non può sopportare una crescita indiscriminata, non teniamo conto di questo assunto. Bisogna pensare di ritrovare la giusta frugalità, che vuol dire senso del limite, fermarsi quando è in ballo la sopravvivenza dell’ambiente. Una crescita infinita in un pianeta finito è una contraddizione così evidente che un bambino la coglierebbe al volo. Il problema è che i nostri governi vedono al massimo in una prospettiva di tre mesi, per questo servono gli intellettuali: a fare guardare più lontano”.

Il suo pensiero mi ricorda una valutazione di Karl Popper sul Novecento quando, a detta del grande epistemologo viennese, tutti gli orologi si sono sciolti in un cielo di nuvole. È arrivata l’ora di governare queste nuvole?
Il pianeta in effetti non è più un orologio, la natura non funziona secondo un meccanismo oliato. Questo perché è subentrata la tossicodipendenza dal consumo.

Il Salotto - Con Tiziano Cornegliani

Per i lettori curiosi sempre a caccia di nuovi spunti e per noi addetti ai lavori, i “libri che parlano di libri”- siano essi romanzi o saggi sul genere del recente “I 100 libri che rendono più ricca la nostra vita" di Dorfles, o "La sovrana lettrice" di Alan Bennet pubblicato un paio di anni fa, solo per citarne un paio - sono una buona occasione per farsi guidare da un lettore d’eccezione in una passeggiata tra autori ed opere, lasciarsi ispirare, condividerne gli entusiasmi o contestarne scelte ed esclusioni. In questo filone, che negli ultimi anni pare aver trovato nuovo slancio, “La farmacia dei libri. Rimedi per l’anima” del prof. Tiziano Cornegliani, recentemente pubblicato in ebook e cartaceo, è l’interessante viaggio tra i testi – romanzi, saggi, racconti – identificati dall’autore come meglio rappresentativi intorno ai ventiquattro temi ricorrenti nella letteratura e organizzati in ordine alfabetico dalla A di amore alla V di vanità. 
Ad ognuno di essi Cornegliani dedica un paio di pagine circa e dopo aver introdotto brevemente il tema si concentra su quei testi che meglio di altri hanno saputo farsene interpreti, spesso partendo dalla tradizione greco latina, per giungere a classici e contemporanei. Opere e autori scelti risentono ovviamente del giudizio e del gusto personale dell’autore del saggio, come inevitabile in lavori di questo genere, e il lettore non sempre si troverà d’accordo con le scelte operate, le opere escluse a discapito di altre: semplicemente sono le scelte soggettive e personali di un lettore appassionato, che da sempre si occupa di medicina ed editoria medico scientifica, oltre a ricoprire il ruolo di docente nell’ambito del Master in Editoria dell’Università Cattolica di Milano. 

Quando dell'italiano ci si innamora

In altre parole
di Jhumpa Lahiri
Guanda, 2015

pp. 156
€ 14 (cartaceo)



"May I help you?". Quattro parole garbate che, ogni tanto in Italia, mi spezzano il cuore. (p. 108)

Benché Jhumpa Lahiri si senta «un'ospite, una viaggiatrice», o addirittura «un'intrusa, un'impostora» (p. 69) quando scrive in italiano, In altre parole è il suo primo libro scritto direttamente in lingua, che bene costruisce la storia di un innamoramento senza precedenti. Per questo, i vari capitoli (in parte editi precedentemente su «Internazionale), se riuniti, costituiscono la trama più ampia e imprevedibile di questa «smania indiscreta, assurda. Una tensione squisita. Un colpo di fulmine» (p. 23) per l'italiano.

#CriticaNera. James Ellroy, "American Tabloid"

American Tabloid
di James Ellroy
Mondadori, 1995

Traduzione italiana di Stefano Bortolussi

pagine 598

disponibile anche in formato elettronico









L'America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall'inizio.

Caratteristica principale dei romanzi di James Ellroy è la loro completa immersione nel contesto storico cui si riferiscono, tanto da mettere sullo stesso piano fatti e personaggi reali e inventati.
Non fa eccezione American Tabloid, lungo le cui quasi seicento pagine Ellroy dipinge un'America fatta di mafiosi, politici corrotti, piccoli criminali, agenti doppio-triplogiochisti, affaristi miliardari, tutti impegnati nella loro personalissima pursuit of happiness, tutti legati fra loro a filo doppio in una serie di trame criminali mirate al raggiungimento di posizioni di potere sempre più strategiche, fino a raggiungere i vertici governativi e ad accedere alle leve di comando di un'intera nazione.

Joel Dicker, "La verità sul caso Harry Quebert"



La verità sul caso Harry Quebert
di Joël Dicker
Bompiani, Milano 2013

Traduzione di V. Vega
pp. 779
€ 19.50 





Parto dalla fine: si tratta innegabilmente di un bel romanzo. E parto dalla fine e dal giudizio sommario perché più volte durante la lettura del romanzo mi sono sorpreso a metterne in dubbio le qualità letterarie, salvaguardandone sempre quelle d’intrattenimento. Questo è un romanzo che ha avuto un successo strepitoso, certificato non solo dalle copie vendute (che sarebbe come dire che i Macdonald's sono ristoranti di qualità – faccio mia un’arguta battuta di Andrea Cortellessa), ma soprattutto da giudizi entusiasti di lettori importanti, non ultimi i due riportati in quarta di copertina (Fumaroli e Pivot). Perciò ero molto curioso di leggerlo e, magari, più o meno inconsapevolmente, di confrontarlo con 1Q84 di Murakami, nella speranza di confermare di nuovo la rara combinazione di grande successo editoriale e grande letteratura; sotto questo punto di vista, però, il romanzo di Dicker non è allo stesso livello di quello di Murakami.

Dagli oceani a Canton: il secondo romanzo della trilogia dell'Ibis

Il fiume dell’oppio (River of smoke)
di Amitav Ghosh

Neri Pozza Editore, 2011

traduzione di Anna Nadotti e Norman Godetti

pp. 582
€ 18,50


Avevamo lasciato i protagonisti fra le pagine di Mare di papaveri, primo libro di una trilogia, a bordo della goletta Ibis salpata alla volta di Mauritius, isola-prigione dell’impero britannico. Ricordiamone alcuni: Zachary Reid, l’ufficiale figlio di una schiava liberata del Maryland, Jodu, figlio di un barcaiolo che sogna di diventare lascaro, Paulette, orfana di origini francesi accolta nella propria famiglia da Benjamin Burnham, proprietario della Ibis, Serang Ali, il capo dei lascari, Deeti, vedova che lotta per recuperare la libertà, Neel Rattan Halder, raja di una terra sterminata che paga a caro prezzo l’incrocio dei suoi destini con quelli di Burnham.

#CritiCINEMA - Wes Side Story

Wes Anderson. Moonrise Cinema
a cura di Pietro Masciullo

goWare & Edizioni Sentieri Selvaggi, 2014

€ 4,99


Wes Anderson (Houston, 1969) è un regista dall'idea autoriale molto forte e dall'estetica inconfondibile. Dall'esordio nel 1996 con Bottle Rocket – Un colpo da dilettanti all'ultimo lungometraggio, Grand Budapest Hotel (2014), già vincitore del Gran premio della giuria alla Berlinale e del Golden Globe come miglior film e candidato a ben nove premi Oscar, il regista texano è stato capace di creare un vero e proprio mondo, con le sue regole, i suoi personaggi e le loro cicliche afflizioni, le sue ambientazioni e le sue atmosfere musicali. 

Come se filmasse di volta in volta le infinite variazioni sul tema della vita in un negozio di giocattoli all'ora di chiusura.

I diari di Tommaso Landolfi: "La biere du pecheur" (prima parte)

La biere du pecheur 
Tommaso Landolfi

ed. a cura di Idolina Landolfi

Adelphi, Milano 1999


I Diari di Landolfi sono un trittico di libri che si apre nel 1953 con La bière du pecheur, prosegue nel 1963 con Rien va e si conclude nel 1967 con Des mois. Facile osservare già dai titoli due curiose caratteristiche: non solo si tratta di titoli in francese, ma anche polisenso. E a ben guardare anche la categoria ‘diario’ mal s’adatta sia ai singoli libri sia al loro complesso, si tratta in tutti e tre i casi di una specie di diario… di una specie di romanzo. Ognuno, però, indipendentemente dalla quota parte di diario o divagazione letteraria o saggio di scrittura o arzigogoli vari s’organizza attorno a un tema o una forma di scrittura tutto sommato prevalente e riconoscibile, come se Landolfi abbia assegnato alla forma diario tentativi diversi di trattare i tre temi che vi dominano: la scrittura, il gioco d’azzardo, la vita.

Il Salotto - A proposito di scrittura... Con Oliviero Ponte di Pino




Chi sono i migliori insegnanti per una scuola di scrittura? Ne abbiamo parlato spesso su CriticaLetteraira, talvolta in toni critici, altre volte con la giusta apertura per bei progetti. Se la premessa fondamentale è che la scrittura resta un talento (per fortuna!), è anche vero che spesso i talenti vanno fatti crescere con i giusti strumenti. Qualche esempio? Insegnare come revisionare il proprio brano, ma anche conoscere la filiera editoriale, come proporsi e come scrivere... Dunque, ecco la proposta che arriva a Milano in questi giorni dal gruppo GeMS: la seconda edizione di un corso di scrittura creativa in cui, accanto a un insegnante noto e poliedrico come Oliviero Ponte di Pino, si alternano scrittori e varie figure del mondo editoriale... 
Visto il programma originale e ancora molto misterioso (lo trovate qui), abbiamo invitato Oliviero Ponte di Pino al nostro Salotto, ed ecco cosa abbiamo scoperto... 

Le piace Bowie? Il Duca Bianco dalla A alla Z

Bowie. Le canzoni, gli album, i concerti, i video, i film, la vita: l'enciclopedia definitiva
di Nicholas Pegg
Arcana, Roma 2012

Traduzione italiana di Claudio Mapelli, Maurizio Musi e Ada Arduini

pp. 671
39,50 euro



Parlare di Bowie è come guardare un treno in corsa mentre si è fermi al passaggio a livello. Lo si vede correre, magari ne distinguiamo la forma, ma cosa possiamo dire dei passeggeri? Chi sono? Dove stanno andando? Anche se ci sporgiamo sul cruscotto per accostarci al vetro, chiusi al caldo nella nostra auto, al di là della sbarra che ci trattiene dai binari non intravediamo che delle ombre. È all’incirca questa la sensazione che si prova davanti agli oltre cinquant’anni di carriera del Duca Bianco. Un treno in viaggio che attraversa senza sosta diverse località e ferma sempre e solo dove vuole lui, in posti segreti e lontani dagli occhi dei fan. E ogni volta per caricare passeggeri nuovi, di cui poco o nulla è lecito sapere. Ci pensa però Nicholas Pegg a rallentare un poco la corsa di quel treno, permettendoci di gettare dentro un’occhiata attraverso un finestrino, appena il tempo per leggere i tratti di qualche volto. E lo fa in un’enorme opera dedicata a David Bowie (diffusa in Italia da Arcana), scritta nell’unico approccio possibile dinnanzi a un mondo così vasto: l’enciclopedia.

"Psicoanalisi in rosso", la storia di una terapia infame

Psicoanalisi in rosso
di Giorgia Walsh

Sedizioni, 2014

pp. 114
€ 16,00 



Il romanzo italiano è stato sempre caratterizzato da una tensione tra strutture narrative e argomentative con esiti diversissimi: i più sgargianti sono certo quelli in cui il racconto cerca di superare la propria natura o la rifiuta trionfalmente, ma esiste anche una linea, non proprio sotterranea, in cui le narrazioni impegnate e di denuncia dànno a questa tensione una forma dialettica. Qualche esempio arcinoto: la gran cattedrale romanzesca d’Italia, I promessi sposi, non ha ragione d’esistere senza la sua controparte d’inchiesta storico-giudiziaria, La storia della colonna infame; viceversa, non si può dire che le scritture d’inchiesta di Sciascia (L’affaire Moro, La scomparsa di Majorana) non abbiano influito pesantemente sulle sue incursioni nel genere più rassicurante per eccellenza, il romanzo giallo. Si tratta di una maniera – forse, davvero, “tutta italiana”: la letteratura straniera, specie quella americana, ha risposto in ben altro modo – di risolvere il conflitto tra narrazione ed ethos che si viene a creare di fronte alla necessità di raccontare il male. La scrittura, infatti, è di per sé un atto razionalizzante, e scrivere il male è l’atto più dispendioso tra tutti: perché e come si può dare ragione di ciò che è sbagliato senza schierarsi o soccombere di fronte all’imponenza dell’errore? 

Ogni libro che vuole proclamare una denuncia costituisce un esperimento di questo tipo, e Psicanalisi in rosso ne è un ottimo esempio. L’esordio di Giorgia Walsh (uno pseudonimo) intende infatti raccontare una storia particolarmente difficile: l’abuso – psicologico e sessuale – perpetrato da uno psicoterapeuta ai danni di una sua giovanissima paziente affetta da depressione. Un tema decisamente delicato, perché ci parla di fragilità (quella della giovane protagonista), di meschinità (quella dello «psicoanalista cinquantenne, Sembiante»), ma non solo, perché il desiderio di denuncia della giovane solleva problemi di silenzi e deontologie tradite. 

Ritorni che fanno bene al cuore

Ogni giorno come fossi bambina
di Michela Tilli
Garzanti, 2015

pp. 256
€ 14.90


Le storie hanno uno strano rapporto con la vita, sembra che si rincorrano, a volte una chiama l'altra, altre volte sembra che la vita e la storia che la racconta si escludano a vicenda. Capita che una storia nasca poroprio dove la vita finisce, ma se c'è una cosa che Argentina mi ha insegnato, è che dove ci sono storie la vita rinasce sempre, trova la sua strada, a patto che ci sia qualcuno che le ascolti. (pp. 9-10)

Se anche voi avete qualcosa di irrisolto, lasciato a sedimentare nelle anse spiegazzate della vostra memoria (o del cuore, se volete essere sentimentali), questo romanzo di Michela Tilli vi colpirà. Vi scuoterà subito la notizia da parte della protagonista Arianna della morte della signora Argentina, da lei "curata" (e capirete tra poco il perché delle virgolette). 
La partenza di Arianna per il funerale, tuttavia, coincide con un viaggio ben più impegnativo: quello nel passato, per comprendere il rapporto strano con Argentina, tra amicizia e nonna-nipote, con momenti di commozione e contraddittorî.

Arianna è un'adolescente complessa, tanto bella interiormente quanto poco armoniosa nel corpo. Lei stessa, sensibile e poco armata nei confronti del mondo e degli sguardi dei coetanei, fatica ad accettarsi: 
Lei lo sapeva, cosa pensavano gli altri quando le posavano gli occhi addosso, ma non era lei quella cosa, quell'immagine goffa che di tanto in tanto baluginava come un lampo in uno specchio, in una vetrina. Ciò che desiderava era solo che qualcuno la guardasse negli occhi e la riconoscesse (p. 31).

CriticARTE, forma e desiderio nei calendari Pirelli


Forma e Desiderio. The Cal - Collezione Pirelli
Piazza Duomo, 12 - Milano
dal 21 novembre 2014 al 22 febbraio 2015

Catalogo GAmm Giunti



Palazzo Reale a Milano ospita per 3 mesi l’iconografia più moderna della sensualità del tempo, attraverso una mostra fotografica di 200 scatti provenienti dalla Collezione Calendari Pirelli, selezionati da Walter Guadagnino ed Amedeo M. Turello, con il patrocinio di Expo e l’organizzazione/produzione a cura di Palazzo Reale e GAmm Giunti. Un percorso di 5 sale, seguendo il filo rosso di un “desiderio che prende forma”, accoglie lo spettatore, mettendo in scena attraverso gli scatti dei più famosi fotografi contemporanei: da Herbs Ritts a Richard Avedon, da Peter Lindbergh a Bruce Weber, da Peter Beard a Steve McCurry, da Patrick Demarchelier a Steven Meisel 5 decadi di assoluta bellezza estetica.

Il corpo femminile diventa specchio della società, come un silenzioso attore che danza sul teatro del tempo, tra scenari esotici, voyeurismi ed astrazioni oniriche, porta in scena una maturità sessuale analizzata, conquistata ed iconizzata dall’occhio di vetro. Presentato per la prima volta nel 1964, il Calendario Pirelli giunge alla sua quarantaduesima edizione con l’anno 2015, realizzato da Steven Meisel. Fino a ora, la più importante mostra retrospettiva, allestita dall’architetto Gae Aulenti, si era tenuta nel 1997 a Milano (Palazzo Reale - Sala delle Cariatidi), a Venezia (Palazzo Grassi), per poi partire per un tour mondiale che ha toccato alcune della principali capitali mondiali come Parigi, Berlino, Mosca, Buenos Aires e Tokyo.