La galleria delle ombre di Melania. “Il Museo del Mondo” di Melania Mazzucco

Il Museo del Mondo
di Melania Mazzucco

Einaudi, 2014


pp. 232 
  € 33 


È una delle convenzioni più sintomatiche e rappresentative dell’arte figurativa occidentale, l’ombra. L’ombra è infatti ciò che il pittore, almeno a cominciare dall’età gioettesca in avanti, utilizza per significare che quel corpo, quella struttura, quel personaggio scenico è un qualcosa rispondente a realtà, cioè è la descrizione di qualcosa che nel mondo reale possiamo toccare e sentire. Discorso diverso per i corpi senz’ombra, solitamente angeli o divinità, che per l’appunto a causa del loro precipuo status di realtà altra, staccata dal mondo contingente, non presentano questa velatura di tinta sul suolo o sulla parete.


Il Museo del Mondo di Melania Mazzucco è appunto questo, ovvero una sorta di “galleria delle ombre”, attraverso cui l’autrice ci accompagna, senza prenderci per mano ma offrendoci qua e là squarci sulla sua vita più intima, cioè quella legata ai ricordi (“perché i ricordi, in qualche misura, sono la cosa privata più scandalosa di noi”), e in cui compaiono, in un corridoio vasto e sterminato come il “bordello-museo” vagheggiato da Baudelaire, opere d’arte pittorica desiderate (termine sul quale più tardi ritorneremo). Non si tratta, ad esempio alla maniera di Harold Bloom e del suo seminale Il Canone Occidentale, di realizzare una specie di ideale classifica delle “opere più significative dell’arte occidentale” bensì, tramite un procedimento molto più privato ed intimo, e in questo senso oltremodo scandaloso, Mazzucco ci porta in rassegna le estravaganti opere che durante la sua vita di mortale, e quindi piena di ombra e di ombre, ha visto de visu, in certi casi ha toccato con mano oppure, scandalosa verità per un certo imbolsito mondo della letteratura ekphrastica, annusato.

C’è di tutto. tavole, quadri dipinti ad olio, affreschi, graffiti, vetrate, idoli di legno e di pietra, statue, maschere, cammei, ex voto, bronzetti, noccioli di pesca, disegni, reliquiari, cariatidi, capitelli, miniature…(…) Inoltre: devo aver visto l’opera con i miei occhi. Da vicino. Averle girato intorno, averla annusata, aver le crepe sulle superfici. Devo averne visto i colori, la dimensione, il supporto, la pennellata, la tecnica usata: la sua pelle, la carne, la materia. Insomma devo essermi trovata di fronte a lei.

Perciò non soltanto personalizzazione  del dato e del gusto artistico, ma anche e soprattutto personificazione dell’opera d’arte, trattata e descritta come un organismo senziente, come qualcosa di vivo, come una realtà dotata di ombra.

Naturalmente, come in una rassegna di gusti personali di una mente agile e labirintica quale è quella di Melania Mazzucco, non si segue un ordine o una ratio ben definita, a meno che non sia quella del desiderio, desiderio di voler rivedere, ritoccare, riannusare, ritrattare quell’opera tanto amata. Quindi si passa senza soluzione di continuità alle vette dell’arte rinascimentale italiana, e sto pensando a Piero della Francesca e alla sua La Madonna del Parto, alle misteriosi evocazioni del sacro di matrice bizantina, con Il Santissimo Salvatore dell’Acheropita, arrivando persino a contemporanee forme d’arte, ad esempio Violet, Black, Orange, Yellow on White and Red di Mark Rothko.

Una rassegna d’arte, dicevamo, estravagante, in cui epoche, stili e supporti si mescolano, ma tutto questo organismo cangiante non assume mai le fattezze di uno sconclusionato bric-à-brac ottocentesco, perché è come se fosse tenuto denso e coeso dalla conoscenza dell’autrice, fondata su studi rigorosi e da un desiderio, se non ugualmente forte, quantomeno decisamente potente, per gli archivi e la documentazione artistica.  Non si sente mai l’improvvisazione dell’inesperto o il pressapochismo di chi si inventa conoscitore d’arte, ma erompe, fresco e caldo come un marino, la gioia che prova l'autrice di riparlare, in senso lato,  di un quadro amato. Gioia che, come tutti i sentimenti concreti reali, quelli gettano ombra insomma, è fanciullesca senza essere infantile.

Il Museo del Mondo è un libro prezioso, costituito dai 52 articoli di giornale (ognuno, ça va sans dire, riguardante una e una sola opera d’arte) apparsi lungo il 2013 su La Repubblica ogni domenica. Un’operazione complessa, meticolosa, in cui Mazzucco ha dimostrato non poca costanza, rispettando sempre il “segreto patto” che lega l’autore di una rubrica (perché di rubrica, giornalisticamente parlando, si trattava il Museo del Mondo) al suo lettore. 52 opere d’arte per 52 settimane, somma di un anno di vita. Un anno della propria vita passato in compagnia delle opere d’arte desiderate, 365 giorni umani trascorsi a gettare ombre sulle pareti del Museo del Mondo.   

Mattia Nesto