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«American Psycho» e le rappresentazioni della violenza: è necessario “normarle”?

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Bret Easton Ellis
American Psycho
2001, Einaudi Tascabili
Traduzione di Giuseppe Culicchia
pp. 522
Euro 14

Fernanda Pivano
Viaggio americano
2001, Tascabili Bompiani
pp. 398
Euro 11

Pubblicato nel 1991 negli Stati Uniti, American Psycho diede il definitivo successo al giovane (all’epoca aveva ventisei anni) Bret Easton Ellis, già conosciuto per Meno di zero e Le regole dell’attrazione.
Leggerlo dopo i primi due potrebbe far pensare: “Ecco uno che scrive sempre lo stesso libro”, e non sarebbe neanche tanto peregrina una tale asserzione: questi tre romanzi possono anche essere visti come un’opera unica in cui cambiano un pochino i nomi dei personaggi, ma alla fin fine si finisce sempre lì. “Lì” dove, però?
“Lì” nel mondo della superficialità assoluta, quella senza cedimenti e che pensi sempre che non possa esistere: alcune malintese interpretazioni dell’epoca considerarono la superficialità dei personaggi ellisiani come un difetto del libro (che sarebbe come dire che se un personaggio di un libro è antipatico, allora lo è anche il libro; o che se un personaggio si esprime con registro orale, allora l’autore non sa scrivere); in Viaggio americano di Fernanda Pivano, possiamo leggere la risposta di Ellis:
«Dicono che questi personaggi sono superficiali. Ma i personaggi di tutti i miei romanzi sono superficiali, non possono non esserlo, perché non capiscono che cosa succede nella loro vita.»
Giuseppe Culicchia, per l’edizione Einaudi del 2001, scrisse in quarta di copertina:
«Patrick Bateman è giovane, bello, ricco. Vive a Manhattan, lavora a Wall Street, e […] frequenta i locali più alla moda, le palestre più esclusive e le toilette dove gira la miglior cocaina della città […] Inoltre, quando le tenebre scendono su New York, Patrick Bateman, il ragazzo della porta accanto, si trasforma in un torturatore omicida, freddo, metodico, spietato.»
American Psycho è dunque un libro che contiene anche violenza, molta violenza.

Alla fine del 1990 negli Stati Uniti ci fu una grossa baruffa: Simon and Schuster, l’editore che avrebbe dovuto pubblicarlo, si tirò indietro dopo aver subito pressioni: sempre Pivano ci racconta che «Martin Davis, presidente della Paramount Communications, aveva voluto leggere il romanzo e aveva proibito a Richard Snyder, presidente della Simon and Schuster, di pubblicarlo.» Ellis «non capiva la ragione del veto della Simon and Schuster. “È un romanzo troppo violento”, dicevano gli amici, “descrive con particolari terribili la morte di una donna assassinata.”»

Oggi forse ci apparirebbe come anacronistica una censura su un’opera d’arte, e si può facilmente col senno di poi affermare che – a prescindere dalla estrema violenza contenuta in questo romanzo, di certo non adatto a tutti – tale opera non fu in quel caso capita, e che il tempo che passa è l’unico balsamo che possa far evaporare tendenze censorie e favorire la comprensione (del resto, oggi De Sade è accettato senza particolari problemi, il film Arancia Meccanica è considerato un capolavoro del cinema, etc. etc.).

Anche se anacronistico, il pericolo dell’ostracismo verso creazioni “controverse” è però presente anche oggi: analogamente al caso Ellis, in Italia per esempio ci sono stati un paio di casi solo negli ultimi due anni: il più recente è quello relativo al videogioco Grand Theft Auto V [2013, Rockstar Games], per il quale Giulietto Chiesa chiese il boicottaggio (si può leggere qui) con equilibrati toni da Fine della Civiltà (scrive Chiesa:
«GTA V è la produzione di massa di “male diffuso”, di cattivi pensieri, di disprezzo per la vita e la solidarietà, di perseguimento degl’istinti di sopraffazione a livelli industriali.»
Per i profani: GTA V è un videogioco, vietato ai minori di 18 anni, in cui si impersonano tre criminali, e ovviamente c’è molta violenza anche se il videogioco in sé è una satira sociale, con una perenne ironia sia nei testi che negli eventi e una tendenza al caricaturale: si può pensare alla violenza di Tarantino, per dare un’idea); il più preoccupante è quello relativo al concerto del Primo Maggio 2013, dal quale il rapper Fabri Fibra fu escluso dopo una campagna mediatica capeggiata dall'intellettuale Michela Murgia (che qualche mese fa è stata candidata alla presidenza della Regione Sardegna) in quanto colpevole di aver scritto anni fa, soprattutto nell’album Mr Simpatia [2004, Vibra Records], testi molto violenti (simili ad American Psycho, diciamo): una punizione retroattiva, insomma, anche perché il rapper nei suoi concerti non canta più quei pezzi da anni.

Tornando al romanzo, Ellis dice:
«“Forse hanno ragione a dire che il libro è di cattivo gusto: ma”, ha ripetuto, “nessuno mi ha mai chiesto finora cosa intendevo fare.”»
Qualche riga prima Pivano scrive:
«L’indomani della cena al Tribeca Ellis si difendeva con garbo, nella casa rimasta nuda, ora che gli amici durante una festa di Natale gli avevano rubato la tavola. “Lo considero un documentario”, diceva. “Non c’è narrazione. Il libro è narrato dal serial killer, che dice quello che vede o sente: è una successione di scene della sua vita. Il protagonista Bateman rappresenta tutto ciò che ho detestato nel decennio degli anni Ottanta, l’avidità, il consumismo, la superficialità, il narcisismo, la violenza, la coscienza di classe: di tutte queste cose Bateman è emblematico e se alla gente il romanzo non piace probabilmente è perché non le piace il decennio”.»
Il videogioco GTA V
Senza entrare nel dettaglio analitico degli articoli di Chiesa e Murgia, che più che altro denotano l’assenza di capacità critica relativa a codici estetici da loro forse poco conosciuti (ossia i videogiochi e il rap) e che hanno preferito la più semplice via del rifiuto e della condanna moralistica (una reazione di stomaco, diciamo), ciò che colpisce in questi tre casi molto simili eppure così distanti nel tempo è come le opere in questione siano state interpretate “alla lettera”, senza che venisse neanche preso in considerazione lo sforzo di andare oltre la superficie: e che ciò sia accaduto in persone che con la cultura hanno a che fare quotidianamente (Chiesa, Murgia, Simon and Schuster), dà da pensare: sappiamo infatti che prendere “alla lettera” libri, film, canzoni e oggi anche videogiochi è il modo migliore per non capirli. Come ricorda Ellis, nessuno si è fatto domande… ma ci si è prodigati nel dare risposte.

Il problema di fondo nasce dalla rappresentazione della violenza nelle opere d’arte: come trattarla, senza renderla disturbante e offensiva? Ci sono due vie: a) Non trattarla; b) Edulcorarla. Nel caso della soluzione b) nascerebbe però un problema estetico non indifferente: edulcorare vuol dire depotenziare, e quale diventa il senso di una creazione artistica che depotenzia il suo messaggio (per non turbare il pubblico)? Relativamente alla violenza, poi, nasce anche un problema etico: è giusto, quando la si tratta, farlo in modo inoffensivo e “rispettoso”? Esiste, anzi, un modo per mostrare la violenza che non sia offensivo, urticante?

Le reazioni di rifiuto e censura di cui sopra nascono, a mio parere, da una forma mentis secondo la quale l’estetica debba essere etica e pedagogica: può anche esserlo, intendiamoci, ma sarebbe pericoloso pretendere una sorta di totalitarismo culturale secondo il quale un libro o un film che all’apparenza non ci insegnano cosa è buono e cosa è cattivo debbano essere ostracizzati.

Le scelte di Simon and Schuster, di Chiesa e di Murgia inoltre legittimano uno strisciante paternalismo secondo cui il fruitore del film/libro/gioco in questione vada protetto dal Male: un paternalismo normativo e tracotante che, considerando l’utente comune un minus habens da salvare, si sente in obbligo di decidere cosa sia meglio per lui. Il meccanismo è sempre uguale: si individua una categoria di persone da “difendere”, e conseguentemente si chiede il bando del “pericolo”: per Chiesa i “nostri figli”, per Murgia le donne.
Scrive Chiesa:
«Ecco, quando dico che dobbiamo organizzare una lotta per difendere il “nostro territorio”, e quando includo nel nostro territorio la nostra mente, e quella dei nostri figli, dico che dovremmo organizzare un’offensiva politica, e anche legale, contro GTA V. Chiederne la messa fuori legge è un atto di lotta. Promuovere azioni giudiziarie contro chi lo diffonde.»
Domanda: Chiesa ha consultato i “nostri figli”, prima? Murgia invece scrive:
«[…] alcuni testi di Fibra sono omofobi, maschilisti nel senso più umiliante del termine ed evocano la violenza sulle donne senza il minimo filtro critico.»
A tal proposito, sono utili un paio di osservazioni: la prima è che Murgia cade nel perenne bias cognitivo di attribuire all’autore i pensieri di un suo personaggio, che equivarrebbe all’accusare Ellis di essere un serial killer; la seconda è che non è compito dell’opera avere, o autoimporsi, un “filtro critico”.

Non c’è solo il paternalismo, comunque, ma anche una sorta di irrazionale fede in un determinismo culturale secondo il quale un’opera “violenta” spingerebbe il consumatore a metterla in pratica, la violenza stessa, o a subire un degrado morale-culturale.
Sempre Chiesa:
«Il loro scopo è titillare il peggio delle profondità della psiche umana: diseducare al vivere civile, umiliare, infangare lo spirito, le coscienze, mostrare un mondo dove ogni regola può essere infranta, e dove ogni infrazione viene premiata con il denaro che permette di comprare – per ora virtualmente – qualche cosa di superfluo, di lussuoso.»
In ciò si dimostra di non tenere in considerazione, invece, la funzione catartica di una qualsiasi rappresentazione, che già in Grecia avevano compreso.

La violenza è uno degli aspetti, ancora oggi, dell’essere umano e come tale è anzi auspicabile che alcune espressioni artistiche la rappresentino, anche e soprattutto, nelle sue forme più disturbanti. E includere, parlare e discutere delle cose è il modo migliore per conoscerle; proibirle, impedirle o escluderle è il modo migliore per nutrire l’ignoranza.
Fermo restando che chi non se la sente, per esempio, di giocare a GTA V sia libero di evitarlo o di stroncarlo: altra cosa è il voler impedire ad altri di fruirne.

Forse è paternalistico anche ricordare – di fronte a recrudescenze di Indici dei Libri Proibiti – che la tolleranza e la libertà di espressione si misurano, soprattutto, nei confronti di parole e scritti che non ci piacciono.

Piero Fadda