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#PagineCritiche - A che serve la sociologia? Risponde Bauman

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La Scienza della libertà. A che serve la sociologia?
di Zygmunt Bauman
Trento, Erickson, 2014

pp. 154

La sociologia sta dalla parte della liberazione, degli oppressi, di chi subisce ingiustizie, dell’umanità negata. La sua sociologia è sempre di parte. Ma di una parte che, proprio perché dichiarata consente l’accesso alla realtà sociale.[1]

Una priorità occupano, all’interno del dibattito sociologico del secondo Novecento, i concetti di “azione, ruolo e sistema”  dell’individuo nella società. La fortuna della sociologia, negli ultimi decenni di studio, oltre all’ambito puramente teorico, deriva dallo sviluppo di una ricerca che ha assunto varie diramazioni: “talora anche solo descrittiva,” è stata invece applicata in funzione dei bisogni conoscitivi e dei problemi derivanti dai cambiamenti politico culturali, da forme di comunicazione di massa, dai mutamenti organizzativi economici repentini, da forme di critica sociale avanzate, o messe in atto in funzione di strategie commerciali connesse allo sviluppo locale.
Il presente saggio, dedicato a Bauman, dà vigore e una rinnovata interpretazione alla disciplina che lo identifica maggiormente come sociologo; dai diversi stili del “fare sociologia,” frutto di una determinata iperframmentazione, Bauman ne indica sostanzialmente due: una ricerca che è legata all’epistemiologia e quella che l’autore predilige in assoluto, fondata sull’esperienza vissuta:

La scelta di Bauman è netta: richiamandosi a Rimmel e Wright Mill, Bauman si fa portavoce di una sociologia dell’esperienza vissuta, che si pensa come sforzo intellettuale mirante a ricostruire il nesso tra micro e macro, tra storia ed esperienza personale, tra oggettività e senso.[2]

“Se da un lato le teorie sociologiche hanno portato a grandi sintesi, a iniziare da campi di ricerca circoscritti, dall’altra, esse hanno anche formulato vere e proprie visioni della società non limitate alla osservazione del presente, di cui pure sono state colte alcune peculiarità importanti (le estreme conseguenze della modernità, l’estensione delle condizioni di rischio o la mondializzazione),” ma il pensiero di Baumann è orientato ad affrontare problemi più profondi e a proporre possibili alternative di mutamento sociale. La sociologia proposta dal critico “orientata al compito,” non va ad occupare uno spazio subalterno rispetto ad altri studi, ma al contrario rafforza quelli che sono i criteri metodologici essenziali:

Al pari di Fritz Machlup, ebbi il mio incontro con la sociologia «più di mezzo secolo fa», ma francamente né allora né in questi ultimi cinquant’anni ho rilevato o notato qualsivoglia ragione sensata per provare un complesso d’inferiorità. […] A ragione o a torto, mi annovero fra i leali simmeliani. Credo quindi che il nostro lavoro non sia cognitivamente o pragmaticamente inferiore ad altri lavori che vengono svolti all’interno dell’accademia. Al pari di tutti questi lavori, il nostro può essere fatto bene o male – ma in ogni caso va misurato sulla base dei suoi propri criteri specificatamente orientati al compito.[3]

Tra i più noti sociologi e intellettuali del nostro tempo Bauman è interprete di una nuova ermeneutica collettiva e propone un sapere sociologico che è fondamentalmente un processo, «una forma attiva di azione che si pone all’interno dell’iter storico, di cui è intimamente parte, che non può mai ridursi al solo ambito accademico».[4] Nell’analisi Bauman risponde al quesito su quale possa essere il compito dell’immaginazione sociologica nel mondo odierno: l’indagine dei rapporti tra le produzioni mentali conoscitive e i fattori sociali e culturali da cui sarebbero condizionate, richiede una prassi di immaginazione sociologica basata su un lavoro collettivo “concreto” centrato su “commissioni, dialoghi, conversazioni e non su verità e monologhi.”
Un’azione può essere definita sociale se chi la compie si rivolge coscientemente ad un altro soggetto, tenendo conto della sua posizione, dei suoi atteggiamenti e caratteri,  anticipando nella mente le sue reazioni. Anche i resoconti scientifici (scontrandosi o meno) confluiscono tutti, secondo Bauman, nell’esperienza umana:

Sono incline a pensare che la domanda che emerge dalla vita liquido-moderna, incessantemente e disperatamente avida di interpretazione, non sia «abbiamo bisogno della teorie sociale critica?» quella vita, essendo nient’altro che una critica continua delle realtà esistenti, la incuba continuamente, spontaneamente e su scala massiva.

Dalla sociologia critica di Jacques Derida al pericolo dell’eccessiva teorizzazione sociologica attribuita alle realtà sociali ricordato da Adorno, Bauman invita a «rendere il comportamento umano meno prevedibile, attivando fonti decisionali intrinseche e motivazionali».[5]
La lettura del saggio offre un’ampia analisi che converge sulla necessità di una visione della sociologia proposta come scienza della libertà. Una scienza valutata sulla base delle lotte che gli individui conducono all’insegna di una vita problematica, che Bauman definisce per l’appunto  liquido-moderna e avida di interpretazione. La persona, oggetto di studio sociologico, è innanzitutto un individuo capace di scelte autonome che sono il risultato di esperienza vissute in contesti differenziati e stratificati, ma sempre connessi ai mutamenti radicali nella morfologia del tessuto sociale al quale ognuno appartiene.


Mariangela Lando


[1] Zygmunt Bauman, La Scienza della libertà A che serve la sociologia?Trento, Erickson, 2014, p. 12
[2] Ivi, p. 10.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Ivi, p. 18.