Sorteggio
di Lorenzo Chiuchiù
"La Sabiana" Marietti 1820, 2012
pp. 75
€ 13,00
Lorenzo Chiuchiù è una delle voci più promettenti del panorama letterario nazionale, tanto per usare un’espressione terribilmente ordinaria. In realtà di ordinario c’è ben poco. A partire da quel cognome che sembra preso in prestito dalla tradizione poetica italiana. L’onomatopea di Pascoli divenuta il cognome di un predestinato.
Nato a Perugia, classe 1973, Lorenzo Chiuchiù è alla seconda raccolta di poesia, intitolata Sorteggio e pubblicata nella collana “La sabiana”, diretta da Davide Rondoni per l’editore Marietti 1820. Il volume è uscito nel 2012. L’esordio risale invece a qualche anno prima, al 2005, con la pubblicazione di Iride incendio per la prestigiosa collana “Niebo” diretta da Milo De Angelis per la casa editrice La vita felice. Pascoli, De Angelis, Rondoni, un biglietto da visita di tutto rispetto.
Nella quarta di copertina di Sorteggio Davide Rondoni sostiene che Chiuchiù appartenga a quella categoria di poeti che vanno seguiti, come da ciechi, che ci mette una fiaccola sotto le pupille per controllare se siamo ancora vivi. Uno di quei poeti che schiaccia i suoi lettori. Sono costatazioni forti, di una veemenza poco malleabile. Eppure nella poesia di Lorenzo Chiuchiù c’è davvero qualcosa d’inconsueto, di inspiegabile. Sono versi che colgono di sorpresa, sono urli nella notte, che assaltano gli echi; si dirigono ovunque, arrivano da ogni luogo. Ci costringono al soprassalto, alla rilettura febbrile. Una poesia esiziale, necessaria, che graffia il linguaggio e lo sventra, non per comunicare, ma per esistere e resistere. Complessa, ostica, a tratti inarrivabile, eppure la voce del poeta perugino nasconde una purezza autentica, ci sta piantata davanti come una promessa, ci porge le mani nuda, indifesa, inoffensiva.
La raccolta è divisa in cinque sezioni; Assalti, Redde razionem, Remote, Elementi, Anno platonico. Non c’è nessun percorso apparente, nessun climax. Per questo Rondoni ha ragione; bisogna affidarsi come ciechi, procedere come rabdomanti, correre incontro ai sussulti. Dietro l’angolo stanno, la morte, il baratro, l’inconoscibile. Per questo c’è una violenza sottesa e sussurrata, un’inquietudine vivissima, che partorisce però versi urgenti e bellissimi «io sono la violenza», «e la notte è la partitura/ dell’incendio, la custode, l’adesso», «il respiro non è più mio/ eterne le ferite/ eterne le cadute». Eppure non c’è ansia nella sua poesia. C’è la sicurezza del profeta, la tensione dell’equilibrista; ogni crollo è controllato, consapevole, fa parte di un destino già scritto e inevitabile.
Chiuchiù anestetizza la morte, il fato, il male delle cose, e colpisce il lettore alla «gola», con sapienza. Rende tutto innocuo. Eppure la sua è una poesia arditissima, fatta di simbolismi estremi, accostamenti vertiginosi, metafore, ossimori, spesso al limite del surrealismo (troppo esplicito sembra il richiamo a Dalì e Buñuel in un passaggio “si apre la notte, si taglia la pupilla/ escono i ganci”).
Una poesia piena dunque di «notti», «stelle», di «luna», ma anche di «sangue», «frecce» e «veleno». Dietro le parole si nasconde un misticismo intenso, ma mai invadente, frutto di una conoscenza, anche filosofica, molto spessa, matura, faticata. La densità del suo linguaggio non concede distrazioni, non permette nessun passo falso. Ci si deve fidare. E per tutti alla fine c’è una salvezza unica e irripetibile e, per questo, quanto mai preziosa. Una salvezza senza però né volto né contorni. E si arriva così all’inizio di tutto, al “sorteggio” del titolo, al caso che sembra essere la nostra unica certezza. Insieme a un’altra, forse ancora più importante; la poesia e la parola, l’unico appiglio, l’unico porto sicuro e mai disperato (“Questo falò, alla fine, sarà stato/ e ne ricorderai ogni lingua,/ perché non hai che questa”).
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