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Felicità? Un'attitudine

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Felici i felici
(Heureux les heureux)
di Yasmina Reza

Adelphi, 2013
pp. 163


Questa elegantissima scrittrice e commediografa francese, pardon parigina – perché ce lo insegna Paolo Conte che Parigi è una cosa mentre tutto intorno è solamente pioggia e Francia – dalle origini ebraico-ungaro-iraniane, conduce la felicità verso la deriva. Lo fa con una scrittura garbata, come si attiene alla figura, un mosaico articolato di uomini, donne e situazioni e soprattutto con una spietatezza che è una ventata gelida su ogni pretesa di tranquillità emotiva.

Non sembrerebbe, vero, a leggere il titolo? Esso non è altro che l’ultimo dei frammenti di un Evangelio Apócrifo di Jorge Luis Borges: Felices los felices, che suona perfino lapalissiano. Ma non dobbiamo fermarci alla copertina e cadere in quello che è una sorta di inganno. Basta aprire il libro e procedere piano, arrivando lì dove gli editori lasciano spazio alle dediche, prima dell’incipit: Felices los amados y los amantes y los que pueden prescindir del amor. Il significato mi pare chiaro, a ogni buon conto: Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore. Ovviamente è sempre Borges.
Questo più che un fragmento è uno schiaffo, funzionale alla spietatezza di Yasmine Reza che, affilatasi le unghie, non risparmia graffi alla vita di tutti i personaggi intrecciati, diciotto, di questo splendido romanzo. E non si va a rimestare nel sottobosco proletario di Belleville, dove è facile trovare il disagio dell’esistenza, qui siamo fra i membri della buonissima borghesia, giornalisti avvocati intellettuali, gente che ha passato una vita prima nella prestigiosa École nationale d’administration poi nei gabinetti ministeriali e nei consigli di amministrazione. Eppure, Yasmine è senza pietà, non ama e non odia, descrive tutti con una nitidezza inquietante, entrando e uscendo dai loro pensieri.

Si parte subito con una coppia di ottima posizione sociale che al supermercato riesce a dare il peggio dell’umana convivenza. Per un pezzo di formaggio. Ragione infima – mica tanto se pensiamo a noi alle prese con coniuge, carrello stracolmo e fila alle case – che si traduce in sana violenza. Dopo Robert e Odile, i due del supermercato, tocca ai restanti essere colpiti in fronte. Con una costante: «Non c’è niente di più impenetrabile di una coppia. Non riesci a capirla neanche quando ne fai parte». Pure reclutare un partner clandestino non serve: che sia frutto di gente sposata che di un rapporto segreto la coppia è sempre una sfida conoscitiva, amati o amanti si deve fare a meno dell’amore per essere felici. È meglio avere l’attitudine alla felicità che ricercare quest’ultima in un contenitore.
Stai a vedere che il sesso autodistruttivo ha il suo lato giocoso e gioioso, figlio di una crudeltà dichiarata e quindi onesta. Se una donna piacente si fa conquistare e non può fare a meno di un essere disgustoso che di mestiere fa il ministro, come dice lui vantandosi, in realtà è sottosegretario, è perché alcune performance bastano a spazzare via quella serenità presunta di cui ne ha piene le scatole.

Perfino di fronte al lutto, nessuna commiserazione: il marito vuole essere cremato e per la moglie significa che nemmeno da morto vuole starle vicino. Per vendicarsi metterà l’urna con le ceneri in una borsa da palestra. Insomma, la famiglia sarà una confortevole nicchia al calduccio da cui guardare il mondo ma è anche il regno del logoramento e della precarietà. Pensiamoci un attimo: se dal vostro marito o dalla vostra moglie o dai vostri amanti arrivasse la domanda diretta: sei felice? Cosa rispondereste?
Un consiglio: leggetelo di getto, non fate trascorrere giorni tra un capitolo e l’altro, vi sfuggirebbe inevitabilmente qualcosa e non apprezzereste il tessuto corrosivo. Sarebbe un peccato grave, come perdere una battuta di “Carnage”, il film di Polanski tratto da un testo teatrale di Yasmine Reza.