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Speciale #Camus100: il ricordo di un uomo

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Albert Camus:
Il ricordo di un uomo

Cento anni. Ben cento anni sono passati, eppure sfogliando le sue opere sembra così attuale, così vicino. Ricordare Albert Camus in quest’occasione limitandosi ad un mero elenco di date, premi, onorificenze ed avvenimenti non gli farebbe di certo onore. Anzi, sarebbe il modo più triste per confermare ciò che è stato fatto di lui e del suo operato in tutti questi anni.
Sebbene non sia conosciuto dal pubblico di massa internazionale, Camus è decisamente una personalità ben nota a quello che si suole definire il “pubblico accademico”. Non solo per i testi scritti, i pensieri espressi, le battaglie combattute e le personalità di spicco che frequentava assiduamente. No, Albert Camus è stata una delle personalità più criticate e attaccate dall’universo critico (sia letterario che filosofico) e dalla sfera politica. Una personalità apparentemente sicura di sé, colta, impavida, cosmopolita, arrogante e affascinante. Una maschera che Camus ha indossato per tutta la vita, quella dell’uomo forte e sicuro di sé che in realtà cela una personalità debole e insicura segnata da un’infanzia di stenti.

Albert Camus è innanzitutto un uomo, prima di essere uno scrittore e/o filosofo. Questo tende ad essere spesso dimenticato, e tutte le scelte della sua vita – sbagliate o giuste che siano – tendono ad essere riportate e commentate con tutta la freddezza che il cinismo può infondere in un critico.
Nato in una famiglia di coloni poverissimi in Algeria, Camus non conosce il padre e vive la tipica condizione di Edipo: figlio minore innamorato di una madre quasi muta, debole, sottomessa alla nonna tiranna. Senza contare le sue condizioni di salute costantemente cagionevoli. Tutti questi elementi messi insieme spingono il piccolo Albert a reagire: nonostante i problemi di salute, si appassiona al calcio e fa delle letture la sua via di fuga preferita da una realtà di miseria che gli sta troppo stretta. Un bambino intelligente e dal carattere particolarmente vispo e attivo, tanto da attirare le attenzioni del suo maestro delle elementari. E’ la svolta per il piccolo bambino povero: il maestro gli assicurerà un’istruzione che lo porterà all’università.

L’asso nella manica di Camus sta proprio nell’instaurare legami forti e duraturi con i suoi professori e i suoi contemporanei: Jean Grenier, Jean-Paul Sartre, Michel Gallimard. Camus vive questa condizione di solitario alla ricerca di affetto per tutta la sua breve vita. Se da un lato viaggia per il mondo in completa solitudine e indipendenza, dall’altro non dimentica chi gli è stato vicino da sempre, chi l’ha aiutato, chi lo ha spronato sia intellettualmente che nelle scelte di vita. E’ circondato da persone che lo amano ma si sente profondamente solo, cerca affetto in qualunque donna, nella sua famiglia, nella sua terra d’origine. E’ l’Assurdo che lo stringe in una morsa invadendo la sua vita privata e la sua carriera intellettuale: così come i suoi personaggi, egli è in balìa di una profonda insicurezza che lo travolge e lo sconvolge. A tal punto da dover pianificare la sua opera letteraria e saggistica in tre cicli simbolici corrispondenti a tre miti: l’Assurdo (il mito di Sisifo, dall’orientamento negativo), la Rivolta (il mito di Prometeo, dall’orientamento positivo), l’Amore (il mito di Nemesi, dall’orientamento moderato). Ad ogni ciclo, corrispondono un’opera narrativa, drammatica e saggistica: L’Étranger, Caligula, Le Malentendu e Le Mythe de Sysiphe per il Ciclo dell’Assurdo. La Peste, Les Justes, L’État de siège e L’Homme révolté per il Ciclo della Rivolta. Infine, Le Premier Homme e Don Faust per il ciclo dell’Amore. Uno schema rigido segnato dai miti che l’hanno tanto appassionato in quelle ore passate nell’unica biblioteca cittadina da piccolo. Ma la rigidità di questo schema – in parte seguito – gli sta stretto. Si divincola, si apre alla letteratura russa, scrive articoli, cronache sulla sua terra d’origine. Data la sua insicurezza e il suo attaccamento alle passioni e alle radici, Albert Camus ritorna sui suoi passi, ritratta, ha bisogno di conferme. Scrive saggi filosofici ma non si considera un filosofo degno di tale nomina. Al contrario, il richiamo delle pièces teatrali e della narrativa è sempre più forte e coinvolgente, oltre ad essere il campo in cui riesce meglio a destreggiarsi. Scrive con passione e ricercatezza, torna e ritorna sulle frasi, ossessionato dalla perfezione della forma e la bellezza dell’arma con cui costruisce le sue storie, la lingua francese.  Sostiene la causa algerina da un punto di vista più affettivo che politico, ne scrive fior fior di articoli partecipando anche a varie conferenze sul tema (all’epoca scottante e scalpitante). Eppure, si sente anche francese. Costantemente diviso tra queste due identità nazionali, Camus sarà segnato profondamente anche da questa ferita, come dimostrerà in quello che resterà il suo ultimo eppur più intimo romanzo incompiuto: Le Premier Homme. Apparentemente menefreghista e indifferente ai commenti sulla sua opera, il premio Nobel lo soddisferà non solo nell’orgoglio di ex-ragazzo venuto dal nulla ma anche nella sua vanità di scrittore ferito nell’animo. La scrittura è difficile, fatica a scorrere e le gratificazioni sono sempre una spinta in più per proseguire su quel cammino irto e scosceso.

Un uomo diviso, un uomo in bilico, un uomo che sfida le convenzioni del suo tempo e non teme di esprimere liberamente le sue idee. Un uomo dalle passioni vivide e solide, a differenza dei personaggi da lui narrati: famoso il caso di Meursault, protagonista de L’Étranger, che sembra incapace di provare qualunque tipo di emozione. Un uomo che crede fermamente nel concetto di libertà. Libertà di vivere la propria condizione, libertà di esprimersi, libertà di studiare, libertà di essere se stessi, libertà di e sulla vita. Memorabile il suo saggio sulla condanna a morte, in cui Camus si schiera contro questa ingiusta forma di “punizione”. Un uomo, come si è avuto modo di notare, che non teme i cambiamenti anche ideologici, oltre che territoriali e letterari: cambia forma narrativa e idea, riflette, cresce, si reinventa, non si fossilizza. Uno dei pochi autori – si badi bene, si parla qui di Camus in chiave letteraria e non filosofica (anche se molti filosofi potrebbero storcere il naso a questo appellativo) – che si caratterizza per l’eterogeneità della forma e del pensiero.


Un uomo, si è ripetuto. Sì, perché dopo tutti questi anni, è così che va ricordato. Perché lui stesso, in quell’ultima opera incompiuta a lui tanto cara, ha parlato di primi uomini e si è definito tale. Ricordiamo le variazioni letterarie e ideologiche di Camus non con l’occhio di chi giudica, ma con l’occhio di chi si immedesima, di chi comprende. Ricordiamo Camus per la sua esistenza piena, per la sua gavetta, per l’impegno e il sudore che ha messo in quello in cui credeva, per la passione con cui ha portato avanti la sua causa e le sue opere. Ricordiamol0 come uno di noi, con le sue paure e i suoi dispiaceri. Con i suoi difetti ed i suoi pregi. Ricordiamolo come un genio un po’ folle ma molto umano.

Ricordiamo Camus insieme.

7 Novembre 1913 – 7 Novembre 2013.

Arianna Di Fratta