GialloStresa: la letteratura sul lago Maggiore


Chi va a Stresa non può non innamorarsene. Il lungolago, i monti circostanti, le Isole Borromee, le vie del centro con i negozi di artigianato e le tipiche locande.

Accogliente e gioiosa in una bella giornata d'estate, allegra e colorata in primavera con le tante aiuole in fiore, Stresa acquista un'aura di mistero se la nebbia cala sulle vicine montagne e sugli isolotti, se il paese si svuota di turisti e l'acqua del lago diventa più grigia, diventando così un luogo perfetto per un libro giallo.



Infattti i giallisti amano Stresa e quest'anno per la seconda volta è stato bandito il premio GialloStresa (organizzato da Ambretta Sampietro) per racconti inediti di genere giallo e noir ambientati sulla sponda piemontese del lago Maggiore e nelle località adiacenti agli altri laghi del Verbano Cusio Ossola.
La premiazione di GialloStresa 2013 si è svolta domenica 22 settembre alla Villa Ducale, Centro internazionale di studi Rosminiani, di Stresa. Il vincitore di questa edizione è Riccardo Landini, autore del racconto A Stresa concorso rosso shocking, ambientato all'interno del concorso letterario Stresa Noir. Il protagonista, il Commissario Nero, si trova a indagare su una serie di omicidi avvenuti nelle giornate che precedono la premiazione del concorso, tra Stresa il Mottarone.

#RileggiamoConVoi - Settembre

Roma, 20 settembre 2013
Carissimi,
rieccoci alla fine di un'estate che ci ha portato letture densissime di novità. Come ci hanno mostrato su Wuz, ottobre sarà un mese ancora più ricco di nuove uscite! Nel frattempo, ecco i nostri consigli per questo primo autunno: troverete bestseller, libri recenti e questa volta anche il consiglio di un articolo dei un nostro redattore che parla di scuola contemporanea!

Buona lettura!
La Redazione

L'ultimo Riccarelli: un meritato Campiello

L'amore graffia il mondo
di Ugo Riccarelli
Mondadori, 2012

€ 19 (cartaceo); € 9,99 (ebook)
pp. 228

Il grande autore del Dolore perfetto si congeda dai suoi lettori e dalla vita con una saga familiare delicatissima, in grado di spostarsi dal lirismo stilistico alla semplicità dei dialoghi, dal racconto corale allo scavo psicologico dei personaggi. La vicenda muove dalla ferrovia, con lo stantuffare dei suoi treni che accompagna la vita della famiglia di Signorina: il
padre, burbero capostazione; la madre acquisita, pragmatica e sempre pronta a sacrificarsi per la famiglia; e i tanti fratelli, diversissimi tra loro ma ugualmente vitali e inquieti. Una frase racchiude il senso profondo del romanzo:
Quindi si mosse verso la banchina e alzò la paletta da capostazione per arrestare la bellezza ai suoi piedi. (p. 12). 

Pillole di Autore - Charles Simic, The world doesn't end

Fino a un mese fa conoscevo solo di nome Charles Simic (1938-), grande poeta serbo-americano vincitore del Premio Pulitzer nel 1990 per la raccolta di prose poetiche The World Doesn’t End, tradotta in italiano da Damiano Abeni per Donzelli (Il mondo non finisce, 2001). Poi - quasi per un trasferimento di magia dalla pagina di Simic verso l’esterno - mi è capitato di vedere, sfogliare e quindi di comprare, proprio The World Doesn’t End, nella (tenetevi forte, la magia è qui) casetta di un artista di opere in legno sperduta tra i boschi e le montagne della Bulgaria. Non sapevo ancora che un’edizione italiana di quest’opera era già disponibile, e allora iniziai a tradurre da me alcuni passi scelti, che ho il piacere di proporvi per la rubrica Pillole d’Autore. La tentazione di tradurle, dopo averle lette e rilette, è stata quasi irresistibile, data la commistione di visionarietà enigmatica e precisione del dettato, semplice nel lessico e colloquiale nel modo, che le caratterizza tutte, pur nella varietà dei temi e delle immagini. In questi frammenti le origini balcaniche dell’autore si mescolano al mito, le epoche si comprimono in un solo punto o vengono trascese tutte insieme; non mancano però ritratti quasi innamorati di oggetti dimenticati (come una vecchia bambola portata a riva dal mare) o ingegnose e inquietanti analogie che arrivano a formare l’essenza stessa di alcune prose (come quella della X alla lavagna, paragonata a un cimitero). È difficile non restare colpiti e ammirati da questa spoglia eppure tortuosa essenzialità che pervade questi testi di Simic, e che hanno pochi paralleli o forse nessuno nella tradizione poetica italiana. Un plauso dunque a Donzelli per il lavoro editoriale svolto (i curiosi potranno poi confrontare queste mie versioni con quelle di Damiano Abeni, che non ho ancora avuto il piacere di leggere).

#PagineCritiche: Elio Vittorini tra scrittura e utopia


Edoardo Esposito, docente universitario a Milano e critico letterario, è oggi il maggior esperto italiano di Elio Vittorini: allo scrittore siciliano ha dedicato negli ultimi trent'anni numerosi saggi e commenti che ora vengono raccolti, insieme ad altri studi inediti, in un importante volume pubblicato da Donzelli. Già nel capitolo introduttivo Esposito difende vigorosamente Vittorini da una serie di accuse che gli sono state mosse in ambito letterario sin dai suoi esordi di narratore: tra queste, quella di aver voluto “essere troppe altre cose che scrittore” (s'intende traduttore, critico, polemista, giornalista, politico...), senza volergli riconoscere “l'ampiezza dell'orizzonte con cui ha cercato di misurarsi, e la generosità con cui ha saputo spendersi.” Altra riserva che molti letterati hanno espresso riguardo alla prosa di questo tanto discusso e frainteso autore, è stata quella sul suo stile, “apparso via via... povero, ripetitivo, scialbo e monotono, oppure innaturale, artificioso, manieristico.” Esposito riporta numerosi esempi di altissima prosa vittoriniana, riconoscendole “una sicurezza e un'agilità espressiva indiscutibile”, ma soprattutto la capacità “di comunicare al lettore la propria carica emotiva.” Una prosa, quindi, che seppe far tesoro sia degli insegnamenti del realismo psicologico di tradizione ottocentesca (specificamente verghiana), sia del classicismo rondesco, sia dell'atmosfera della poesia ermetica e, prima ancora, simbolista.

#Il Salotto - #SpecialeSCUOLA - Intervista Alessandro D'Avenia



Questa mattina sa di matite temperate ed inizi: è una mattina di settembre, di quelle sole e vento, di pensieri stesi all'aria, poi ritirati caldi e un po' meno stropicciati.
Settembre è gambe sotto al banco e cuore tra i cieli d'agosto, quaderni bianchi e foto a colori.
L'odore è di un libro nuovo, il suono è quello perentorio della campanella alla prima ora.
Oggi voglio raccontare una storia che sappia di tutte queste cose, che sappia di sole e di vento, di inizi e matite temperate. Voglio raccontare una storia che sappia di settembre...

C'è oggi un giovane Perseo con il cuore a forma d'orecchio e il vizio di fuggire nelle vite degli altri, anche in quelle di carta, fuggire per poi tornare e testimoniare la bellezza di un amore.
Palermo, un padre, una madre, cinque fratelli e arancini siciliani; Roma a vent'anni, Siena e le sirene omeriche; ritorni ai banchi, davanti, dietro: non fa differenza; 20 paesi, un milione di copie e il grande schermo per Bianca come il latte, rossa come il sangue; un altro successo editoriale con Cose che nessuno sa e un web creativo con Prof 2.0; prossimamente nuove pagine per Palermo 1992: è il suo vizio quello di fuggire... per poi tornare.

Professor D'Avenia, settembre per lei è?
Ti rispondo con righe che ho scritto in Cose che nessuno sa che dimostrano il mio amore per questo mese: "Settembre, come tutti i mesi di transizione, cullava gli incerti. Fuggiva in avanti con il vento fresco che sarebbe diventato presto autunnale, si rifugiava indietro nella luce ancora estiva del cielo. E ciascuno poteva assaporare quello che preferiva: foglie più pallide che cominciano ad abbandonarsi, nuvole veloci e senza pioggia, pezzi di blu tra i palazzi grigi come cerniere dell’infinito".

Qualche anno fa sul Corriere della sera ha scritto: “Lo scrittore ha un cuore a forma di orecchio, con cui ascolta e strappa ai fatti della cronaca, destinati a passare come tutti noi, la loro essenza, la loro realtà, con la pretesa di coglierne l’universalità, di liberarli dalle lancette degli orologi.” Professore D'Avenia, che forma ha il cuore dell'insegnante?

Philip Kotler: Marketing 3.0

Marketing 3.0 
di Philip Kotler
Edizioni Gruppo 24 Ore

pp. 280


Non è facile trovarsi davanti a un saggio di marketing e avere l'impressione di avere a che fare con un testo di narrativa. Philip Kotler, guru contemporaneo del marketing e autore di una serie di trattazioni sull'argomento, ci riesce con sapienza.
Riesce a mescolare la leggerezza del racconto con lo spessore della trattazione accademica, la qualità nella scelta dei registri linguistici (merito anche di una buona traduzione italiana) con la completezza nell'argomentazione.
Kotler, attraverso una serie di ragionamenti sullo stato di salute attuale del marketing - termine che lui stesso ha contribuito a dotare di un'autentica "dignità accademica", se così vogliamo dire - racconta la storia del terzo stadio della disciplina: dopo il marketing 1.0 del rampante dopoguerra e il marketing 2.0 dell'epoca dei consumi, eccoci arrivati all'era del marketing 3.0, il marketing delle relazioni, dei sentimenti, dell'anima.

Il Salotto - Intervista a Valerio Monti

Ho avuto il piacere di intervistare Valerio Monti, giovane scrittore all'esordio con il suo primo romanzo "Io esisto?" pubblicato come e-book da Lettere Animate Editore (leggi la recensione). Al talento multiforme (ha studiato pianoforte per 10 anni e possiede una laurea in ingegneria informatica) unisce una sensibilità e una profondità di pensiero non comuni. Con lui, ho cercato di sviscerare le dinamiche salienti che ruotano intorno all'unico protagonista di questo racconto.

"Io esisto?" è liberamente ispirato ad una vicenda realmente accaduta in un contesto metropolitano, terreno privilegiato per antonomasia di quell'individualismo sfrenato che non esita a triturare chiunque fatichi ad adeguarsi alle sue leggi più o meno tacite, vuoi per scelta vuoi, come nel caso del protagonista, per un insieme di situazioni poco felici che hanno segnato la sua indole particolarmente sensibile. Lui ha scelto di rifuggire gli esseri umani e lo spazio circostante, da cui si sente umiliato e rifiutato, perdendo progressivamente il contatto con la propria identità. Dunque lo sguardo degli altri (inteso soprattutto come amorevole accettazione) ha un ruolo cruciale sul nostro senso di appartenenza, a dispetto di questa realtà sempre più autoreferenziale?

Percorrendo la Storia: “Parlami di battaglie, di re e di elefanti” di Mathias Énard


Parlami di battaglie, di re e di elefanti
di Mathias Énard
Rizzoli, Milano 2013


“Parlami di battaglie, di re e di elefanti” è un romanzo dello scrittore francese contemporaneo Mathias Énard ambientato nel 1506. Per la precisione, il 13 maggio del 1506. Lo scrittore conduce il lettore in Oriente attraverso gli occhi di Michelangelo e di un personaggio d’eccezione di cui non conosciamo l’identità.
Anche se la quarta di copertina sembra promettere un romanzo lineare e di semplice lettura, al contrario il titolo rende perfettamente l’idea dell’ambiguità sulla quale gioca il tema del testo di Énard. Se il lettore crede che il romanzo parlerà di elefanti, si sbaglia di grosso. O ancora, se il lettore spera di trovare delle risposte precise a proposito del tema della storia e del tema storico, sarà meglio che abbandoni la malsana idea di portare avanti questa lettura.

Si è parlato di tema della storia e di tema storico non per creare un gioco di parole, bensì perché il romanzo stesso si fonda su questo doppio schema: da un lato, l’autore cerca di ricostruire un evento storico romanzato, dall’altro invece introduce una storia – si badi bene, non la Storia con la ‘s’ maiuscola bensì in quanto tema del romanzo – del tutto inventato e privo di legame con la biografia vera e propria di Michelangelo.

Una pedina sulla scacchiera, di Irène Némirovsky

Una pedina sulla scacchiera
di Irène Nemirovsky

Adelphi edizioni
pp.173

La crisi economica, una generazione di padri costretta a mantenere quella dei figli, un amore fiaccato dalla mancanza di soldi e prospettive. Basterebbero questi pochi elementi per raccontare uno dei libri più intensi di Irene Nemirovsky, Una pedina sulla scacchiera, nell'edizione pubblicata da Adelphi. Pagine che, a rileggerle oggi, interpretano al meglio i nostri giorni, sottofondo drammatico alle statistiche quotidiane sulla disoccupazione giovanile e al disfacimento di una società sempre più corrotta e autarchica.

Ambientato negli anni Trenta della Francia in piena depressione economica, il romanzo racconta le vicende di Christophe, figlio di un ricco imprenditore in rovina, assunto grazie alle pressioni paterne in quella che prima era la società di famiglia. Dipendente fiaccato dalla continua mancanza di soldi e dalla presenza ingombrante del padre moribondo, Christophe trascorre le sue giornate tentando di sfuggire gli obblighi di un lavoro monotòno, ascoltando la risacca sempre più flebile della sua coscienza che inaridisce, avvizzisce ai sentimenti: tutto è subordinato al denaro, capace di vietare e sbiadire anche le emozioni. Sullo sfondo, case e appartamenti sempre infausti, mura che conservano angosce mute di sorrisi, matrimoni nemici, lontananze abissali coperte dalla formalità fredda del rapporto di coppia, un meccanismo per cui nessuno si confessa all'altro, fino al naufragio.

Autunno, di Louis Bromfield

Autunno
di Louis Bromfield
Elliot Edizioni, 2013


"Le radici della vita di Pentland sprofondano nel passato" pensò Olivia. "Ma ora non c'è nessun nuovo, giovane ramo destinato a crescere...".

Se davanti ad uno scaffale di libreria vi vien voglia di sfogliare Autunno, vi ritroverete tra le mani un libro dalla copertina malinconica, nonché un Premio Pulitzer del 1926. Pare sia stato dimenticato, questo prolifico autore di romanzi e sceneggiature, perché da tempo non si pubblicavano le sue opere; avrete inoltre tra le mani un romanzo molto denso, in cui ogni parola è stata soppesata: ognuna è funzionale alla storia, quindi imperdibile. Si tratta di un libro complesso, perché un narratore onniscente indaga nel profondo i sentimenti di un'antica famiglia in decadenza, i Pentland, nel New England dei primi anni del Novecento; e lo fa con quei tipici topoi che, ricomposti ad arte, fanno sì che la storia sia efficace: una casa piena di cose antiche, obsolete, talvolta di cattivo gusto; valori puritani ormai in declino, obsoleti pure loro, incartapecoriti come i personaggi che li considerano importanti; il giovane e unico erede di famiglia, debole e malaticcio che non sopravvive, il cui funerale diventa episodio significativo del disfacimento della famiglia; un segreto custodito da lettere di soffitta che tradiscono nel modo peggiore la presunta purezza e moralità della famiglia Pentland.

La “soggealtà”: una breve riflessione su “Nella casa” di François Ozon

"Nella casa", un film di François Ozon, 2013.
“Nella casa” è un film del regista francese François Ozon basato sulla mise en abyme. La mise en abyme letteraria. La mise en abyme cinematografica. La mise en abyme del sé. Ma soprattutto, la mise en abyme della realtà. In quest’articolo, si intende analizzare soprattutto alcuni aspetti di questo intricato film che potrebbero passare inosservati: si tratta di un film sulla psiche, sull’immaginazione, sulla soggettività, sul dubbio, sull’enigma. Difatti, alla fine della visione, lo spettatore si ritroverà con molte domande irrisolte e dubbi esistenziali. Ecco il perché.

Ispirandosi alla tradizione greca e latina e alla letteratura giapponese contemporanea – primo fra tutti il romanzo “Colori Proibiti” di Yukio Mishima – il regista mette in scena il rapporto controverso tra un professore e un allievo. Si tratta di un tipico topos letterario. In effetti, non è questo l’aspetto più caratterizzante e sconvolgente del film. Al contrario, è l’aspetto più evidente del film in questione. Lo spettatore si rende perfettamente conto che non è il professore che cerca di influenzare letterariamente il suo allievo, piuttosto è l’esatto contrario: è il ragazzo che influenza in un modo o nell’altro la vita del professore (e indirettamente anche quella della moglie, trattandosi di vita coniugale).

"Aracoeli": i Discorsi sacri di Elsa Morante, ma senza i conforti della religione



Aracoeli
di Elsa Morante
Einaudi, 2013

1^ edizione - 1982

€ 13 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)



Ogni creatura, sulla terra, si offre. Patetica, ingenua, si offre: «sono nato! eccomi qua, con questa faccia, questo corpo e quest'odore. Vi piaccio? mi volete?» Da Napoleone, a Lenin e a Stalin, all'ultima battona, al bambino mongoloide, a Greta Garbo e a Picasso e al cane randagio, questa in realtà è l'unica perpetua domanda di ogni vivente agli altri viventi.

Tra gli ultimi anni cinquanta (dopo lo Strega a L'isola di Arturo) e il sessanta, Elsa Morante lavora a un progetto di romanzo intitolato Senza i conforti della religione, un canovaccio sulle forme della religiosità contemporanea che non vedrà mai la luce ma che inseminerà due successivi ovuli letterari: l'uno, La Storia (1974), di struttura narrativa entropica eppure corale – di un'umanità travagliata e pure generosa; l'altro, Aracoeli (Einaudi, 1982), l'ultimo romanzo – l'ovulo cieco.
Nel 1976 (l'anno prima moriva tragicamente Pier Paolo Pasolini), inizia la gestazione di Aracoeli, che durerà cinque anni. Il tempo della storia è risicatissimo: nel giro di pochi giorni si esaurisce il viaggio di Manuele, 43 anni brutto impiegato di un'angusta aziendina editoriale (carattere degno di un Kafka!), a El Almendral – Andalusia, sulle tracce dei luoghi nativi di sua madre Aracoeli, anzi sulle tracce di Aracoeli stessa che coincidono con quelle del séstesso. Il tempo della narrazione, invece, si snoda – complice una lunga serie di flashback – attraverso l'infanzia del protagonista, il cui epicentro è l'amore terribile per sua madre, ovvero l'atavica categoria esistenziale dell'esser-bello-per-lei.

Pordenonelegge 2013: incontro con Jussi Adler- Olsen



Pordenone in questi giorni si è paludata di giallo, il giallo intenso dei tuorli d'uovo all'occhio di bue che ti guardavano dalle vetrine, dai bar e dagli stendardi a ricordare a qualunque passante che la città si trovava nel pieno del festival Pordenonelegge 2013.
Tra gli incontri previsti nel programma c'è stata la presentazione dell'ultimo romanzo dell'autore danese Jussi Adler- Olsen “Il messaggio nella bottiglia”. A moderare e condurre Roberto Costantini (autore di “Tu sei il male” edito da Marsilio nel 2011). Dopo l'incontro con il pubblico, ho avuto il piacere di poter fare qualche domanda allo scrittore. Un incontro piacevolissimo e molto divertente che ha ancor più completato e ampliato l'apprezzamento per il suo lavoro.
Jussi Adler- Olsen si è immediatamente presentato come autore scandinavo, ma, precisa, danese: “E' un po' come dire che sono un latino della zona scandinava. Di sicuro andremo d'accordo”. La presentazione è così partita con una risata, soprattutto da parte dell'unica signora svedese presente tra il pubblico.

D: Parliamo dei personaggi, tutti a loro modo particolari e strani. Ci racconti qualcosa di loro.
R: Carl Mørck, il protagonista, deve il suo cognome ad un omicida che è stato in cura da mio padre quando ero piccolo (Ndr il padre dell'autore era psichiatra). Carl invece è il mio primo nome: potremmo dire che questa figura ha in sé dell'eccezionale (si indica con aria modesta) e del cattivo. Assad, l'assistente siriano, è nato ispirato dai tassisti mediorientali. Tutte le volte che salgo in taxi mi trovo immancabilmente a confronto con uomini molto più istruiti di me. Come fare a non odiarli? (fa una smorfia comica). Assad poi può essere sintetizzato da una frase detta dal mio traduttore americano. Un giorno l'ho chiamato, era un po' che non ci sentivamo e gli ho detto “Ti ho pensato spesso ultimamente” e lui ha risposto “Curioso: anch'io penso spesso a me stesso negli ultimi tempi”.
Quello che importa è che tutti loro hanno delle stranezze, qualcosa di fuori dall'ordinario. Potrei scrivere anche di gente normale, ma poi chi se ne ricorderebbe?

Certe strade semideserte sono siciliane


Certe strade semideserte
AA. VV. (Giacomo Cacciatore, Fabio Ceraulo, Valentina Gebbia, Alessandro Locatelli, Marco Pomar, Alessandro Savona, Maria Grazia Sclafani, Elvira Seminara)

Edizioni Leima, 2013



Let us go then, you and I,
When the evening is spread out against the sky
Like a patient etherized upon a table;
Let us go, through certain half-deserted streets.


Le strade semideserte dell’epigrafe sono quelle dell’eliottiano canto d’amore di Alfred Prufock: una citazione importate e densa di significati che da poco tempo rappresenta anche una novità nell’editoria nostrana. Certe strade semideserte è , infatti, il libro d’esordio di una novella casa editrice palermitana, le Edizioni Leima, che per presentarsi sulla scena editoriale azzarda e sceglie l’inconsueto biglietto da visita di un’antologia di racconti.
L’editore presenta questo progetto scrivendo che “certe strade semideserte potrebbero suscitare timore, perché non si sa che incontri si possano fare”, ma allo stesso tempo le strade semideserte sono luoghi da popolare con proficua creatività e sono quindi “terreno fertile da cui far ripartire la crescita culturale di quella stessa terra nella quale Federico II volle fondare la Scuola Poetica Siciliana”. Un progetto strettamente ancorato al territorio, una polifonia composta da otto storie scritte da otto autori siciliani.

Pillole d'Autore: "Il demone della prosperità" di Chan Koonchung



Il demone della prosperità è un romanzo uscito in cinese nel 2009. La Repubblica Popolare ne ha vietata la pubblicazione ma il testo ha cominciato a circolare, soprattutto in rete, e molti intellettuali l'hanno letto e recensito.
L'autore, Chan Koonchung, vive a Pechino. Non è dunque un uomo che ha sfidato la censura da lontano o in esilio: il coraggio con cui ha scritto il libro ne costituisce uno dei diversi motivi di interesse, una delle tante ragioni per cui ho deciso di leggerlo.
Siamo a Pechino nell'anno 2013. Gli uomini e le donne cinesi vivono con soddisfazione la loro "Era della prosperità", iniziata due anni prima. Mentre l'economia dei paesi occidentali tracolla e gli equilibri planetari si modificano, la Cina si gode l'età dell'abbondanza. Tutti sono straordinariamente felici e lasciano che il Partito controlli la popolazione e presieda alla sua crescita
conomica e al suo benessere psicologico. 

Joyland: la terra dell’ovvietà di Stephen King


Joyland
di Stephen King
Sperling&Kupfer, 2013

352 pp.
19,90 €


L’ultimo libro del re dell’horror statunitense Stephen King è apparso nelle librerie italiane all’inizio dell’estate 2013: Joyland, pubblicato in Italia dalla Sperling&Kupfer.
La storia è ambientata in un luogo tanto inconsueto per le storie del terrore quanto lo può essere la londinese Baker Street per un romanzo giallo: un parco giochi. Come se non bastasse, le vicende del fantasma di turno - che ovviamente è rimasto prigioniero del Castello del Brivido - si intrecciano con i tormenti sentimentali post-sessantottini di un giovane universitario americano e con il lacrimevole destino di un ragazzo disabile. Nessuna ironia metaletteraria, nessuna ricerca sul genere: una puntata della Signora in giallo ha più colpi di scena. E come nel celebre telefilm, che almeno ha il merito di essere interpretato da Angela Lansbury, il primo su cui ricadono i sospetti del nostro giovane che ficca il naso dove non dovrebbe è il cattivo della situazione, quello brutto e scorbutico.  Non sveleremo qui ai nostri lettori chi sarà poi l’insospettabilissmo killer psicopatico, ma vi mettiamo in guardia: in questo tripudio di banalità non si arriva neanche a creare un po’ di suspence che renda la lettura intrigante. Che la renda veloce sì: come ogni successo commerciale che si rispetti, Joyland è un testo che si legge senza problemi, ma questo perché non solleva nessun tipo di questione. La narrazione in prima persona è farcita da un’abbondanza di descrizioni che ostacola la riflessione e l’immaginazione: è tutto sulla pagina, il lettore deve limitarsi a seguire le vicende di personaggi che non hanno spessore e che se non fossero legati a un misterioso delitto avrebbero annoiato molto prima di arrivare alla fine del libro. 

Il Salotto: intervista a Rossano Pestarino


L'ultima volta che ho visto Rossano Pestarino è stata a Torino, alla fine del giugno del 2012. Avevo letto il suo libro Lune d'Honan e volevo intervistarlo - anche perché le recensioni non so davvero come si facciano. C'erano versi che avevo trovato ardui e dentro ai quali non ero sicuro di essere riuscito a entrare, e altri invece di chiara per me e da me invidiata bellezza, per esempio:

le spacca il sole immobile lassù
le piroette dei bambini scalzi
insomma, ogni angelo fa specie a sé
in fondo in fondo ai corridoi bui

Numerosi i riferimenti altissimi, costante l'autobiografia. Così ho provato a interrogarlo, passeggiando con lui, segmentando il centro, dai Giardini Cavour fino a Porta Palazzo. I bouquinisti di via Po ci rallentarono, ma fu una libreria che avrebbe di lì a un mese chiuso i battenti e che pertanto svendendo svuotava gli scaffali e i magazzini a risucchiare tutto il suo interesse. Sul registratore sono rimasti incisi tentennamenti (miei), dinieghi (suoi) e un silenzio frusciante.

Il messaggio nella bottiglia



Il messaggio nella bottiglia
(Titolo originale: Flaskepost fra P)
di Jussi Adler- Olsen
Marsilio Editore, 2013

pp. 557

Generalmente, se si pensa a thriller e spy- story si pensa alla cultura americana. Anni di telefilm e romanzi sfornati a getto continuo ci hanno assuefatto a vedere sulle coste dei libri “gialli” solo cognomi anglofoni. Il giro di boa è avvenuto nel 2005, 2007 per l’Italia, quando vennero pubblicati i romanzi di Stieg Larsson, autore scandinavo prematuramente scomparso. Stiamo parlando della famossima trilogia Millenium con i romanzi “Uomini che odiano le donne”, “La ragazza che giocava con il fuoco” e “La regina dei castelli di carta”. Da quel momento, il monopolio americano ha subito una battuta d’arresto per far posto, sugli scaffali, a cognomi con “ø” nel mezzo. Oltre a questo cambiamento nella fonetica dei nomi, si è inaugurato un periodo di thriller e storie su serial killer che hanno perso la brutalità e il sangue dei loro cugini americani e ne hanno guadagnato in psicologia.

La lettera d'amore di Cathleen Schine

La lettera d'amore
di Cathleen Schine
Adelphi, 2011

pp. 269


Ah, ma io sono entusiasta.
Mi piacerebbe fare la libraia, allora ho pensato che comprare un libro in cui la protagonista è una libraia fosse una buona idea. Si chiama La lettera d'amore ed io non amo i romanzi rosa, ma a dispetto del titolo e della copertina (rosa) questo non è un romanzo melenso o scontato. O forse un po' sì, ma con stile. Sembra avere un ritmo lento, ma poi dopo aver preso confidenza col ritmo della sua scrittura e col suo humor sottile (che fa comunque scoppiare in potenti "ahahah"), si prende ad amare più di un personaggio. Un bravo scrittore sa sfaccettare i suoi protagonisti: il bianco ed il nero si lasciano ad altri, i caratteri di un buon libro devono saper sorprendere il lettore con angoli e sfumature che non avremmo sospettato. E così, ogni mattina, accanto al latte e alla caffettiera, c'è stato anche La lettera d'amore; se lo leggevo in metro, arrivavo in un soffio; la notte, scivolava via ancora meglio.
Cathleen Schine, come narratore onniscente, descrive i pensieri dei suoi protagonisti, di cui sappiamo tutto, come da un racconto di prima mano. Helen, la libraia, è una mamma divorziata molto affascinante. Senza di lei la libreria non andrebbe avanti, perché è una maliarda, con la sua capacità di ascoltare il desiderio dei clienti e soddisfarlo col volume giusto, o con lo sguardo giusto. E a me le protagoniste un po' streghe sono sempre piaciute, come La maga delle spezie della Divakaruni, che sa sempre di quali spezie tu possa aver bisogno.

Incontro con Silvia Avallone

Sugli scaffali delle librerie potete trovare da oggi il nuovo romanzo di Silvia Avallone intitolato Marina Bellezza. Fino a pochi giorni fa i lettori non sapevano quasi nulla sul libro, per due anni l'autrice ha lavorato concentrandosi solo sul testo, evitando interviste e collaborazioni. Ha cercato di sottrarsi alla giostra mediatica per dedicarsi alla scrittura. Ha cominciato in questi giorni a parlare di Marina e di Andrea, i protagonisti di questo romanzo, sue creature, amici con cui dice di aver vissuto intensamente per due anni e ai quali - dichiara - è stato molto difficile dire addio.
La casa editrice Rizzoli e la giornalista Barbara Sgarzi hanno avuto la bella idea di organizzare un incontro tra l'autrice e alcuni blogger e giornalisti che si occupano di libri e cultura. Ci siamo trovati nella storica sede del Corriere della Sera in via Solferino a Milano e abbiamo parlato del romanzo proprio la sera prima della sua uscita.



Le oscure presenze di Luca Rachetta

Le oscure presenze 
di Luca Rachetta
Edizione Creativa, Collana Le Pleiadi, 2012


La natura umana ospita e cova nella sua parte più intima tante presenze oscure, che travagliano l’esistenza esponendola all’insicurezza, alle ansie, alle manie, alla paura della vita stessa che induce a fuggire dalla realtà, a sensi di colpa che, sebbene sommersi sotto l’acqua densa dell’oblio, prima o poi riaffiorano inesorabilmente. Presenze oscure inevitabili proprio in quanto connaturate all’uomo, ma di cui è bene attenuare gli effetti più rovinosi, spuntandone la lama più affilata per evitare di farsi infliggere ferite mortali[1].

Andrea Bardi è il giovane protagonista del romanzo Le oscure presenze di Luca Rachetta. Il titolo rinvierebbe a fantomatiche atmosfere cupe e vicine al romanzo gotico: quanto di più errato.
Si tratta invece di una narrazione assai piacevole e costruita, dallo scrittore marchigiano, con l’innesto di sapienti tratti ironici: il protagonista, dopo il diploma liceale ed un’ottima laurea in Lettere, per assecondare il desiderio del padre a capo di un’azienda di bevande zuccherine, è stato indirizzato verso una carriera più sicura nell’azienda del genitore.
Alla perdita del padre segue, per Andrea, un’inaspettata fortuna lavorativa nata grazie ad un’idea geniale confluita  nella produzione di una specifica bevanda, il chinotto, che risulta essere assai gradita alla clientela. La moglie, Donatella Angelini, rivela, nel corso del romanzo, una personalità assai differente rispetto a quella manifestata dal marito e da un po’ di tempo la donna, sentendosi “artista nell’anima e filosofa da salotto”, frequenta settimanalmente un circolo teosofico denominato Santi capeggiato da una seguitissima guida spirituale. La vita dei due coniugi corre su binari che appaiono sempre più insistentemente non solo paralleli, ma anche assai distanti tra loro. Attorno ai due personaggi chiave del romanzo ruotano altre persone. Sarà la madre, in particolare, a dare un risvolto paranormale-ironico al racconto perché è colei che avverte la presenza, nella sua vita onirica notturna, di misteriosi e strani esseri.

#CritiComics: Daria

Colta, intelligente, sarcastica e non particolarmente bella, Daria Morgendorffer non è come tante altre protagoniste di fortunate serie animate. In Giappone in genere hanno gli occhi grandi, i capelli colorati e spesso sono straordinariamente popolari tra i loro coetanei, Daria, invece, è americana, veste poco alla moda e non si distingue certo per la socievolezza, anzi.
Appare per la prima volta nella serie Beavis and Butt-head, per questo si dice che sia uno spin-off, ossia una derivazione di questa serie animata.
Il primo episodio va in onda del 1997, cui ne seguirono molti altri (in cinque stagioni), più due film, È già autunno? del 2000 e È già ora di andare al college? del 2002.
Non è un cartone animato come gli altri, negli scambi di battute tra i protagonisti, ha un ritmo molto veloce e dei temi spesso complessi, con citazioni letterarie, filosofiche e artistiche di tutto rispetto: si direbbe un cartone per adulti colti, tant'è che in Italia veniva trasmesso in seconda serata.
Daria si trasferisce a Lawndale, una cittadina di provincia come tante altre, insieme alla sua famiglia: Ellen, la madre avvocato, è la classica donna in carriera che nei panni di casalinga proprio non sa stare; Jake, è uno dei personaggi più divertenti e, a mio parere, tra i più riusciti della serie. Free lance, insicuro e amante della cucina italiana, Jake soffre molto per il fatto che la moglie guadagni più di lui e che la sua posizione lavorativa sia meno prestigiosa; soffre anche per un'infanzia segnata da una figura paterna veramente infelice, e non supererà mai veramente i suoi traumi, tranne nella puntata in cui Daria gli ricorda che suo padre alla sua età era già morto. Le puntate sono percorse da questo notevole sarcasmo, la filosofia di Daria consiste nel pensare "che senso ha una tragedia se non ci si può scherzare sopra?" Il suo mondo è fatto di una cameretta con le pareti morbide, con teschi e ossa, un computer e tanti libri, non accetta la stupidità, la pochezza che tocca con mano giorno per giorno; a cominciare dalla sorella, Quinn, bella, popolare, alla moda e vacua, che rifiuta di ammettere ai suoi amici che Daria è sua sorella.

Il Signore degli Orfani: il premio Pulitzer 2013 per la fiction,ambientato nella spietata realtà della Corea del Nord

Il signore degli orfani
di Adam Johnson
Marsilio, 2013


In un mondo crudele, arretrato e popolato di individui disperati, si svolge la storia di formazione di un giovane uomo che spinto da un fortissimo istinto di sopravvivenza cerca di resistere all’orrore di quel mondo e delle proprie azioni. Potrebbe essere questa, in estrema sintesi, la storia alla base del romanzo “Il signore degli orfani”, una storia di disperazione, riscatto e atrocità che dipinge un immaginario luogo dove la vita ha scarso valore, ognuno ha un posto –un lavoro, una moglie- assegnatoli e il capo perennemente chinato al volere del potente dittatore. Si, potrebbe essere solo il racconto inventato di un luogo dove la realtà è crudele e ti spinge a macchiarti di colpe terribili, ambientato in un ipotetico stato totalitario fuori dal tempo. 
Ma Adam Johnson, con il romanzo vincitore del Pulitzer 2013, immagina la sua storia in un luogo ben preciso: la Corea del Nord. Luogo per molti versi avvolto dal mistero, tra le ultime dittature comuniste tuttora esistenti, Johnson ne ha studiato per sette anni con minuzia ogni più piccola fonte e notizia rimanendone affascinato e riuscendo, tra i pochissimi americani, a visitarla in un breve viaggio durante il quale tuttavia è risultato impossibile parlare apertamente con le persone e interrogarle sulle reali condizioni in cui vivono. La storia de “Il Signore degli orfani” nasce quindi dalla somma di tutte queste ricerche, ma soprattutto dal desiderio del suo autore di riportare l’attenzione su un mondo che chiuso ad ogni contatto con la realtà esterna vive sotto un potere totalitario e repressivo; un Paese che di recente è nuovamente entrato nel dibattito internazionale a causa delle tensioni con gli Stati Uniti, situazione che per alcuni mesi sembrava sul punto di portare ad uno scontro aperto ma che oggi viene sostituita da altre crisi, altri popoli infelici, altri interessi economici e politici. 

L’eroe senza nome: "Le Premier Homme" di Albert Camus

Il primo uomo
di Albert Camus
Bompiani, 2001

Ciò che ha contribuito a rendere Le premier homme un manoscritto incompiuto di successo – si parla di ben 300.000 copie vendute – è la sua tragica ma al tempo stesso assurda storia. Il 4 gennaio 1960, Albert Camus muore in un tragico incidente d’auto. In seguito alla sua scomparsa, nella borsa che lo scrittore portava con sé, viene ritrovato un manoscritto non ancora terminato. Venuto a conoscenza della triste notizia, Sartre scrive su France-Observateur
«Pour tous ceux qui l’ont aimé, il y a dans cette mort une absurdité insupportable. Il faudra apprendre à voir cette œuvre mutilée comme une œuvre totale». 
Pertanto, la figlia Catherine Camus decide pazientemente di decifrare la piccola e incomprensibile scrittura del padre e di far pubblicare il manoscritto presso l’editore Gallimard, nella collezione "Cahiers Albert Camus", nel 1994. 
Essendo Camus tra gli autori più fraintesi e incompresi della storia della letteratura francese (si è deliberatamente omesso il titolo di filosofo), non stupirà che anche questo manoscritto abbia subito molte interpretazioni controverse. I più si limitano a leggerlo come un’autobiografia o confessione dell’autore, altri si prestano ad interpretarla come l’ennesima presa di posizione di Albert Camus rispetto alla situazione politico-economica dell’Algeria e dei suoi rapporti controversi con la Madre Patria. 
 La verità è che Le Premier Homme – Il Primo Uomo in italiano – è una confessione d’amore. Non la costruzione di un mito, non amore passionale, non costruzione di un pensiero filosofico. No, puro e semplice amore. 

Tradizione calabrese e amori adolescenti al tempo dei telefonini

Il bacio del pane
di Carmine Abate
Mondadori, 2013

pp. 160
cartaceo € 12
e-book € 4,99

Quando si abbassò per rimettere il pane nel sacchetto, una delle fette gli cadde per terra sollevando una nuvoletta di polvere. L'uomo la raccolse subito, con apprensione.
"Buttatela via, è tutta impolverata" gli consigliai, convinto che volesse mangiarla.
Lui mi lanciò uno sguardo di disapprovazione: "Il pane non si butta così, come una pietra senza volte. Il pane è vita, ci vuole troppa fatica per farlo".
Diede un bacio al lato pulito della fetta e andò a posarla sotto il fico, dove banchettavano affamati tre o quattro uccelli. Poi concluse: "Il pane va rispettato". (pp. 52-53)
Un'estate di giovani adolescenti, presi dai primi amori sotto il meriggio che tutti gli adulti tiene in casa: una realtà senza tempo, in cui solo i telefonini e i motorini ci ricordano di essere nel Duemila e non all'epoca dell'Agostino moraviano:

Via, via, non ero disposto a deprimermi ancora, l'estate che aspettavo come un innamorato impaziente mi stava chiamando. E appena misi un piede fuori di casa, mi avvolse in un abbraccio caldissimo. Saltai sulla mia Vespa e partii da solo alla volta del mare. (p. 38)

Pillole d'autore: Heberto Padilla


Fuera del juego
Heberto Padilla
Traduzione di Gordiano Lupi

Edizioni Il Foglio
pp 157
12,00

“The knock at our door came around seven in the morning.”  Così Cuza Malè racconta il momento dell’arresto del marito, il poeta cubano, di lingua castigliana, Heberto Padilla.
Dopo che, nel 1968, la raccolta di poesie “Fuera del juego”, di Padilla, vinse  il premio UNEAC, il libro venne considerato controrivoluzionario e pubblicato con un’appendice che ne stigmatizzava il contenuto come anticastrista. Padilla fu arrestato nel 1971 e, per riottenere la libertà,  fu costretto ad apparire davanti al collegio degli scrittori e fare pubblica abiura di se stesso, dei suoi scritti, “confessando” supposti crimini suoi e della moglie contro la Rivoluzione. Così si esprimeva Padilla riguardo alla sua “autocritica”:

Il procedimento è stato ideato da Lenin per recuperare i rivoluzionari nelle file del partito comunista e perfezionato da Stalin come strumento per distruggere moralmente chi esprimeva posizioni critiche . Ho accettato di recitare l’autocritica per ottenere la libertà e per poter lasciare Cuba, che ormai era diventata una prigione.”

#CriticaLibera: uno sguardo sul Premio nazionale di letteratura Neri Pozza


Nell'anno in cui cade il centenario della nascita di Neri Pozza, la casa editrice che porta il suo nome decide di indire un premio letterario nazionale in suo onore.

Editore, scrittore, artista e partigiano, nacque e visse a Vicenza dedicando tutta la sua vita a questa città.
Dopo l'esperienza della Resistenza - di cui ha lasciato memoria nel suo libro La prigione - decise di fondare una casa editrice che tutt'oggi si distingue nel panorama nazionale. Nella sua carriera di editore ha collaborato, tra gli altri, con Eugenio Montale (stampò il suo esordio in prosa, Farfalla di Dinard), Carlo Emilio Gadda (di cui pubblicò il Primo libro delle Favole), Goffredo Parise, Mario Luzi, Vincenzo Cardarelli, Dino Buzzati, Massimo Bontempelli.
Il Premio nazionale Neri Pozza intende riportare al centro del lavoro editoriale la passione e la dedizione del fondatore. Si rivolge solo alle opere inedite, escludendo narrativa di genere come i gialli, i memoir, le opere fantasy, i thriller, le "opere in cui l'intrattenimento narrativo ignori il compito conoscitivo proprio della letteratura", come si legge in un comunicato della casa editrice stessa.
Per confermare ancora una volta il fatto che il numero di persone che scrive in Italia è considerevolmente superiore a quello di coloro che leggono, basti pensare che i testi arrivati al concorso sono stati 1781 e sono stati giudicati e selezionati da un comitato di lettura nel quale compaiono agenti letterari, editori, giornalisti, scrittori, professori, studiosi. Basato sul modello dei premi letterari spagnoli, quasi tutti organizzati dagli editori, il Premio letterario Neri Pozza intende restituire dignità all'attività dello scouting editoriale, oggi minacciata su più fronti.

"Io esisto?", di Valerio Monti

Io esisto?
di Valerio Monti

Lettere Animate, 2013
pp. 115


Una montagna di libri da leggere avidamente in una sorta di frenetica lotta ingaggiata contro un tempo, che è mera percezione interiore del proprio distacco da quell'interagire quotidiano con i propri simili e con ciò a cui siamo soliti attribuire l'appellativo di "realtà", non sempre idilliaca, a onor del vero, ma che ci avvolge in quel senso di appartenenza tale da farci sentire per certi versi vivi e presenti in questo mondo. Un senso di appartenenza che pare essersi dissolto da tempo immemorabile dal cuore e dalla mente dell'unico protagonista di questo racconto. Non ci è dato conoscere il suo nome, forse per meglio sottolineare questa "perdita di identità" o meglio di identificazione con una dimensione scaturita da connotazioni perlopiù di stampo materiale che presuppongono il superamento di alcune tappe destinate a sancire quel senso di appartenenza (studi, carriera, famiglia e quant'altro, purché all'insegna di un tessuto esistenziale brillante, possibilmente senza incidenti di percorso), tipiche soprattutto di certe società che traggono linfa vitale dal culto dell'apparire e della perfezione ad ogni costo.

#SpecialeScuola: Incontro con Eraldo Affinati

Da sinistra: Jacopo Cirillo, Eraldo Affinati, Patrizia La Daga, Claudia Consoli

Mantova, 8 settembre: ultima giornata di Festivaletteratura. A mezzogiorno io e altri blogger incontriamo Eraldo Affinati per parlare con lui di Elogio del ripetente, il suo ultimo libro che abbiamo letto e apprezzato e del quale pochi giorni fa abbiamo pubblicato una recensione.
Un incontro informale, una chiacchierata per conoscersi meglio, e infatti Affinati decide di cominciare raccontandosi. Insegnante e scrittore, da subito dichiara che questi sono i due poli della sua attività, le due anime dei suoi libri. La vocazione pedagogico-letteraria emerge subito quando si guarda alla produzione: ci sono testi di impronta storica e letteraria come Campo del sangue (1997) e Peregrin d’amore (2010), altri che più direttamente riflettono l’esperienza da insegnante come Secoli di gioventù (2004), La Città dei ragazzi (2008) e l'ultimo Elogio del ripetente (2013), altri ancora basati su riflessioni, divagazioni, viaggi come Berlin (2009), Uomini pericolosi (1998), Bandiera bianca (1995).

“Sono insegnante e romanziere, due ruoli che sono accomunati dalla responsabilità della parola”.

Marco Campogiani, "Smalltown boy"



Smalltown boy
Marco Campogiani
Edizioni Anordest 2013

pp. 335
€ 12,90


“Quando noi eravamo Noi, e il mondo se ne stava fuori, tutto era leggero, e come scivoloso, mentre ora non riesco a muovere un passo.” (pag 294)

Alla fine, sono ancora Babi e Step, alla fine è ancora “un’altra storia d’amore”. E tuttavia…
Smalltown boy”, di Marco Campogiani, finalista al XXVI premio Calvino, s’inquadra sì nel filone dell’amore giovanilistico ma, soprattutto, in quello della ricerca dell’identità sessuale, adesso tanto  in voga. Lo fa con un attacco lieve, quasi tragicomico, come fossimo, appunto, ancora “tre metri sopra il cielo”, poi, però, va in crescendo verso lo scavo interiore, verso l’accettazione dell’ineluttabile, verso la sofferenza, verso l’essere costretto a misurarsi con il metro della cosiddetta normalità, con “l’altro da sé”.
Davide Guizzardo s’innamora a quattordici anni con una profondità, con un’assolutezza drammatica, superiore alla sua età, e il suo è un amore tragico come quello di Romeo. Ma l’anima gemella non è Giulietta, bensì Guido, l’amico con cui è solito giocare a calcio e parlare di ragazze. Guido è bello, forte, atletico, è il campione che tutte vogliono. Guido è omosessuale, Guido ha una gemella, Martina, considerata da tutti stramba, dark, solitaria. Anche Martina è omosessuale e ama Cristina che tutti credono la ragazza di Guido. Per stare insieme, Davide e Guido, Martina e Cristina, dovranno fingere di uniformarsi, diventare agli occhi del mondo ciò che la società richiede. “Essere. Come. Gli. Altri.”
Nascerà così una commedia degli equivoci, un intreccio strano fra i quattro ragazzi, dove Davide farà finta di stare con Martina, mentre Guido darà a vedere di essere il ragazzo di Cristina. In realtà, le coppie vere saranno omo e non etero.

#SpecialeSCUOLA - Il Prof scende dalla cattedra: "Ehi, prof!" di Frank McCourt

Ehi, prof!
di Frank McCourt
Adelphi, Milano, 2008


Titolo orig.Teacher man
Trad. Claudia Valeria Letizia


€ 11

Le vie della pedagogia, a leggere Ehi, Prof! di Frank McCourt, oltre che infinite possono diventare persino bizzarre e poco convenzionali, roba da professor Keating de L'attimo fuggente per intenderci, ma con risvolti decisamente meno drammatici. Non ci si potrebbe aspettare altro, del resto, dall'io narrante che, ripercorrendo à rebours la sua quarantennale storia di insegnante nelle scuole americane, come un novello Candide confessa: "Il primo giorno della mia carriera rischiai di farmi licenziare per aver mangiato il panino di un alunno. Il secondo giorno rischiai di farmi licenziare per aver accennato alla possibilità di andare con una pecora" (p. 25). Dietro questa patina di irriverente ironia si celano però il disagio e le ansie di un uomo che, quasi alla soglia dei trent'anni, sale in cattedra portandosi dietro un'ingente mole di dubbi e di nodi irrisolti (primo fra tutti il controverso rapporto con il suo paese d'origine, l'Irlanda, e con la ferrea morale cattolica con cui è stato educato) e fin troppo poche certezze. Circostanza che certo non aiuta se ogni giorno sei chiamato a fronteggiare classi di trenta teenager alla volta, ovvero, nello specifico, hai a che fare con una 'gioventù bruciata' (siamo alla fine degli anni Cinquanta) e sempre più smaliziata, avida comunque di esperienze formative, nel bene e nel male, forti e irripetibili.

Il falò delle vanità di Tom Wolfe


Il falò delle vanità 
di Tom Wolfe
Mondadori, 2010


11€
pp. 780


Nel Bronx gira voce che il povero Henry Lamb sia morto per una stupida ragazzata della quale non sarebbe mai stato capace se non fosse che quel Roland Auburn l’avesse incontrato per strada, per caso, mentre andava a mangiarsi una frittura. La gente mormora che Auburn – spacciatore di crack vanitoso con le Reebook sempre nuove di scatola – si prenda spesso gioco del povero Henry – un ragazzo per bene, uno che studia e vuole andare all’Università, un ragazzo con un futuro insomma – e quel giorno incontrandolo per strada cerca di coinvolgerlo in una rapina che però è un gioco e che si trasforma in tragedia. Auburn gli vuole dimostrare come si fa una rapina, magari senza rapinare nessuno, e blocca una macchina per strada, una bella Mercedes. La situazione degenera perché il padrone dell’auto, sentendosi aggredito gli tira addosso una ruota e poi nel fuggire urta con l’auto proprio Henry.
Lamb non sta un granché e va all’ospedale per farsi curare. Dice che gli fa male il polso e non racconta niente di niente, perché ha paura, perché è stato coinvolto in una rapina. Gli curano il polso e lo mandano a casa. Il giorno dopo è in coma e scoppia il caso Lamb che ben presto diventerà il caso McCoy.

#SpecialeSCUOLA - Intervista a Costantino Leanti


Costantino Leanti, a Pavia, è un’istituzione. Lo conosciamo bene, perché ha condiviso trent’anni di lavoro e passione per il mondo della scuola e della cultura attraverso decine di iniziative che ha ideato in collaborazione con le classi dei diversi istituti pavesi e con la Biblioteca Civica Bonetta (in Piazza Petrarca), presso cui ha lavorato a lungo. Rassegneletterarie, incontri con gli autori, ma anche spettacoli teatrali organizzati con i ragazzi, libri pop-up e mostre sono solo alcuni dei progetti che hanno animato Pavia, il suo Ticino (con “Quattro chiacchiere sul fiume”), la piazza (con le rassegne e le mostre in Santa Maria Gualtieri), le aule universitarie (con i tanti “Incontri con l’autore” e “Quattro chiacchiere con”), le scuole e i teatri. Per una prima occhiata, l’archivio che è stato digitalizzato in un blog (clicca qui). Ora Costantino è in pensione, ma non ha smesso di suggerire a Pavia iniziative e incontri: con lui abbiamo organizzato e ideato “Tre quarti di weekend”, di cui stiamo già preparando per la seconda edizione (29-30 marzo 2014).

Come sei arrivato a lavorare nelle scuole e quali tipi di attività hai svolto?

Costantino in prima fila, all'istituto Bordoni (PV)
per lo spettacolo "Sognavamo nelle notti feroci" (2011)
Questa domanda mi riporta con la memoria molto indietro. Io ho cominciato a lavorare giovanissimo; a 16 anni ero apprendista in una fabbrica metalmeccanica, mi occupavo degli impianti elettrici delle macchine utensili. Dopo 18 mesi sono passato operaio specializzato e complessivamente ho trascorso 5 anni in  fabbrica a Torino. Ho fatto questa premessa perché questo periodo ha condizionato tutte le mie attività successive. Dopo le otto ore in officina,  la sera frequentavo prima un istituto tecnico poi l’Università, Scienze Politiche a Palazzo Nuovo. Erano gli anni 70’. Nel 72’ mi licenziavo dalla Morando, oggi Comau e andavo a fare il doposcuolista a Collegno un paese della cintura torinese abitato sostanzialmente da operai come tutta la cintura torinese. Io abitavo a Mirafiori il quartiere che ospita la grande fabbrica Fiat.

Spesso gli insegnanti si lamentano per programmi troppo rigidi e per avere poco tempo per attività extracurricolari. Nella tua esperienza come è andata la cooperazione con gli insegnanti?

Un western da Oregon city a Sacramento




Arrivano i Sister
(The Sisters Brothers)
di Patrick DeWitt
Neri Pozza, 2012 (2011)

pp. 301


Se fate bene attenzione al titolo originale e al titolo in traduzione italiana del romanzo, siamo dinanzi a uno di quei casi in cui purtroppo si rinuncia a un gioco carino di parole: il libro, se fossimo rimasti fedeli all’inglese, sarebbe apparso negli scaffali come “I fratelli Sorelle”. Invece si è dato questo tocco bounty killer o da settimo cavalleggeri, tipo: arrivano i nostri. E in effetti con un western abbiamo a che fare.
A questo punto alcune premesse sono d’obbligo: intanto l’anno e il genere. Nel 2011, uno scrittore ricorre al western. La scelta parrebbe azzardata. Ma poi un western che è perfino racconto picaresco e se il percorso dei protagonisti, i fratelli Sister, si snoda tra Oregon City e Sacramento in California, non è che da un punto di vista antropologico e ambientale, a eccezione degli indiani, ci si distanzi troppo da un simile peregrinare tra la Mancia e l’Andalusia del Sei-Settecento.

#SpecialeSCUOLA - Daniel Pennac - Diario di scuola

La copertina dell'edizione rinnovata del 2013
Diario di scuola
di Daniel Pennac
Feltrinelli, 2008



La paura fu proprio la costante di tutta la mia carriera scolastica: il suo chiavistello. E quando divenni insegnante la mia priorità fu alleviare la paura dei miei allievi peggiori per far saltare quel chiavistello, affinché il sapere avesse una possibilità di passare

Pubblicato nella sua prima edizione francese nel 2007, il libro è uscito in Italia nel 2008. Nel gennaio di quest'anno l’edizione, curata dalla Feltrinelli, è stata anche rinnovata.
In Diario di scuola (Feltrinelli editore, 2013, euro 8,00), non si leggono raccomandazioni, indicazioni o racconti autobiografici di esperienze di vita. Ci si trova di fronte ad un melting pot omogeneo di tutto questo, articolato in forma di dialogo, più che di diario. Una chiacchierata informale che spinge il lettore ad una forma di distrazione superba quale è quella cui, in un certo senso, fa capo l’autore, nel momento in cui decide di raccontare la scuola vista dagli alunni. O meglio, vista dai somari. Non dai professori o dagli “esperti del settore”, non dagli psicologi e nemmeno dal punto di vista di chi, alla fin fine, non fa altro che far rimbalzare la colpe di questo o quell'errore, di questo o quel comportamento, da una parte all'altra.

La casa sfitta: quattro maestri della letteratura vittoriana e un mistero da svelare

La casa sfitta
di Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins, Adelaide Anne Procter
Jo March edizioni, 2013


Prendete quattro maestri dell’età vittoriana, ognuno con la propria voce unica ma ugualmente capaci di armonizzarsi sotto la guida di un direttore d’orchestra d’eccezione; una storia misteriosa e coinvolgente in cui non manca una certa vena ironica e drammatica al tempo stesso; la pubblicazione del racconto sull’edizione natalizia di una celebre rivista e infine il piacere di scoprire a 150 anni dalla sua morte ancora un testo inedito in lingua italiana di Dickens (si, è proprio lui il sopracitato direttore d’orchestra). 
Ecco, tutti questi ingredienti compongono una piccola perla nel panorama del romanzo vittoriano che è davvero un piacere irrinunciabile scoprire oggi, non soltanto per abbandonarsi all’intrigante trama ma anche e soprattutto per osservare come quattro autori di tale leva siano stati capaci alla loro seconda fortunata collaborazione di offrire al lettore del giornale un quadro variopinto in cui stile, temi e generi prediletti e morale emergano nelle loro differenze peculiari senza per questo danneggiare la trama organica della storia, fondendosi quasi in un’unica voce multicorde.