#SpecialeSCUOLA - Intervista a Costantino Leanti


Costantino Leanti, a Pavia, è un’istituzione. Lo conosciamo bene, perché ha condiviso trent’anni di lavoro e passione per il mondo della scuola e della cultura attraverso decine di iniziative che ha ideato in collaborazione con le classi dei diversi istituti pavesi e con la Biblioteca Civica Bonetta (in Piazza Petrarca), presso cui ha lavorato a lungo. Rassegneletterarie, incontri con gli autori, ma anche spettacoli teatrali organizzati con i ragazzi, libri pop-up e mostre sono solo alcuni dei progetti che hanno animato Pavia, il suo Ticino (con “Quattro chiacchiere sul fiume”), la piazza (con le rassegne e le mostre in Santa Maria Gualtieri), le aule universitarie (con i tanti “Incontri con l’autore” e “Quattro chiacchiere con”), le scuole e i teatri. Per una prima occhiata, l’archivio che è stato digitalizzato in un blog (clicca qui). Ora Costantino è in pensione, ma non ha smesso di suggerire a Pavia iniziative e incontri: con lui abbiamo organizzato e ideato “Tre quarti di weekend”, di cui stiamo già preparando per la seconda edizione (29-30 marzo 2014).

Come sei arrivato a lavorare nelle scuole e quali tipi di attività hai svolto?

Costantino in prima fila, all'istituto Bordoni (PV)
per lo spettacolo "Sognavamo nelle notti feroci" (2011)
Questa domanda mi riporta con la memoria molto indietro. Io ho cominciato a lavorare giovanissimo; a 16 anni ero apprendista in una fabbrica metalmeccanica, mi occupavo degli impianti elettrici delle macchine utensili. Dopo 18 mesi sono passato operaio specializzato e complessivamente ho trascorso 5 anni in  fabbrica a Torino. Ho fatto questa premessa perché questo periodo ha condizionato tutte le mie attività successive. Dopo le otto ore in officina,  la sera frequentavo prima un istituto tecnico poi l’Università, Scienze Politiche a Palazzo Nuovo. Erano gli anni 70’. Nel 72’ mi licenziavo dalla Morando, oggi Comau e andavo a fare il doposcuolista a Collegno un paese della cintura torinese abitato sostanzialmente da operai come tutta la cintura torinese. Io abitavo a Mirafiori il quartiere che ospita la grande fabbrica Fiat.

Spesso gli insegnanti si lamentano per programmi troppo rigidi e per avere poco tempo per attività extracurricolari. Nella tua esperienza come è andata la cooperazione con gli insegnanti?

Ho avuto la fortuna di formarmi e lavorare in un momento di grandi cambiamenti culturali, in un fermento creativo veramente eccezionale. Ho trovato, inoltre, Amministrazioni comunali di centro sinistra che investivano nelle attività scolastiche di loro competenza e formavano il personale puntando su attività di qualità per un servizio non meramente assistenziale, come erano stati fino allora i patronati scolastici. La nostra giovane età, il lavorare in equipe, le specializzazioni acquisite, il laboratori strutturati, l’organizzazione del tempo scuola che prevedeva il lavoro a piccoli gruppi, la scomposizione del gruppo classe e la riaggregazione dei bambini in gruppi di interesse, un clima molto più rilassato e gioioso… Tutto ciò ha contribuito ad un sostanziale successo dei doposcuola comunali che vedevano in molti casi la partecipazione della totalità dei bambini della classe cosiddetta del mattino. Per alcuni anni il rapporto con gli insegnanti dello Stato è stato prima forse circospetto, ma inseguito di rispetto e infine di vera collaborazione. Questa è la mia esperienza degli anni 70’ 80’ a Pavia ( nel 1975 ho lasciato Torino e mi sono trasferito a Pavia).

Pensiamo invece agli studenti. Si parla tanto dei problemi di integrazione dei ragazzi: come sei riuscito, con le tue attività, a far lavorare insieme i ragazzi? C’è qualche episodio significativo che ti piace ricordare?  

C’è da fare una premessa, io non avevo l’onere di raggiungere obbiettivi legati a programmi ministeriali, una volta fatti i compiti il tempo scuola lo impiegavamo in iniziative extracurriculari dove il gioco era la componente determinante di ogni attività fosse stata: musicale, di stampa, di audiovisivi, di costruzioni e pittura… La ricerca mia e dei miei colleghi era sempre improntata all’ascolto e al coinvolgimento dei bambini nelle iniziative proposte. Poi io, per mia natura, cercavo di essere uno di loro, senza perdere la mia autorevolezza, ma rendendoli protagonisti dell’evento in programma, volevo che avessero la sensazione che il tutto stesse nascendo lì in quel momento, e che loro ne fossero i protagonisti, e non delle semplici comparse. Uno degli episodi che rende bene il tipo di rapporto che avevo con i miei bambini è quello che è avvenuto nell’ambito di una settimana verde ai piedi del monte Lesima nell’Oltrepo. Nel corso di una escursione ci siamo persi e non riuscivamo a tornare in albergo in tempo per la sera. La situazione era veramente preoccupante e solo lo spirito di gruppo e una buona dose di fortuna ci aveva permesso di entrare in albergo un minuto prima che cominciassero le telefonate delle mamme. I genitori non seppero mai nulla dell’avventura corsa dai loro figli. Solo anni dopo quando Graziano, uno dei componenti del gruppo, tornò in quell’albergo per festeggiare o il diploma o la Laurea, l’albergatore riconosciutolo gli ricordo l’episodio e il padre scoprì che il figlio aveva rischiato di dormire nei boschi dell’Oltrepo. Scoprii in seguito che nessuno dei bambini aveva raccontato l’episodio in casa.

Una delle locandine di "Quattro Chiacchiere Con",
in ricordo di uno splendido incontro
con Tiziano Scarpa
Nelle tue rassegne, tra cui ricordiamo il grandissimo successo di “Quattro chiacchiere con”, hai sempre affiancato ad appuntamenti dedicati a un pubblico adulto, anche incontri che suscitassero interesse nei ragazzi. Pensi che le iniziative delle biblioteche possano incentivare la lettura? E come?

I doposcuola comunali ebbero termine con l’avvento del tempo pieno statale e molti degli insegnanti comunali furono impiegati in altre attività educative gestite dai comuni, ad esempio io ed altre mie colleghe formammo un gruppo di animazione che operò per anni in un quartiere periferico della città, lavorando sullo svantaggio socio-culturale dei ragazzi e utilizzando il teatro come mezzo di espressione e socializzazione. Esaurita anche questa esperienza approdai in una biblioteca ragazzi e proprio lì nacque “Quattro chiacchiere con..”; una rassegna di letteratura per ragazzi. Con gli anni la rassegna è cresciuta e si è rivolta anche ad un pubblico adulto. Mi chiedevi delle iniziative per incentivare la lettura, queste partivano naturalmente dal mio vissuto e dalle esperienze accumulate nel tempo: la costruzione dei libri pop-up della nostra biblioteca era una caratteristica conosciuta a livello nazionale;  i racconti in biblioteca con forme di animazioni e la presenza di attori o musicisti o fumettisti;  gli incontri con gli autori; un aggiornamento ragionato e costante degli acquisti, in modo che i bambini e i ragazzi trovassero sugli scafali il meglio della produzione libraria… Ma sono stato sempre convinto che la biblioteca e la scuola possano fare la loro parte ma che la famiglia con l’esempio svolge un ruolo fondamentale per incentivare la lettura.

Tra le tante iniziative, vorrei ricordare “Verdiana”, volta ad avvicinare i ragazzi all’opera lirica di Verdi attraverso molteplici progetti. Ce ne vuoi parlare? E quale è stato il riscontro?

Nel 2001, in occasione dei 100 anni della morte del grande compositore di Busseto, la biblioteca Bonetta in collaborazione con il teatro Fraschini ha dato vita al progetto "Verdiana". Un programma molto articolato, con la produzione di libri animati, dvd, spettacoli, concerti, conferenze, letture drammatizzate, mostre che ha coinvolto numerose classi delle elementari e delle medie e vari esperti. L’obbiettivo era avvicinare i più giovani alla conoscenza dell'opera lirica, e in particolare presentare la personalità e la produzione indimenticabile di Giuseppe Verdi. Il riscontro è nelle centinaia di persone che hanno lavorano fattivamente attorno ad un unico progetto e ne sono state intimamente coinvolte con risultati e produzioni che lo testimoniano e che, ancora oggi, a distanza di anni vengono ricordati.

Hai aiutato e contribuito a realizzare tanti spettacoli teatrali, tratti spesso da opere letterarie, come Il Malafiato di Roberto Piumini o Ci chiamavano banditi di Guido Petter. Come hanno interagito i ragazzi? 

Sul palco con "La ragazza di nome Julienne"
Il teatro ragazzi è stato uno strumento di aggregazione e conoscenza che ho molto utilizzato per avvicinare i giovani alla lettura. Le decine di produzioni messe in scena hanno avuto sempre un aggancio nella letteratura per ragazzi. Mi piace ricordare anche Ultima fermata: Auschwitz di Frediano Sessi o Tutta colpa del naso di Ermanno Detti, Jimmy della Collina di Massimo Carlotto e potrei continuare perché gli spettacoli che hanno visto protagonisti giovani e ragazzi sono stati veramente tanti, più di venti. Venivano creati di volta in volta vere compagnie di giovani dirette da un regista professionista e la pièce prevedeva il più delle volte musiche originali e la collaborazione di musicisti del conservatorio della città, insomma un progetto dove i giovani erano protagonisti, supportati da professioni. Il pubblico era naturalmente formato da altri giovani e ragazzi e quasi sempre alla fine c’era la presenza dello scrittore che aveva ispirato il lavoro che dialogava con loro. Come si può intuire per i ragazzi erano sempre delle esperienze totalizzanti, altamente formative e difficilmente dimenticabili. 


Nelle classi, hai spesso proposto la creazione di libri animati. In cosa consistono e quali sono gli scopi? 

I libri pop-up sono stati un altro strumento che ho utilizzato nella mia attività di bibliotecario per ragazzi. Consiste in una illustrazione tridimensionale che salta fuori dalla pagina bidimensionale. È una tecnica che può essere molto complessa ma anche, semplificata, un valido strumento per illustrare con i bambini e i ragazzi storie o documentare monumenti o rappresentare scenografie. 

Quali consigli daresti ai tanti ragazzi che hanno affrontato il TFA e che ora sperano di insegnare?

C’è da fare una premessa, da un paio di anni sono in pensione e il mondo lavorativo di oggi è completamente diverso da quello che ho praticato in più di quarant’anni di attività. La situazione ora è molto più complessa, la mia generazione sostanzialmente non ha mai avuto il problema del lavoro. Il precariato lo abbiamo conosciuto anche noi, ma era l’eccezione del momento, ora è la regola del mercato del lavoro. Quindi mi trovo in grande difficoltà a rispondere a questa domanda. Mi sentirei di consigliare di specializzarsi, di seguire le proprie curiosità e tradurle in percorsi educativi, ma mi rendo conto che è difficile se lo Stato non investe nell’Istruzione e nella Cultura. Io penso che solo l’intervento pubblico può rilanciare certi settori strategici per l’economia nazionale.

Una curiosità, per finire. E Costantino Leanti, che tanto ha amato e s’è appassionato alla scuola, che studente è stato?

Penso di essere stato un buono studente: disciplinato, non particolarmente brillante ma volenteroso. La seconda parte degli studi, quelli serali sono stati veramente impegnativi e hanno messo a dura prova la mia resistenza fisica e psicologica. Essere uno studente –lavoratore a sedici anni ha significato ritrovarmi in classi con compagni molto più vecchi di me e passare gli anni dell’adolescenza senza la spensieratezza che mi era dovuta. Ma come si evince dalle mie risposte non rimpiango nulla e rifarei esattamente tutto ciò che ho fatto. Sono stato un uomo fortunato.

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Intervista a cura di GMGhioni