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La libertà e la lezione di Hans Jonas

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Problemi di libertà
(Problems of Freedom)
di Hans Jonas
a cura di Emidio Spinelli, traduzione di Angela Michelis
Aragno, 2009

pp. 468


Un libro “alto”. Hans Jonas è inutile presentarlo perciò entriamo subito in questa che è una raccolta delle lezioni da lui tenute nel 1970 alla New School for Social Research di New York intitolate, appunto, “Problems of Freedom”.

Due le parti: la prima dedicata all’analisi dello stoicismo, la seconda del pensiero cristiano, in particolare del filone che parte da Paolo e giunge ad Agostino. Tra le due prospettive Jonas istituisce una netta contrapposizione, perche mentre secondo gli stoici le minacce alla liberta vengono dall’esterno e la difesa consiste nel raccogliersi dentro la cittadella interiore del , per i cristiani le minacce alla libertà sono all’opposto quelle che scaturiscono dall’interno dell’uomo e la difesa consiste nella conversione, che non è altro che un’uscita da .

«L’uomo è davvero padrone in casa sua»: stoici, ottimismo antropologico. «L’uomo si trova senza sostegno nell’ambito del proprio », cristiani, pessimismo antropologico. L’affermarsi del cristianesimo, annota Jonas, ha fatto sì che «troviamo questa verità in tutta la moderna psicologia». Ma c’è cristianesimo e cristianesimo. Quello analizzato da Jonas è la corrente vincente ma proprio perché tale significa che ha dovuto combattere con altre impostazioni che partivano da presupposti molto diversi.
Ora, c’è da dire che anche nel mondo greco-pagano, e romano, non è che mancassero riflessioni gigantesche sullo scarto tra la morale oggettiva e la prassi soggettiva. Paolo e Agostino però spingono questa diffidenza verso il alla consacrazione definitiva e ci dicono che proprio perché fallaci, quando tanti si uniscono per dare senso al loro sforzo morale, nella Legge, non possono che essere destinati al fallimento. Un concetto potente, inutile nasconderlo: noi uomini non possiamo mai essere nel giusto. Anzi, tutti abbiamo bisogno di essere fatti giusti.

Contro chi ha dovuto scontrarsi, nell’ambito del cristianesimo, questa filosofia paolino-agostiniana? Con l’altra che muove da Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, e arriva a Pelagio, figura di spicco del monachesimo irlandese, e dell’alto Medioevo, contro cui il vescovo di Ippona scrisse famosi testi di natura teologica. Se in sostanza l’agostinismo dice che «l’uomo è inadeguato per principio di fronte alle richieste di Dio» e la sua libertà-salvezza scaturisce solo dalla grazia legata a un evento storico secco, la crocifissione e resurrezione di Cristo, nei pelagiani, per i quali Jonas parteggia, c’è insita una fiducia di fondo nell’uomo e nella sua libertà che è capacità, in un percorso ovviamente molto tortuoso, di decidersi per il bene e la giustizia. Dio conosce ma non predetermina.

Lo stesso Cristo peraltro seguiva un metodo non proprio in linea con questo pessimismo antropologico. Basta leggere i vangeli per capire che Gesù, da buon ebreo – l’ebraismo non a caso non conosce il peccato originale – pur consapevole che poteva essere il male lo sbocco della nostra libertà, ha creduto nella possibilità per l’uomo di praticare la giustizia. Altrimenti che avrebbe detto a fare, nel vangelo di Matteo: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»?