Libri sotto l'ombrellone 2012: prima puntata






 La consueta puntata di fine mese con #RileggiamoConVoi si colora d'azzurro: insieme all'estate, tornano su CriticaLetteraria i consigli per i "Libri sotto l'ombrellone". 
Per chi vive le torride giornate dell'estate metropolitana, per chi ha già programmato a puntino le proprie vacanze e non sa quale libro (meglio, quali libri!) riporre con cura nel proprio bagaglio; e per chi, invece, di leggere non avrà proprio voglia... ma si ritroverà comunque a vagare per i duty free, in attesa del volo, indeciso tra l'ultimo bestseller e il classico intramontabile. Per tutti voi, la redazione di CriticaLetteraria ha risfogliato il suo ricco catalogo per proporvi letture capaci di soddisfare tutti i gusti. 

Sei consigli per sei generi, per arricchire la vostra estate di letture piacevoli e, chissà, indimenticabili. 

Buona lettura!



"Summer Reading" © Doug Salati


Laura consiglia...
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury
Perché: è un grande classico della letteratura distopica, nonché il libro più noto di Ray Bradbury, scomparso meno di un mese fa: se volete cominciare a leggere i suoi romanzi e racconti, dovete partire proprio da Fahrenheit 451;
A chi consigliarlo: a chi ama tanto la lettura da sentire propria l'idea di morire per un libro; a chi subisce insieme la tentazione e la paura del fuoco.

Gloria consiglia...
Qualcuno con cui correre di David Grossman
Perché: è una favola contemporanea senza veli, avventurosa e appassionante, in cui il male non riesce a scalfire i buoni sentimenti.
A chi consigliarlo: a tutti coloro che credono ancora nei sogni.

Dario consiglia... 
Intervista col Vampiro di Anne Rice
Perché: una storia di vampiri come quella di Anne Rice non verrà mai dimenticata; la penna di Anne Rice regala emozioni uniche: questa è una vera storia di vampiri.
A chi consigliarlo: agli amanti del genere dark, a coloro che vogliono lasciarsi trasportare dal fascino dei vampiri della Rice, a chiunque voglia immergersi in una storia che va al di là di un semplice romanzo gotico.
(leggi la recensione


Claudia consiglia...
La versione di Barney di Mordecai Richler
Perché: è un romanzo che ha per protagonista un uomo che somiglia a Zeno Cosini, benché sia canadese e viva in un'altra epoca. Il libro farà divertire il lettore, lo porterà a riflettere, lo commuoverà. Sorprendente il modo con cui Richler parli delle debolezze di tutti attraverso un personaggio unico nel suo genere. che è impossibile non amare, nonostante le sue piccole e grandi meschinità.
A chi: a tutti coloro che apprezzano la scrittura improntata al sarcasmo, alla dissacrazione, capace di squarciare, come un coltello, le ipocrisie e le manchevolezze dei rapporti sociali, ma soprattutto umani. 

Debora consiglia...
Zia Mame di Patrick Dennis
Perché: è sempre il momento giusto per godersi le avventure dell'eccentrica, spumeggiante e inarrestabile Mame, in riva al mare o su un sentiero di montagna per farsi contagiare dalla sua vivacità!
A chi consigliarlo: a tutti quelli che amano l'ironia e lo spirito arguto, per una lettura divertente ma mai banale.
(leggi la recensione)

Stefano consiglia...
Almeno il cappello, di Andrea Vitali.
Perché: è una serie di divertenti - e divertiti - ritratti di personaggi particolarissimi, oltre che una efficace e piacevole rappresentazione della vita in un paesino di provincia.
A chi: a chi sente il bisogno di sorridere e di appassionarsi a una storia narrata in modo semplice eppure magistralmente architettata.
(leggi la recensione)

CriticaLibera - Un cimitero per i tweet?






AVVERTENZA!!! Contrariamente alle cattive abitudini della qui presente autrice, il pezzo è un po' gotico, inquietante e apocalittico. Si sconsiglia la lettura sui vagoni dei regionali Trenitalia, nelle sale d'aspetto dell'ASL, negli atri semibui delle biblioteche del Miur, e in altri luoghi che concorrono al logoramento del buonumore. Per non rinunciare del tutto allo spirito da rapanello d'autore, si è pensato di limitare la logorrea alle note a piè di pagina (smisurate, invadenti e, dramma!, pure un po' autobiografiche).
**-------------------------------**

Capita che me lo chieda. Non so se è uno sfogo di horror vacui contemporaneo o solo lo spirito nostalgico che di tanto in tanto fa di me una portatrice (in)sana di spleen. O forse sono le ultime incrostazioni di romanticismo che faticano a staccarsi. E comunque mi chiedo: ma tutti questi Tweet che leggo, che scrivo, che retweetto e commento, ma dove diavolo andranno a finire? Informazione breve, rapida, ma anche effimera?  
Bella scoperta, direte. Ci sono fior di sociologi che si sono spesi a rifletterci, e ora non ho la pretesa di portare qualcosa di nuovo. Solo aggiungere la mia opinione non richiesta. Perché, non so voi, ma io sono combattuta: questa dimensione di informazione-lampo, a volte vorrei che sopravvivesse (e già vedo con un po' di terrore tesisti del futuro che andranno a scavare negli archivi digitali dei social network di scrittori, eminenze grigie, premi Nobel...) (1), a volte preferirei che se ne andasse per sempre, dopo un ragionevole tempo di ribollimenti, riletture e ripiegamenti sul proprio ombelico da bravi nostalgici (2).

Gianrico Carofiglio: "Il silenzio dell'onda", il fragore dei ricordi


In attesa della proclamazione del vincitore del Premio Strega 2012, CriticaLetteraria ha letto per voi i finalisti in gara: Gianrico Carofiglio con Il silenzio dell'onda (Rizzoli), Marcello Fois con Nel tempo di mezzo (Einaudi), Lorenza Ghinelli con La colpa (Newton Compton), Alessandro Piperno con Il fuoco amico dei ricordi (Mondadori), Emanuele Trevi con Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie); e vi propone un countdown, a partire da oggi fino al giorno della premiazione, il 5 luglio, per scoprire insieme ogni romanzo della cinquina. Cominciamo occupandoci di:


Il silenzio dell'onda
di Gianrico Carofiglio

Rizzoli, 2011

pp. 300, 19 €



Le settimane di Roberto Marìas ruotano intorno alle sue sedute di terapia psichiatrica. Raggiunge lo studio, siede sulla poltrona e racconta del suo passato di infiltrato nei circuiti del narcotraffico. Raccontando, ricorda. Ricordando, ricomincia a vedere la vita intorno a sé. La vita di Giacomo, dodicenne taciturno, è invece una doppia attesa: a scuola, segue con lo sguardo la più bella della classe, la notte, in sogno, incontra le grandi presenze della sua vita, per fare i conti col passato e, forse, rivelare qualcosa sul futuro. Due storie parallele, destinate a intrecciarsi in un finale dal taglio netto e rapido. 
Il silenzio dell'onda è un romanzo dalla trama semplice, in cui lo svolgimento è prevalentemente a ritroso;  a conti fatti, qualcosa di diverso rispetto alle altre prove narrative di Gianrico Carofiglio, che ha conquistato il suo pubblico con i casi dell’avvocato Guerrieri: la sua bellezza e, in parte, la sua fragilità stanno proprio nell’intenzione di raccontare una storia al contempo intima e condivisibile. A mio parere, si tratta di un testo di transizione, al cui interno si possono già distinguere i germi (tematici, per lo più) di un cambiamento, pronti a un ulteriore sviluppo. Ne è la prova il fatto, fondamentale, che le più belle pagine del romanzo non sono strettamente legate allo svolgimento dell’intreccio: sono i racconti nel racconto di Roberto, da una parte, e il sogno di Giacomo. Entrambi ricreano un altrove lontano: nel passato di Roberto, la cui intensa carriera di infiltrato ha lasciato un’eredità di storie incredibili, fatte di stupidità, orrore e sofferenza; nel mondo onirico di Giacomo, un vero e proprio ‘giardino dei desideri’ in cui il ragazzino può acquisire la propria crescita e indagare il rapporto col padre senza soffrirne. Quest’ultima parte, per i toni pastello e l’ottimo adattamento ai modi e alla sensibilità preadolescenti, mi ha ricordato vagamente la bella prova di Alice Sebold con Amabili resti

Grossman, Qualcuno con cui correre

Qualcuno con cui correre
di David Grossman
Oscar Mondadori, 2011
(1^ edizione: 2000)
Traduzione di Alessandra Shomroni

pp. 363
€ 10,00

Quanto possono sentimenti come l'amicizia e l'amore? Quali limiti sanno oltrepassare? E quali rischi sono disposti a correre? Esistono ancora relazioni impensabili, quasi improbabili per la loro natura irrazionale, ma così forti da spingere due sconosciuti ad avvicinarsi quasi loro malgrado. Come in Che tu sia per me il coltello, anche qui il sentimento d'amore non si declina in modo scontato, ma si complica di solidarietà umana, compassione (in senso etimologico), sogno e proiezione dei propri desideri. Così si può spiegare l'avventura del protagonista Assaf, che deve riportare la cagna sperduta Dinka alla sua proprietaria, Tamar, e si lascia appassionare dalla misteriosa sparizione di quest'ultima. I racconti degli amici, incontri più o meno pericolosi, pagine di diario e indizi fiutati da Dinka fanno sì che la coetanea Tamar agli occhi di Assaf risulti sempre più interessante: non solo un'aspirante cantante sedicenne, sparita da casa con uno zaino e qualche dose di droga, ma una creatura complessa, affascinante e tutt'altro che prevedibile! E quest'aura di attrazione curiosa e genuina porta Assaf per le vie di Gerusalemme, tra difficoltà e violenza, verso l'incontro che - il lettore lo sente - segnerà il vero senso del titolo. Perché il titolo, sì, è splendidamente allusivo: Qualcuno con cui correre racchiude il desiderio di un incontro che ponga fine alla solitudine, e che permetta di fare il proprio cammino in compagnia. Ma è un percorso tutto da fare di fretta, come accade nell'adolescenza e come - narrativamente - avviene: Assaf rincorre Dinka, che è già compagna di corsa, e prepara l'incontro con la padrona Tamar.

Come già ricordato da Claudia nella sua recensione (clicca qui), il romanzo di Grossman racchiude nella sua natura da "fiaba contemporanea" elementi propri del romanzo di formazione, ma riportato entro la realtà poco illusoria di Gerusalemme. Non ci sono promesse di felicità ingenua, né Assaf affronta la ricerca di Tamar con leggerezza: il peso della droga, la violenza per le strade non sono che elementi della lotta per la sopravvivenza che porta questi sedicenni ad essere molto più adulti, ad assumersi responsabilità anche troppo grandi con quel po' di avventatezza della loro età.
Il risultato è un libro che non perde la freschezza di una narrazione coinvolgente, appassionante, che permette di affrontare con piacevolezza una vicenda a tratti fortemente drammatica. Il tutto, filtrato dai sentimenti dei protagonisti, che ci vengono presentati attraverso flashback e salti temporali che avvincono perché il lettore attende fiducioso il momento dell'incontro. E, lo possiamo assicurare, non resterà deluso.

Gloria M. Ghioni

Mario Arturo Iannaccone,"Maria Maddalena e la dea dell'ombra"


Maria Maddalena e la dea dell’ombra
di Mario Arturo Iannaccone
Sugarco edizioni, 2006


Pp.  247
18,80


Maria Maddalena e la dea dell’ombra” di M. A. Iannaccone è una fonte di conoscenza imperdibile per tutti coloro che si avvicinano, da credenti oppure da detrattori, alla nuova spiritualità della dea, post New Age. Uno studio approfondito, che non tralascia niente, capace di trovare ed evidenziare collegamenti inaspettati (tuttavia innegabili) attraverso duecento anni di cultura occidentale, ma non solo. Iannaccone esamina l’antropologia, la mitologia, tramite lo studio delle arti figurative, della filosofia, della musica e della letteratura.
Peccato che il testo sia viziato dall’ideologia e da un antifemminismo che rasenta la misoginia. L’autore piega i suoi studi alla dimostrazione della sua tesi, volta a salvaguardare i dogmi del cristianesimo ortodosso e del cattolicesimo. Egli afferma che la Maria Maddalena nuova, come la si intende oggi, cioè la depositaria di verità segrete, la confidente particolare di Gesù, la sua sposa, la Sophia della sigizia gnostica, la madre della discendenza davidica, la capostipite del Sangreal, la leader sconfessata e celata della Chiesa originaria, scelta al posto di Pietro, la Maddalena di Rennes-le-Château e dell’eresia catara, è frutto di un travisamento volontario, della costruzione di un falso mito, di uno stravolgimento che parte da lontano, dal matriarcato di Bachofen per giungere fino a Dan Brown.
Per avvalorare la sua tesi - che il lettore può accettare o rifiutare - egli compie un excursus comunque interessantissimo attraverso la cultura degli ultimi due secoli, chiamando in causa e mettendo in relazione fra loro i culti matriarcali o pseudo tali della preistoria, Goethe e il suo “ewig weibliche”, gli archetipi junghiani, Wagner, Nietzsche, l’ordine della Golden Dawn, il monomito di Joseph Campbell, i preraffaelliti, fino alla scoperta dei rotoli del mar Morto, di Qumran e Nag Hammadi, e dell’importanza attribuita ai Vangeli apocrifi a scapito dei canonici. Esamina caso per caso, con estrema attenzione e cognizione di causa, indagando tutte le personalità che hanno contribuito a trasformare la figura tradizionale della cortigiana redenta e sottomessa, della testimone di Resurrezione, in ierodula, sacerdotessa della triplice dea, responsabile delle prime comunità cristiane.  
Iannaccone sostiene che, nonostante le apparenze, nonostante certi ritrovamenti e certi siti, nonostante le  statuine di argilla dal ventre prominente, non è mai davvero esistita una religione della dea - matriarcale e pacifica, distrutta dagli invasori indoeuropei e soppiantata da credenze patriarcali - ma tutto nasce da una invenzione femminista, attraverso la quale poi si sono sviluppate le odierne conventicole della Wicca e della stregoneria moderna, capaci di mescolare, in un unico “calderone”, i misticismi più disparati, dal semplice amore per la natura e le erbe, a reminiscenze egizie e celtiche, alle rune, ai tarocchi, alla cabala, fino all’inflazionata e stucchevole teoria dell’energia e delle vibrazioni, in un melting pot che accoglie tutto e il contrario di tutto. 

L’incomunicabilità umana secondo Yasmina Reza

 Il dio del massacro 
di Yasmina Reza
Traduzione di Laura Frausin Guarino, Ena Marchi
Piccola Biblioteca Adelphi
2011, 5ª ediz., pp. 91

“Ecco la nostra dichiarazione…Voi naturalmente farete la vostra”.
Inizia così l’opera teatrale,“ Le dieu du carnage” di Yasmina Reza (da cui è stato tratto un film di Roman Polański): con una sorta di proposta conciliativa, carica di buon senso e buone maniere.
La dichiarazione/conciliazione riguarda una lite banale scoppiata ai giardinetti parigini tra i rispettivi figli dei protagonisti, gli Houllié, padroni di casa (unica location dell’opera), e i Reille; due coppie di borghesi “dai quaranta ai cinquant’anni”.
Il tentativo, tra il patetico e il drammatico, si sviluppa come un articolato e sottile psicodramma dagli esiti imprevedibili, capace di reggere una potente tensione narrativa, le cui increspature alle norme di “civile convivenza” (“per fortuna”, dirà Véronique Houillé, “esiste ancora la civile convivenza”) non tarderanno ad arrivare, opponendosi alla pacifica e controllata risoluzione di uno scontro che a volte sembra prossimo a esplodere, altre volte si scioglie in un civile compromesso e altre volte ancora, specie nel prosieguo della storia, palese e violento.
Il primo scoglio è, come normale che sia, quello del linguaggio, prima spia di un malcelato astio che si vorrebbe, almeno nelle intenzioni, evitare.

Tra critica e narrativa: Borges aveva un tumblr di Angelo Ricci

Borges aveva un tumblr
di Angelo Ricci
Errant Editionts, 2012
Ebook

Difficile circoscrivere questo enhanced ebook in una rigida categoria quale la critica letteraria, in cui - per esigenze di vendita nei book store - è stato un po' forzosamente inserito. Perchè Borges aveva un tumblr (Errant Editions) è molto di più: un contenitore eterogeneo dove frammenti narrativi, riflessioni sulla letteratura, suggerimenti di letture, link e immagini compongono un mosaico sfaccettato e aperto ad approfondimenti, sovrapposizioni, spunti di discussione.
Se già col suo precedente ebook L'ossessione per le parole Angelo Ricci sperimentava nuovi percorsi di scrittura e nuove modalità letterarie, in questo più avanzato "oggetto digitale" come lo ha definito il suo editore, troviamo elementi multiformi che non sono - si badi bene - arricchimenti o espansioni delle parole, ma elementi semantici a sè stanti. Così le immagini non illustrano un testo bensì "parlano" al posto delle parole (mi si perdoni la ripetizione) stesse. E i link conducono ad altri luoghi letterari, comunicativi, narrativi.
Un libro in continuo divenire e in costante espansione grazie a due propaggini: un tumblr dedicato e un board su Pinterest, che come un gioco di specchi rimbalzano e moltiplicano la forza iconografica e visiva di questa nuova frontiera della scrittura.
E mentre si legge, si annotano titoli da approfondire, si sbirciamo blog, siti, tumblr, pare del tutto naturale rimbalzare da un brano di narrativa inedita di Ricci, ad un'analisi dei romanzi che raccontano il Libano di oggi, e poi ancora verso l'osservazione distaccata e sociologica della pronowave che negli anni '60 e '70 elargiva in egual misura trasgressione e cultura. Un percorso labirintico nella migliore tradizione borgesiana, come recita il titolo surreale di questo esempio di nuova letteratura digitale.



Recensito da Carla Casazza

Pillole d'autore: Don DeLillo, "Punto omega"


Don DeLillo, drammaturgo, saggista e sceneggiatore statunitense, è uno degli scrittori più apprezzati del panorama contemporaneo. Tra i suoi libri più noti, ricordiamo Rumore Bianco del 1985 e Underworld del 1997, entrambi tradotti e pubblicati in Italia nel 1999, per la Einaudi.
Punto omega, edito da Einaudi nel 2010, non è semplicemente un dialogo filosofico fra due entità tipizzate, e neppure un vero e proprio romanzo dai pericolosi risvolti noir. Punto Omega è, com'è stato esemplarmente definito, "un'inquieta e misteriosa meditazione sul destino di ogni uomo".


- Sono convinto che tutto questo cambierà. Sta per succedere qualcosa. Ma non è questo che vogliamo? Non è questo il peso della coscienza? Abbiamo tutti fatto il nostro tempo. La materia vuole perdere il peso della propria coscienza di sé. Noi siamo la mente e il cuore in cui la materia si è trasformata. è giunta l'ora di chiudere bottega. è questo che ci guida adesso.
Rabboccò il suo bicchiere e mi passò la bottiglia. Ci stavo provando gusto.
- Vogliamo essere la materia inerte che eravamo un tempo. Siamo l'ultimo miliardesimo di secondo nell'evoluzione della materia. Da studente andavo alla ricerca di idee radicali. Scienziati, teologi, leggevo gli scritti dei mistici dei vari secoli, ero una mente famelica, una mente pura. Riempivo quaderni con le mie versioni della filosofia mondiale. E oggi eccoci qua. Non facciamo che inventare leggende popolari sulla fine. La diffusione di malattie animali, tumori contagiosi. Che altro?
- Il clima, - dissi io.
- Il clima.
- L'asteroide, - dissi.
- L'asteroide, il meteorite. Che altro?
- Carestia, su scala planetaria.
- Carestia, - disse lui. - Che altro?
- Dammi un secondo.
- Non importa. Perché tutto questo non mi interessa. Non so che farmene. Dobbiamo pensare al di là di queste cose.
Non volevo che si fermasse. Eravamo seduti tranquilli a bere e io cercavo di pensare ad altre possibili prospettive per la fine della vita umana sulla terra.

CriticaLibera: Libri troppo "presentati"? Una riflessione tra Italia e Inghilterra


Qual è la differenza tra le presentazioni di libri in Italia e in Inghilterra (paese dove attualmente vivo)? Per il poco che ho potuto saggiare finora, direi che più o meno è la stessa che passa tra cattolicesimo e protestantesimo. Per carità, non vorrei far aggrottare la fronte a teologi o credenti: il mio paragone è puramente formale. Come il prete funge da intermediario tra la comunità dei credenti e Dio, il critico che fisicamente presenta un libro si frappone tra il pubblico e lo scrittore. Questo in Italia. In Inghilterra, il pubblico e lo scrittore dialogano direttamente, come il fedele protestante con Dio.


Criticalibera: Alla ricerca del tempo perduto: la vita di un romanzo. Parte quinta



All’indomani della morte di Agostinelli, Proust compone, quasi di getto, il “pannello” narrativo che costituirà l’ossatura di Albertine scomparsa, e subito, a seguire, quello della Prigioniera. Il personaggio di Albertine, trasfigurazione letteraria di Agostinelli – ma la femminilità del personaggio ha una plausibilità e una concretezza stupefacenti – campeggia da assoluta protagonista nei due nuovi “pannelli” e invade, determinandone spostamenti, cancellazioni, adattamenti, riscritture, tutti gli altri. Tra il 1914 e il 1918 Proust sottopone il romanzo che aveva preannunciato nella controcopertina del primo volume a una profonda rielaborazione, tanto che dai tre previsti, dopo una breve sosta ai cinque, la Ricerca si attesterà ai sette volumi. Gran parte degli episodi già scritti subiscono l’avanzata del nuovo personaggio, e vengono rifunzionalizzati sulla base del nuovo progetto narrativo e dei nuovi significati che l’esperienza biografica del suo autore dà loro. Altri già pronti e rifiniti, alcuni dei quali riletti tra i brogliacci dell’autore appaiono, a livello stilistico e narrativo, di grande spessore, semplicemente spariscono o lasciano scarsissime tracce nella redazione definitiva. Alcuni personaggi e altri episodi sono innalzati al rango di protagonisti perché funzionali all’accresciuto ruolo di Albertine e dell’inversione sessuale che la nuova struttura dell’opera prevede. La fuga e la morte di Agostinelli non forniscono solo nuovo materiale grezzo, bensì immettono nel motore della Ricerca un potentissimo impulso propulsivo, così Albertine “si sovrappone a Gilberte, alla Nonna, alla Mamma; è a Balbec, a Parigi, a Venezia; supera Odette nell’ispirare amore e tormenti; incarna Gomorra e Santa Cecilia” (Anne Chevalier).

Editori in Ascolto - Verbavolant edizioni

Quando è nata la vostra casa editrice e con quali obiettivi?
La nostra avventura è cominciata nel 2005 ma l’attività più intensa e “ostinata” l’abbiamo cominciata circa due anni fa. Gli inizi sono stati difficili, soprattutto nel campo della distribuzione/promozione e abbiamo mollato un po’ la presa. Dopo la pubblicazione de “Le parole del Giglio” che raccoglie racconti inediti in Italia di Oscar Wilde, però, abbiamo acquistato una nuova carica e adesso… lavoriamo sempre e soltanto per far crescere la casa editrice al meglio!

Come è composta la vostra redazione? Accettate curricula?
Il grosso del lavoro l’ho sempre fatto io, che sono la titolare, ma adesso mi affiancano degli altri collaboratori che credono molto nel progetto. In testa il mio ragazzo, Elio, che si occupa dell’impaginazione e che mi affianca nelle fiere e nelle presentazioni (e non è poco!). Ci mandano spesso curricola quindi, perché no? Siamo disponibili anche per stage. 




 Qual è stata la vostra prima collana? E il primo autore?
Abbiamo esordito con la narrativa e con la collana “Admaiora”; il nome è stato scelto come augurio per gli scrittori e di conseguenza anche per noi! Il libro? “Soggetti del verbo perdere” di Stefano Amato. Romanzo del quale mi sono innamorata subito. Stefano è molto bravo, si sta facendo strada e il suo blog è molto seguito.

Se doveste descrivere in poche parole il vostro lavoro editoriale, quali parole usereste?
Passione, tenacia, amore, dedizione, divertimento, follia.

A distanza di sette anni dalla fondazione della vostra casa editrice, quali obiettivi ritenete di avere raggiunto e a quali puntate?
Puntavamo a non rimanere confinati nella nostra regione, come accade a molti editori siciliani, e ci siamo riusciti. Abbiamo molti lettori della “terraferma”, il nostro blog, anche se nato da poco, è piuttosto seguito e abbiamo anche avuto il piacere di scoprire al Salone del libro di Torino, dove siamo andati per la prima volta quest’anno, che a conoscerci sono più di quanti pensassimo. Per il futuro? Intanto speriamo di poter continuare a fare ciò che ci piace con la stessa energia e la stessa passione. Puntiamo a raggiungere un pubblico sempre maggiore, a una distribuzione più capillare e… a riscuotere sempre più successi.

Criticalibera: Alla ricerca del tempo perduto: la vita di un romanzo. Parte quarta


Nel 1913, mentre è impegnato nella correzione e, come al solito e come sarà fino alla fine dei suoi giorni, all’espansione dello Swann, mentre escogita un finale per il primo volume che è un’ennesima falsa pista e contribuirà non poco al generale fraintendimento delle sue intenzioni, un finale che sembra ricacciarlo nell’anfratto del nostalgico memorialista, Proust riallaccia i rapporti con l’autista che nel 1907 l’aveva accompagnato nelle visite alle cattedrali nei dintorni di Cabourg. Alfred Agostinelli, disoccupato e male in arnese, s’installa, assieme alla (falsa) moglie in casa dello scrittore. Ne nascerà un’amicizia e poi un amore travolgente, ma anche opprimente, con i due, anzi i tre, costretti claustrofobicamente a convivere sotto lo stesso tetto, in una situazione psicologica, sentimentale e materiale non molto diversa da quella che, mutatis mutandi, lo scrittore aveva già vissuto con la madre nei mesi successivi alla morte del padre e fino a quella della donna. Amore, tenerezze, espansioni sentimentali sempre disponibili, vicine, a portata di mano, ma anche senso di soffocamento, ripicche, gelosie, che con Agostinelli andranno fino al parossismo. Anche, Alfred, però, non ne può più, e scappa. Con il gruzzolo racimolato durante la convivenza con lo scrittore, s’iscrive alla scuola di aviazione di Antibes con il nome, non saprei dire se amorevole o canzonatorio, di Marcel Swann. Proust fa di tutto per riportarlo a casa: promette, spende, invia emissari per convincere la famiglia (originaria proprio di Antibes) a riconsegnarglielo. Ma alla seconda uscita da pilota al largo della Costa Azzurra, Alfred Agostinelli s’inabissa e muore affogato. Lasciando a Parigi, nella casa dello scrittore un vuoto immenso, un dolore senza fine. No, non è un romanzo, è il resoconto sintetico e veritiero (per quanto possa essere veritiero un cronachistico resoconto…) di alcuni mesi di vita di Marcel Proust. Diventerà un romanzo, in particolare La prigioniera e Albertine scomparsa, V e VI volume di Alla Ricerca del tempo perduto. Non solo: l’episodio avrà ripercussioni decisive e definitive su tutta l’opera, anche sullo Swann all’ultimo giro di bozze e prima del tragico epilogo. Tanto che non sarebbe del tutto fuori luogo parlare di un “effetto Agostinelli” sulla Ricerca. Evidentemente a Proust erano bastati quei pochi mesi di contrastata convivenza per farli riverberare nel romanzo, tanto più che potevano ricordargli la convivenza, non altrettanto contrastata, ma comunque non solo idilliaca, con la madre. E si potrebbe inoltre aggiungere che in tempi assolutamente non sospetti, in un appunto del 1908, Proust mostra di aver già immaginato una vicenda molto simile a quella che effettivamente vivrà e che sarà trasfusa nel romanzo: tra i possibili sviluppi aveva previsto che il Narratore intrattenesse presso di sé una ragazza di scarsa fortuna, e di non poterne godere per “l’impossibilità di essere felice”. In una frase incidentale, delimitata da trattini, il Narratore lega la scoperta del mondo di Gomorra, ovvero dell’inversione sessuale femminile – una delle scene più controverse di Combray – a sviluppi futuri di gelosie e sofferenze claustrofobiche, ciò che puntualmente gli succederà con Albertine. Anche in questo caso non si tratta di ammirare stupefatti un’improbabile preveggenza più o meno misteriosa, ma di rilevare che l’esperienza esistenziale, le concrete vicende biografiche creano nello scrittore delle forme, delle strutture mentali che egli trasforma, fissandole, in forme letterarie capaci di comunicarne il senso al di là delle contingenze biografiche. Forme che sono qualcosa di più e di diverso dalla elaborazione concettuale pura e semplice. Forme a-concettuali che sono lo specifico, peculiare, insostituibile modo di comunicare della letteratura, perché, pur formandosi in virtù del linguaggio e dei significati, non comunicano solo concetti, ma anche una visione del mondo unica e originale, che altrimenti rimarrebbe murata all’interno della monade leibniziana. Forme che il filosofo della fenomenologia e dell’esistenzialismo, Merleau-Ponty, proprio in riferimento a Proust, ha definito “idee sensibili”. L’antinomia dell’amore-prigione che l’autore affronterà nel V e VI volume dell’opera, come il lento formarsi dell’ordine dal caos, sono il sostrato biografico, l’esperienza individuale che la letteratura “salva” dalla contingenza, dall’oblio e dalla insignificanza.

Beowulf e l’etica del mondo guerriero germanico


Beowulf
a cura di Ludovica Kock, testo originale a fronte
Einaudi, 2005 (1987)
282 pp.
11,00 €

Scritto in un periodo incerto (tra il VII e il IX secolo d.C.) e da autore anonimo, il poema epico Beowulf presenta per la prima volta nelle letterature germaniche lo scontro tra mondo umano e mondo mostruoso che diventerà presto un archetipo narrativo, portando alla creazione degli innumerevoli terribili draghi che sono stati uccisi dal coraggioso San Giorgio o da altri cavalieri.
In quanto primus nel suo genere, il poema ha una trama che potrebbe apparire scontata al lettore moderno. La storia narra le vicende dell’omonimo eroe scandinavo che arriva nelle terre dei Geati a soccorrere il re di Danimarca Hrōđgār e il suo popolo dal terribile mostro Grendel e, in seguito, dalla madre di questo assetata di vendetta. Dopo aver ricevuto i meritati onori Beowulf torna in patria e, diventato successivamente anche lui re dei Geati, regna per molti anni. La sua ultima impresa sarà l’uccisione di un drago che, prima di morire per mano sua e del nipote Wīglāf, lo colpisce a sua volta fatalmente. Gli episodi sono inframmezzati da numerose digressioni, spesso introdotte da aedi di corte durante i banchetti, che raccontano vicende e battaglie di celebri condottieri scandinavi.

Prezioso documento storico, Beowulf è il più antico e più lungo poema scritto in anglosassone. In 3182 versi allitteranti tre nuclei narrativi compongono la storia riproponendo un identico schema di fondo: quello della lotta tra eroe e mostro (Beowulf contro Grendel, poi sua madre, poi il drago). Ma la contrapposizione, oltre ad essere tra un singolo uomo e un singolo mostro alla volta, riguarda due mondi interi. Il primo è quello umano, fatto di feste, banchetti e allegria e rappresentato dalla reggia di Hrōđgār dove si vive sempre in ricchezza ed armonia e dove gli uomini sono legati da saldi valori feudali. Queste scene idilliache di abbondanza sono sempre interrotte dall’intromissione dell’altro mondo, quello mostruoso. L’aggregazione sociale degli uomini si scontra con l’ostilità di mostri alienati, che possono essere sconfitti solo con un intervento altrettanto “sovraumano”. Mostri così terribili, infatti, possono essere affrontati solo da chi possiede un’ “umana mostruosità”.
Eroe ai limiti dell’invincibilità e dotato di una forza quasi sovraumana, Beowulf è un condottiero che risponde perfettamente all’etica del mondo guerriero germanico. Uomo giusto e leale, Beowulf è sempre caratterizzato da sentimenti e valori estremi:
“era fra tutti i re del mondo, il più generoso con i suoi e il più cortese con gli uomini, il più gentile con la sua gente, e il più smanioso di gloria”.

Criticalibera: Alla ricerca del tempo perduto: La vita di un romanzo. Parte terza

(hai perso la prima puntata? Clicca qui e qui per la seconda)

Dunque ripartendo dalla sua idea di letteratura, incarnendola in una concreta pratica narrativa, il pigro e malato Proust sente di aver imboccato la strada giusta: scrive forsennatamente, battendo ogni record di resistenza alla fatica – tra il 4 e il 6 luglio del 1909 a Cabourg scrive per 60 ore consecutive. Sottolineo l’aneddoto non per alimentare una mitologia della quale l’auspicabile rivitalizzazione della lezione proustiana non avrebbe nessun bisogno, rimarco l’aneddoto per evidenziare che da un certo momento della sua vita Proust non solo trasfigura la sua biografia in un romanzo, ma è il romanzo stesso ad installarsi pesantemente nella sua vita, a guidarla e regolarla. Così verso la fine di quell’anno può scrivere alla sua amica Geneviève Straus “Ho appena cominciato – e finito – un lungo romanzo”. Asserzione, come si vede, un po’ delirante, ma che manifesta una delle verità essenziali della Ricerca. Con quella frase Proust vuole dire che ha trovato e scritto i due piloni fondamentali entro i quali costruire tutta la sua opera: l’inizio, il primo capitolo, Combray, che determina il punto di vista, lo stile e il rapporto tra il Narratore e la materia biografia prestata dall’autore, e la fine, l’ultimo capitolo, Il ballo in maschera, nel quale è l’autore stesso a riprendere in mano le redini dell’opera illustrandone il senso estetico ed esistenziale. Dal quel momento e fino agli ultimi giorni di vita Proust continuerà a lavorare al suo romanzo, aggiornandolo ai nuovi avvenimenti della sua vita e alle nuove scoperte della sua speculazione, ma quei due capitoli, seppure rimaneggiati e rifiniti, e soprattutto la loro funzione nell’economia dell’opera, continueranno ad essere i due piloni dell’immensa arcata.

L'opera si espande sempre più: pensata inizialmente in due volumi – il tempo perduto e Il tempo ritrovato – l’autore ne fa dattilografare la prima parte, la sottopone a qualcuno dei più fidati amici (che se ne dichiarano entusiasti) e comincia, tramite intermediari, a cercare un editore. Nel 1912 si rivolge a Calmette per intercedere presso Fasquelle e al suo amico Antoine Bibesco per presentarla alla Nouvelle Revue Française (che è anche una casa editrice). Calmette forse non fa tutto il possibile per aiutare il suo amico, si mostra indolente (già l’anno precedente non aveva dato seguito alla proposta proustiana di pubblicarla a puntate sul Figaro); Bibesco non riesce a convincere il gruppo NRF, che annoverava i letterati e gli intellettuali più prestigiosi dell’epoca, sulla qualità dell’opera. Alla fine di quell’anno, dopo mesi di attesa, Proust riceve, quasi contemporaneamente, i cortesi rifiuti di Fasquelle e della NRF. Fa un ulteriore tentativo presso Ollendorff, dal quale riceve uno sgarbato giudizio negativo. Nel frattempo, l’opera continua a crescere e tre volumi ora la conterrebbero a stento. Proust comincia ad avere fretta, non solo perché sente di aver scritto un’opera importante, ma anche perché si sente minacciato dalla malattia. Sempre tramite un suo amico, s’accorda con il giovane editore Grasset per una pubblicazione in tre volumi della quale l’autore stesso si accolla le spese di edizione. Nel novembre del 1913 arriva finalmente in libreria Dalla parte di Swann, che in quarta di copertina, sotto il titolo generale, Alla ricerca del tempo perduto, annuncia gli altri due volumi, La parte dei Guermantes e Il Tempo ritrovato. Ora la Ricerca comincia ad incontrare i lettori, per i quali è nata. Pochi, per la verità, e inizialmente, salvo le recensioni o le risposte entusiaste degli amici, riceve un’accoglienza tiepida: si elogia l’originalità dello stile, si sottolinea l’ingegnosità delle metafore, ma gli si rimprovera la futilità dei temi, la svagatezza della composizione, il soggettivismo e la prolissità dell’analisi. E del resto per riconoscere in quel primo volume la “composizione dogmatica”, ovvero la rigorosa costruzione di un percorso esistenziale significativo, sarebbero stati necessari una sensibilità artistica e un genio critico che allora, e ora, non erano e non sono moneta corrente tra chi, quotidianamente e professionalmente, si occupa di mediare tra le novità editoriali e il pubblico dei lettori comuni. Sono, però, da menzionare due eccezioni: una per spirito sciovinistico e l’altra per la portata delle conseguenze. Ad appena un mese dall’uscita dello Swann, l’italiano Lucio D’ambra pubblica sulla “Rassegna contemporanea” un articolo incondizionatamente elogiativo, paragona Proust a Stendhal e lo indica come lo scrittore del futuro. Dalla corrispondenza di Proust non risulta che D’ambra lo conoscesse o che qualche amico dello scrittore francese potesse aver “imbeccato” lo scrittore-giornalista italiano, e quella recensione, così preveggente, rimane una specie di riconfortante “miracolo letterario”. In patria, invece, chi si accorge subito dell’incommensurabile valore letterario dell’opera che quel primo volume faceva balenare, è Jacques Rivière, giovane critico che faceva capo al gruppo NRF. Ne nascerà una corrispondenza e un’intesa che avrà conseguenze di non poco conto nella biografia di Proust e nella vicenda filologica, la vita del romanzo.

#CritiCOMICS: Sessualità e fumetti. Un confronto tra comics e manga


Comics e omosessualità: tra coming out, politica e ambiguità

di A. Dario Greco

Il tanto anticipato bacio tra Lanterna Verde e il suo fidanzato

Pochi giorni fa qualcosa nel mondo dei fumetti è cambiato, la notizia è stata di grande portata, l'eco dell'evento ha oltrepassato le barriere del mondo cartaceo fino ad arrivare nei quotidiani della nostra realtà, è così che sulle pagine di Repubblica si può leggere a grandi lettere:

Criticalibera: Alla ricerca del tempo perduto: la vita di un romanzo. Parte seconda


(recupera la prima puntata! Clicca qui)

Nel 1907 un terribile caso di cronaca nera lo sfiora molto indirettamente, ma lo riporta sulle piste della scrittura. Il giovane Henri van Bladerberghe, che Proust aveva conosciuto qualche anno prima e con il quale aveva avuto un breve scambio epistolare centrato sulla perdita dei genitori, in un accesso di follia uccide la madre e, subito dopo, se stesso. Calmette, l’influente direttore del Figaro che già aveva ospitato articoli di Proust, saputo che lo stesso Proust era in possesso di lettere di Bladerberghe proprio sull’amor filiale, gli commissiona un articolo di commento. Ne risulta lo splendido “pezzo”, Sentimenti filiali di un parricida, nel quale lo scrittore fa in qualche modo i conti con i suoi sensi di colpa, non tanto per liberarsene, quanto per assumerli in carico, per scioglierli in un più complesso ed elevato percorso di redenzione e riscatto esistenziale. Sempre sul Figaro, nel 1908, cominciano ad uscire i Pastiches, anch’essi legati alla contingenza cronachistica: un’ingegnosa e clamorosa truffa, finita su tutte le prime pagine dei giornali dell’epoca. In essi Proust immagina che alcuni scrittori del passato e contemporanei (Balzac, Flaubert, Sainte-Beuve, Regnier, ecc.) redigano articoli sulla faccenda. Ne imita lo stile, parodiandone i tratti più peculiari e riconoscibili. Si tratta di vera e propria “critica letteraria in atto” e, per lo scrittore, di una sorta di liberazione dalle voci estranee che ingombravano la via per trovare la propria voce, il proprio stile, il proprio temperamento letterario, una specie di godibilissimo esercizio di “igiene stilistica”.
Nel frattempo, sempre comunque tormentato dalla malattia, riprende una moderata vita mondana. Passa l’estate del 1907 a Cabourg (dove tornerà tutti gli anni fino al 1914), modello dell’immaginaria Balbec del romanzo, “perdendo” di nuovo il suo tempo tra serate di gala, casinò e tentazioni omosessuali rappresentate dai giovanotti disinvolti ed eleganti che affollano la stazione turistica (che saranno magnificamente trasfigurati nell’”onda delle fanciulle in fiore”). Ne torna più malato che mai e più che mai convinto che non è quella la vita che vuole, non è quello il destino cui è chiamato. Tentenna, resiste, tenta di ideare improbabili soluzioni di compromesso, sei mesi da solo a Parigi e sei mesi a Versailles con il nuovo amico René Pater, alla fine si decide: deve isolarsi, compiere una scelta tragica e definitiva, ascoltare il suo io interiore, diventare il “gufo che vede un po’ chiaro soltanto nelle tenebre”. Dall’aver ubbidito all’incondizionato dovere morale – lo stesso che ha spinto, migliaia di anni fa, il nostro antichissimo antenato a lasciare un attimo, qualche minuto, un’ora o forse una vita intera, il gruppo di cacciatori-raccoglitori per scendere nelle grotte di Lascaux, e di chissà quanti altri posti, per tracciare sulla parete i segni della caccia appena conclusa o che, tutti, si apprestavano a vivere – da qui comincia l’affascinante vita della Ricerca del tempo perduto.

I Mondi di Guido Mazzoni

I mondi
di Guido Mazzoni
Donzelli, 2010

pp. 66, 13


Nonostante I mondi segni il suo esordio in volume nelle vesti di poeta, Guido Mazzoni (classe 1967), già docente di letteratura all’Università di Siena, è un nome piuttosto noto al «pubblico della poesia» (Berardinelli-Cordelli copyright) per le sporadiche apparizioni di alcuni dei suoi testi su varie riviste legate al settore (la prima datata addirittura 1992, nel terzo dei Quaderni di Poesia Italiana Contemporanea diretto da Franco Buffoni) e soprattutto grazie alla pubblicazione dei saggi Forma e solitudine (Marcos y Marcos, 2002) e Sulla poesia moderna (il Mulino, 2005) che testimoniano un’attenzione “critica” nei confronti del genere in questione. La lettura di questo libro, accolto nella sempre più virtuosa collana di poesia della Donzelli, conferma infatti un lavoro di ricerca, puntiglioso e radicale, di una poetica che, innestata su uno specifico sostrato speculativo, muove le mosse da una «superficie» fenomenologica riconoscibilissima nella costante attenzione alla realtà zoomata, per non dire scandagliata, da ogni angolatura possibile, in un’indagine intellettuale che è anche (e forse nasce da) un «gioco psicotico di curiosità e di lotta» (Rettilineo).
La minuziosità con cui vengono declinate le forme del reale, con una preminenza per la componente visiva esplicitata già nell’esergo kafkiano in apertura, rimanda alla lezione del Sereni de Gli strumenti umani, in modo particolare a quello del primo nucleo della silloge, Uno sguardo di rimando. Nella prosa L’Opzione il poeta di Luino scriveva:
ho il feticismo dello sguardo fin da quando ero ragazzo, tanto da ritenere impossibile e più che impossibile ingiusto che uno sguardo, l’impegno di uno sguardo, non sia ripagato da uno sguardo di ritorno.
(cit. da V. Sereni, Poesie, Milano, Mondadori, 1995, p. 505)
Su questa tematica pare insistere particolarmente (ma non unicamente) la prima delle sei sezioni che compongono l’opera di Mazzoni, delineando una dialettica “io-mondo” in cui il sereniano «sguardo di ritorno» si configura come visione da parte dell’alterità nei confronti del soggetto cogitans

Criticalibera: Alla ricerca del tempo perduto: la vita di un romanzo. Parte prima

Alla ricerca del tempo perduto: La vita di un romanzo

- Parte prima -


L’esordio di Marcel Proust nel mondo letterario francese fu precoce e squisitamente agghindato. I Piaceri e i Giorni, uscito da Calmann-Levy nel 1896, raccoglieva racconti, poesie, satire di costume che Proust aveva pubblicato in riviste negli anni immediatamente precedenti, era accompagnato da una simpatetica e vacua prefazione di Anatole France, lo scrittore allora più famoso e riconosciuto in Francia, delle illustrazioni di Madeleine Lemaire, pittrice alla moda e grande organizzatrice di serate mondane, e, per le poesie, degli spartiti musicali del suo amico Reynaldo Hahn. Padrino e madrina di grande rinomanza e prestigio, edizione di lusso, elaborazione stilistica perfettamente consona all’ambiente tardo-decadente della prosa d’arte fanno di quest’esordio il perfetto contraltare di quello che nella biografia proustiana si suole definire il periodo del “fiore all’occhiello”. La stagione, cioè, dell’ascesa mondana, dello snobismo, dell’adulazione dei personaggi influenti, del dilettantismo prezioso. Non che in questo periodo Proust non vivesse, non pensasse o non scrivesse cose più profonde o più feconde (la stessa operina d’esordio contiene temi e spunti che saranno ampiamente sviluppati e approfonditi in seguito e in base a ben altra elaborazione stilistica e speculativa): è che in questo periodo, il periodo della giovinezza e della relativa salute fisica (Proust dall’età di 10 anni è malato d’asma e sarà sempre tormentato da forti disturbi all’apparato respiratorio), prevale nella sua vita e nella sua letteratura l’aspetto superficiale, il carattere strumentale dell’esperienza biografia e letteraria in vista di una riuscita sociale che rappresentava allora la sua più grande aspirazione. Dotato d’intelligenza, sensibilità e cultura fuori norma, le aveva messe al servizio di un fine estraneo ad esse: il successo mondano e letterario. Da questa stagione della sua vita, con coraggio, crudeltà e determinazione, ma senza abiure o contriti pentimenti, trarrà una lezione decisiva che sarà uno dei motori propulsivi della sua opera maggiore.

Pillole di autore: Luigi Malerba


Luigi Malerba (1927-2008), al secolo Luigi Bonardi, è autore ricordato soprattutto per i suoi romanzi “post-moderni”, scritti durante e in seguito alla sua esperienza nel Gruppo ’63. Giocoliere del linguaggio, Malerba scardina non solo strutture linguistiche ma anche l’impianto stesso del romanzo tradizionale. I suoi romanzi “gialli” (su CriticaLetteraria potete trovare le recensioni a Salto Mortale e a Il Serpente) hanno trame assurde, in cui i personaggi non compiono nessuna azione e il vero protagonista è solo il linguaggio stesso.  

Ma Luigi Malerba è stato anche sceneggiatore, autore di libri per l’infanzia e fine saggista (qui ricordiamo solo la raccolta di saggi Che vergogna scrivere: ne consigliamo caldamente la lettura a tutti i sostenitori dell’impossibilità di scrivere romanzi al giorno d’oggi). Nella sua vasta produzione letteraria si possono scorgere una perspicace e pioniera sensibilità verso i problemi ecologici, l’attenzione verso lingue e parole abbandonate, la curiosità per il mondo classico e per l’Oriente.

Itaca per sempre è un romanzo appartenente alla fase post-avanguardista di Malerba. Il linguaggio è chiaro e la filiazione omerica è visibile nello stile formulare e negli epiteti. Eppure, anche in questo romanzo apparentemente lineare, Malerba ha saputo magistralmente operare una sovversione, questa volta non nel linguaggio, ma nel rovesciamento dei consolidati ruoli dell’epica omerica. Nella riscrittura malerbiana, infatti, Ulisse non è più l’astuto eroe dell’Odissea, ma un uomo fragile e pieno di insicurezze, mentre Penelope è una donna forte, consapevole delle sue sofferenze e capace di governare un’isola da sola. La donna riconosce subito Ulisse sotto i panni del mendicante arrivato alla reggia di Itaca, ma decide di tacere e stare al “gioco delle finzioni”, portandolo fino all’estremo. Il riconoscimento avverrà solo alla fine della storia, e Penelope si farà portavoce della seducente idea malerbiana di fare di Ulisse l’autore dell’Iliade e dell’Odissea.  Lasciamo che sia lei a guidarci con le sue parole all’interno di questo prezioso tassello che Malerba ha aggiunto al mosaico delle riscritture sul mito di Ulisse.


Edizione di riferimento: L. Malerba, Itaca per sempre, Mondadori, Milano 1997, pp. 185.



Quando ho riconosciuto Ulisse sotto gli stracci di questo vagabondo, ho scoperto con dolore che nessuna fiducia ripone nella donna che ha diviso con lui gli anni della gioia e della giovinezza, delle parole amorose e degli amplessi. I nostri anni migliori si sono consumati nella memoria e Ulisse ha smarrito ormai la prospettiva misteriosa dei desideri reali cui ha diritto non solo la sua sposa ma ogni donna del mondo.

CriticaLibera: Conference Fever!

Premessa: questo pezzo serve da spauracchio. Mentre lo scrivo, sto aspettando la mail col responso su una mia proposta d'intervento per l'ennesimo convegno del 2012. Perdonate i possibili cambiamenti repentini d'umore. Si astengano dalla lettura gli ansiosi, i nevrotici (e i moralmente retti). 

Convegni, questi sconosciuti. Sulla mia pelle lo dico: cambia sensibilmente prima e dopo la laurea. 

PRIMA (La febbre da cavallo, anzi, da asino) - Finché sei studente, i professori amici-di, colleghi-di (avversari-di, amanti-di, aspiranti-amanti-di) ti invitano caldamente a partecipare per mail, per telefono, nel corridoio, in coda in mensa... Se sono magnanimi, per farti resistere un intero pomeriggio inchiodato a una sedia in finta pelle, mentre fuori impazza una di quelle primavere terse-calde-piacevolissime (1), ti fanno promesse che non puoi rifiutare: una firmetta sul registro all'ingresso, una in uscita, e ti conquisti qualche credito! Si sa, la vita universitaria negli ultimi cicli di riforme è un sistema eliocentrico attorno al sole dei CFU: credito qui, credito là, o non passi l'anno. 
E allora ti inchiodi alla sedia, armato di Gatorade per resistere, le sigarette in tasca come valida scusa per una pausa (oltre al bagno, alla telefonata improvvisa, allo sconosciuto che passa fuori dalla finestra ma che sembra proprio il tuo migliore amico partito per il Kazakistan dieci anni fa...). All'inizio, sei tra i tanti che stropicciano tra le mani il pieghevole con il programma, passi e ripassi i nomi in scaletta, sperando di incontrarne almeno uno che conosci: ecco, un tuo prof, magari quello stronzo che ti ha bocciato all'esame, ma in quel momento diventa una rassicurante copertina di Linus. Almeno, sai più o meno prevedere di cosa parlerà, come lo dirà, se sarà stressante,... Per il resto, un elenco di sconosciuti. 
Provi a chiedere al tuo vicino di poltrona, così, per far conversazione, e poi è anche bellino, ma metà delle volte ti trovi uno più disinformato e menefreghista di te; l'altra metà delle volte, ahimé!, l'iper-informato. E forse è peggio. Perché ti attacca pure i sensi di colpa: parte in una filippica su tizio e caio, ti elenca la bibliografia di tutti, compreso del professore ordinario che pubblica dodici saggi al mese, e fa quell'odiosissimo sguardo con l'alzata di sopracciglia del tipo: davvero non li conosci?

Marco Damilano, "Eutanasia di un potere"

Eutanasia di un potere. Storia politica d'Italia da Tangentopoli alla Seconda Repubblica
di Marco Damilano
Laterza,  2012 (3^ ed.)

pp. 336

Questo libro è un interessante racconto degli ultimi ventanni della storia politica italiana, quelli della cosidetta "Seconda Repubblica", che forse, come qualcuno sostiene, in realtà non è mai nata. Condotto con la serietà di un lavoro scientifico, grazie all'aiuto di varie fonti, tra cui testimonianze di diversi leader politici (interessanti in modo particolare quelle degli ex democristiani), cerca di raccontare la storia della fine della prima Repubblica, o meglio della fine dei partiti che ne sono stati i protagonisti dal secondo dopoguerra fino all'avvento di tangentopoli. 
Damilano, giornalista inviato di politica interna per l'Espresso, ricostruisce, con la dovizia di particolari di un cronista, gli ultimi ventanni di politica interna italiana a partire dal 1993, anno della caduta del governo Craxi, concludendo con la nascita dell'attuale governo Monti che dovrebbe segnare la fine del "berlusconismo". Il libro infatti sembra chiudersi quasi come è iniziato: il racconto comincia con il lancio delle monetine all' ex presidente del Consiglio Bettino Craxi all'uscita dall'Hotel Raphael di Roma, con la contestazione al penultimo presidente Silvio Berlusconi. 

Poesia o non poesia?

NON SONO POESIE
di Gigliola Franco
Corrado Franco Editore, 2011

pp. 144
€ 12,00

Iniziamo subito dal titolo del libro di questa autrice emergente con poesie scritte nel corso di 15 anni (dai 70 agli 85 anni).
Poesie o non poesie? Difficile stabilirlo. Prendiamo come spunto di partenza la definizione di cosa è la poesia che ne diede Franco Fortini:

 [...] nel linguaggio umano c’è una funzione che tende a mettere in evidenza soprattutto, o almeno in modo particolare, il linguaggio stesso, ad attirare l’attenzione sulla forma della comunicazione. Ebbene questa è la funzione poetica.
Certo bisogna tener presente che quando si parla di poesia questa parola significa due cose: da un lato, appunto, un tipo particolare di discorso parlato o scritto che si distingue da altri modi di comunicazione; dall’altro, invece, un’attribuzione di valore per cui si dice "poesia" per dire qualcosa di bello, di importante, di riuscito, di meritevole di stima o di attenzione.
Nel parlare comune, "poesia" significa due cose: per un verso è un discorso, o ragionamento, o una comunicazione dove prevalgono elementi di ritmo e cadenze, di ripetizioni, di immagini che alterano i significati immediati e che gli conferiscono, oltre ai primi, anche significati interiori. Per un altro verso, quando noi diciamo "questa è poesia" intendiamo in genere qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di commovente o di rasserenante, di vivace, pungente ecc. Facciamo un esempio. Se io dico: "Madre dei santi, immagine della città superna, del sangue incorruttibile conservatrice eterna" ecc. - con quello che segue nella Pentecoste del Manzoni - posso dare importanza al ritmo, ai gruppi di sillabe, al sistema di accenti e di rime e naturalmente posso anche sapere, oppure qualcuno ce lo spiega, che in questo caso l’appello è diretto alla chiesa cattolica. Invece se io dico: "Trenta dì conta novembre con april, giugno e settembre, di ventotto ce ne è uno, tutti gli altri ne han trentuno", anche qui trovo ritmo - infatti sono quattro ottonari - e trovo delle rime.
Insomma, se devo chiedermi come classificare l’inizio di una delle più famose composizioni letterarie della lingua italiana, oppure di un soccorso mnemonico come quello che ci vuole informare di quali siano i mesi che hanno trenta o trentuno giorni non c’è dubbio che l’uno e l’altro devono essere considerati in questo senso: poesie o testi poetici. Si potrebbe obiettare che nell’un caso ci sono delle parole desuete, arcaiche, solenni, nell’altro caso no. Ma non è del tutto vero perché, per esempio, nel testo manzoniano ci sono delle parole come "superna" oppure delle inversioni - si dice: "del sangue conservatrice" invece che "conservatrice del sangue"- ma anche nel proverbio rimato troviamo per esempio delle parole in disuso come "dì", oppure delle abbreviazioni o troncature come "april" invece di "aprile".
Ecco, è a questo punto che viene avanti il secondo significato correntemente attribuito alla parola "poesia". Nel primo caso c’è un oggetto sublime; si tratta niente di meno che della discesa dello Spirito Santo e poi soprattutto non ha nessun senso isolare questi primi versi che ho letto da quelli che seguono; mentre nella seconda è una canzoncina puerile con dei fini di sostegno alla memoria. Ora qui dobbiamo decidere: ci occupiamo della poesia come oggetto di bellezza, di commozione o di espressione o ci occupiamo piuttosto della poesia come oggetto verbale, ossia come un tipo particolare di comunicazione, sospendendo per il momento ogni giudizio di valore ?

In altre parole: la Poesia non è soltanto la lirica, ma anche il sentimento che si vuole esprimere. Poesia, infatti, non è soltanto Petrarca ma anche Saba, la poesia sperimentale degli anni '70 ecc.
Dati questi punti di riferimento critici osiamo, dunque, negare l'assunto provocatorio che emerge dal titolo del libro della Franco: questo è un libro di poesie, eccome se lo è!
"Non sono poesie" di Gigliola Franco è, infatti, un libro che ti colpisce fin dentro le viscere, che ti parla al cuore e alla testa, che evita qualunque perbenismo di comodo. Un linguaggio chiaro, schietto, popolare che a volte può addirittura avvicinarsi al turpiloquio ma che, in realtà, è un grido di rabbia nei confronti di un sistema politico malato, di un moralismo incombente e che coinvolge noi tutti e di un sistema sociale oppressivo e inaccettabile.

#Anteprime12: terza giornata! Gli incontri degli incontri

10 giugno
Pietrasanta

Ultimo giorno di Anteprime12. Personalmente, sarei un po' triste, come sempre quando finiscono queste bellissime esperienze. D'altro lato, però, c'è ancora l'attesa per quest'ultima serata, in cui ci sono incontri d'eccezione: quattro sessioni parallele prima, e poi Grossman con Noa. Dunque, c'è ancora tanto da vedere, moltissimo live-tweet da scrivere, nonostante la pioggia battente e gli ombrelli aperti e chiusi a intermittenza. Ma neanche questo blocca i lettori, in piazza fin da prima delle 21. 






 #COSTA
h. 21.00, Campo della Rocca



Attesa per Lella Costa, che ho più volte applaudito a teatro, e che certamente avevo voglia di vedere da vicino. Il prossimo libro avrà per protagonista l'ironia, intesa dalla Costa non come umorismo o comicità, ma come «sintesi», «pensiero che raggela», ma anche elemento consolatore, perché permette di cambiare punto di vista. 
La satira ha a che fare per forza con l'attualità; al contrario, l'ironia si fonda su archetipi sempre validi e non è detto che faccia ridere, e in tal senso la comica porta l'esempio di Shakespeare e dell'Amleto, da lei riproposto a teatro in una riscrittura (non parodia!). O ancora, a dimostrare quanto l'ironia non abbia tempo né date di scadenza, porta l'esempio di Orfeo ed Euridice per parlare dei rapporti tra uomo e donna.

Marie Phillips, "Per l'amor di un dio"


Per l’amor di un dio
Titolo originale: Gods behaving badly
di Marie Phillips
Guanda

I tempi d’oro per gli dei olimpici sono finiti. Da secoli, ormai, i mortali hanno dimenticato persino i loro nomi. Così si sono trasferiti tutti in una fatiscente zona di Londra: Afrodite lavora per un call centre erotico, Dioniso è proprietario di un Club, Apollo si spaccia per veggente in televisione e Artemide si è ridotta a fare la dog sitter. Zeus ed Era sono due vecchi rimbambiti che vivono in soffitta.
Capita, per caso, nella loro vita, Alice, giovane e dolce donna delle pulizie, “fidanzata” con Neil, ingegnere timido e pasticcione.
L’infatuazione del playboy Apollo per la giovane Alice causerà una serie di eventi catastrofici: mentre il mondo sta per finire, Neil ed Alice vivono una moderna versione del mito “Orfeo ed Euridice”.
Divertente, spigliato, fresco.

#Anteprime12: seconda giornata! La riconferma dell'emozione


9 giugno
Pietrasanta

Ben prima delle 18.30 parte il secondo giorno di #Anteprime12 (clicca qui per leggere la cronaca della prima giornata): la gente è in attesa dei propri autori preferiti, e si accalca vicino alle transenne per conquistarsi un posto. Aspettative alte, anzi altissime visto il venerdì di grandi incontri e il programma fittissimo per questo sabato. 
Il pubblico non smette di moltiplicarsi sotto i nostri occhi: dalla postazione dell'ufficio stampa, al primo piano, si vede una piazza gremita: posti a sedere occupati in pochissimo tempo, grandi code per l'accesso agli eventi, e anche un po' di arrabbiatura dei lettori costretti a tornare indietro perché le sale sono già stracolme. Ma sono proteste garbate, stringendo forte il libro preferito portato da casa o acquistato a uno dei tanti stand, in attesa della firma-copie. 
Va detto: peccato davvero non avere il dono dell'ubiquità: sabato sera è stato così pieno di appuntamenti in parallelo da rendere difficilissimo scegliere chi privilegiare! 



Gli incontri del secondo giorno

#GIORDANO
h. 18.30, Piazza Duomo
La piazza piena, anche i gradini del duomo si riempiono per ascoltare Paolo Giordano che, dopo una brevissima presentazione, regala alla platea una lunga lettura in vera e propria anteprima esclusiva. E' una storia d'amore e di guerra, di accettazione del proprio destino e di mancata ribellione alla scontatezza del quotidiano. 
L'analisi psicologica è attenta e ravvicinata, tra rischi di attacchi di panico, irrazionalità dei soldati nel bunker, distanza sensibile tra ciò che si vorrebbe fare e l'inettitudine. Forse è il ricordo della sua Solitudine dei numeri primi a tenere il pubblico così attento, senza interruzioni o cali di interesse. E dire che Giordano è un abile scrittore ma non si può annoverare tra i migliori lettori di sé stessi... 
E alla fine dell'ora di lettura, ecco che Giordano scende per la firma-copie, dimostrandosi straordinariamente disponibile e simpatico, attento al pubblico che sfila ordinatamente con in mano una copia della Solitudine