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Il Salotto: intervista a Patrizia Poli

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Patrizia Poli, di cui abbiamo recensito di recente il romanzo Il respiro del fiume, ha accettato di rispondere a qualche domanda e a qualche osservazione che il suo libro ha suscitato. Facciamo precedere la trascrizione del colloquio telematico con l’autrice da una breve scheda bio-bibliografica che la stessa Patrizia Poli ha stilato per noi.
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Sono nata e vivo a Livorno. Mi sono laureata, nel 1985, in lingua e letteratura inglese, all'università di Pisa, Il mio racconto "Quand'ero scemo" ha vinto il premio Guerrazzi ed è stato pubblicato sulla rivista "La Ballata"
"Quand'ero scemo", "Bugie e fantasie" e "Solo il rumore del vento" sono stati pubblicati sulla rivista "LivornoMagazine".
Ho scritto "Il Respiro del Fiume", romanzo edito su www.ilmiolibro.it ambientato in India alla fine degli anni ottanta, frutto di studi e di meticolose ricerche.
Ho scritto "Signora dei Filtri", romanzo edito su www.ilmiolibro.it ambientato nell'eta del bronzo. (Ri)racconta la storia del viaggio degli argonauti, di Medea e Giasone, ma da un'angolazione inusuale, che percorre anche la giovinezza dei protagonisti ed approfondisce il mito di Orfeo.
Insieme a Allegri, Lucchesi, Marcaccini e Sciabà, ho pubblicato su www.ilmio libro.it "La Livorno che c'è", raccolta alla quale partecipo con 11 racconti e la prefazione.
Ho da poco terminato un racconto lungo,"Bianca come la neve", che mescola la fiaba dei fratelli Grimm con i nosferatu, cioè i non morti della tradizione mitteleuropea, ora edito su ilmiolibro.it insieme ad un altro racconto fantastico "Il volo del serpedrago".
Attualmente sto lavorando ad un romanzo liberamente ispirato alla figura di Maria Maddalena.
Per saperne di più, e per leggere alcuni dei miei racconti, visitate il mio blog arlara.blog.kataweb.it.
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Anzitutto l’India, la sua spiritualità e la sua situazione economico-sociale. Nella recensione scrivo che Lei ne fornisce informazioni di prima mano – almeno così mi è sembrato. Vi ha soggiornato a lungo? Nel periodo cui fa riferimento il romanzo, o anche in altri periodi?
Sono stata in India nel 1989, anno in cui è ambientato l’inizio del romanzo, ma solo per breve periodo e da turista profano. Solo al ritorno sono iniziati uno studio e un approfondimento che hanno richiesto anni.

Attualmente, secondo lei, la tradizionale concezione castale è ancora così forte come un tempo? E gli insegnamenti gandhiani, che sembrano ispirare il finale del suo libro, al di là delle vuote mitologie o delle strumentalizzazioni politiche, sono ancora vivi e operanti nella società indiana?
Poiché, come ho appena spiegato, non ho una conoscenza diretta dell’India di oggi, posso solo rifarmi a quanto apprendo attraverso la narrativa, il cinema e i giornali. Penso che l’influenza delle caste sulla vita di tutti i giorni abbia ancora un suo spessore, come, ad esempio, si può evincere dagli annunci che vengono pubblicati per la ricerca dei partners nei matrimoni combinati. Se una ragazza ha la pelle chiara - segno di una casta più elevata – è ancora molto più appetibile.

La sua tecnica narrativa, almeno quella operante nel Respiro del fiume - punti di vista diversi, narratore onnisciente quasi nascosto dietro i personaggi – mi ha ricordato molto quella messa in opera da Edna O’ Brian in un romanzo intitolato Una splendida solitudine. Conosce quel romanzo o altri romanzi della scrittrice irlandese?
No, mi dispiace, non ho mai letto Edna O’Brian, ma la mia tecnica fa ricorso a una terza persona immersa e a un jamesiano punto di vista rigorosamente circoscritto.

Quella tecnica narrativa – se vogliamo, non tanto diversa da quella dei Malavoglia verghiani – può avere un forte effetto “straniante”, ossia può indurre il lettore a rimettere continuamente a fuoco la sua attenzione, soprattutto se il personaggio, portatore di un punto di vista decisamente personalizzato, lo costringe ad uscire “fuori da sé”. Ecco, a me sembra che nel suo romanzo questo effetto sia attenuato, che non punti, cioè, a scuotere le aspettative del lettore, come se la materia narrata basti di per sé a catturare la sua attenzione e il suo consentimento. È un’impressione sbagliata o è una sua consapevole scelta?Infatti non intendo “scuotere le aspettative del lettore” bensì mostrare fatti e persone attraverso una molteplicità di sguardi che concorrono, tuttavia, ad un’unica resa della materia, il più oggettiva possibile.
Se però non si “scuote l’aspettativa del lettore” si corre il rischio che la ricercata oggettività possa degradare a “medietà”, cioè a rimanere aderenti ad un punto di vista condivisibile perché prevedibile e non perché il testo ha creato un modo nuovo, originale di guardare al mondo, che è poi, a mio parere, la funzione essenziale dell’elaborazione letteraria.
I miei romanzi hanno come target il lettore comune e non sono alla ricerca di virtuosismi linguistici, anche se il mio stile non è sciatto né banale ed ogni parola è studiata attentamente. Dietro l'apparente leggerezza e mancanza di sforzo, mi creda, c'è una fatica da certosino.
Io mi considero una narratrice, una che dispensa emozioni e aspira a creare personaggi che restano nel cuore e nella mente de lettore medio, non eccessivamente sofisticato, anche se non stupido o incolto. Quindi, per me la "medietà" è un fine ed un valore, come lo sono il controllo estremo e la razionalità..
Tuttavia, negli anni, il mio linguaggio si è evoluto nel senso che dice lei e, se mai le capitasse di leggere l'ultimo mio libro, "Bianca come la Neve", si renderebbe conto che lì il registro è più originale, più poetico, intuitivo, lirico.

Lei ha pubblicato a sue spese più d’un libro. Perché questa scelta? Quali tentativi ha esperito per interessare alla sua opera un editore tradizionale? E quali risposte ne ha ricevuto?Preciso che l’autopubblicazione non comporta spese da parte dell’autore. Non ho, infatti, l’abitudine di acquistare copie per rivenderle, lascio che sia il lettore a ordinare da solo il mio testo, se incuriosito dalla presentazione. Ho passato molti anni a cercare un editore per “Il Respiro del Fiume” e per l’altro mio romanzo “Signora dei Filtri (ora entrambi pubblicati su ilmilibro.it). Ho partecipato a concorsi dove arrivavo “nella rosa dei finalisti” senza mai vincere, ho sborsato soldi per editing inutili o addirittura dannosi, per tasse di partecipazione a premi mai effettuati, sono stata rifiutata da tutte le case editrici esistenti non a pagamento. Persino la compianta Elvira Sellerio ha definito lo stile di “Signora dei Filtri” nobile, e si è detta dispiaciuta ma ha, comunque, respinto il testo. Ero amareggiata, non vedevo vie d’uscita, soprattutto perché mi ero fatta un punto d’onore di non avvalermi di case editrici che richiedessero un contributo, allora mi sono rivolta all’autopubblicazione come ultima spiaggia. Adesso, però, nonostante le vendite siano ancora scarse, sono contenta della mia scelta e sto cominciando a liberarmi di quel vago complesso inferiorità che mi faceva sentire da meno di chi ha una casa editrice alle spalle.
Io credo che una delle novità più evidenti e controverse della storia letteraria degli ultimi venti anni – e che riguarda specificatamente la sociologia della letteratura – attenga proprio la pubblicazione, la divulgazione e la fruizione dei testi letterari. Da un lato le nuove tecnologie hanno enormemente ampliato la possibilità di far sentire la propria voce (e anche il nostro sito è espressione di queste nuove possibilità), dall’altro, però, hanno indebolito la capacità di filtro dell’industria culturale, che per quanto non sempre limpida e disinteressata, permetteva però una selezione e una cura dei testi non sempre rispettata nella letteratura “fai-da-te”. Insomma prima lo scrittore, il saggista, il critico letterario dovevano essere issati sulla tribuna e parlavano ad un pubblico silenzioso che aveva più o meno fiducia in chi ce lo aveva posto, ora ci si issa da soli, ma si rischia di non essere ascoltati. Qual è la sua esperienza in proposito?Concordo con lei, anche per l’enorme quantità di libri che vedo pubblicizzati sui social networks, dove ogni libro viene osannato da un codazzo di “amici virtuali” e definito automaticamente “bellissimo”, in un appiattimento generale che svilisce tutto e impedisce l’emersione dei pochi ma buoni.
Intervista a cura di Paolo Mantioni