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Sviluppo capitalistico e unità nazionale: ultimo giorno

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SVILUPPO CAPITALISTICO E UNITÀ NAZIONALE
Un convegno a Roma per parlare di economia, politica e cultura (e delle loro crisi) nei 150 anni dell’Italia unita
---- diario di bordo dell'ultimo giorno ----
(per leggere la prima parte CLICCA QUI)
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di Serena Alessi


Ultimo giorno del convegno Sviluppo capitalistico e unità nazionale: oggi si parla delle istituzioni e della cultura che hanno fatto l’Italia

Carlo Freccero

Inizia Carlo Freccero col suo intervento Dalla televisione pedagogica alla televisione commerciale: un interessante excursus nella storia della televisione nostrana dell’ultimo trentennio. Freccero parla del passaggio avvenuto negli anni ottanta dalla produzione al consumo, dalla fabbrica al mercato, dalla classe alla maggioranza. Ed è proprio sul mito della maggioranza che si sono fondate le tivù commerciali, in cui l’opinione del pubblico entra a far parte della produzione del sapere televisivo. 
“Si dà al pubblico ciò che fa audience, quindi ciò che il pubblico stesso desidera, non ciò che sarebbe meglio per lui. Così lo spettatore passivo produce più ricchezza di uno stacanovista nell’era del fordismo!” ironizza Freccero. 
La maggioranza, l’audience è ciò che giustifica tutto nell’era di Berlusconi, “uomo nuovo” che non dice “tu mi devi votare”, ma “mi meriti perché tu vali”.

Giancarlo Ferretti
Dalla televisione del terzo millennio si passa a un’istituzione ben più veterana: Gian Carlo Ferretti parla di Fortune e sfortune del prodotto libro dagli anni settanta a oggi
“Il panorama dell’editoria in Italia”, dice Ferretti, “è profondamente mutato negli ultimi quarant’anni”. 
Tra i maggiori cambiamenti Ferretti ricorda la concentrazione delle case editrici in grandi gruppi, la scomparsa della figura dell’editore-imprenditore, il nomadismo degli autori, che hanno smesso di appartenere e di riconoscersi in un’unica casa editrice. Inoltre la “politica di collana”, espressione di una visione intellettuale collettiva, viene sempre più abbandonata per una “politica di titolo”, uno scommettere su un autore (spesso senza formazione e senza proposte di sperimentazione) che, se non fa successo anche al secondo romanzo, viene abbandonato. La risposta a questi meccanismi, ancora una volta soggetti alle leggi di mercato e di maggioranza, viene allora dal coraggio di sperimentare, di formare autori nuovi e autonomi, e soprattutto dalla scoperta delle piccole case editrici indipendenti.

E. Morreale
Chiude il convegno l’intervento di Emiliano Morreale: Così lontano, così vicino. Il cinema e la società italiana nell’ultimo trentennio. Anche lui scorre i nomi e i titoli del cinema di fine Novecento, un cinema che ha dovuto fare i conti con l’avvento delle tivù commerciali, ma che ha avuto momenti di eccezioni, ad esempio con Amelio, Salvatores e Tornatore e la loro riscoperta del territorio e del paesaggio meridionale. Tra le eccellenze di oggi, quelle che garantiscono al cinema italiano la sperimentazione di cui ha bisogno, Morreale individua Garrone, che lavora in una maniera quasi documentaristica sui suoi film (esemplare in questo senso la sua ricerca su Scampia e a Scampia) e Sorrentino, che è riuscito a riscoprire l’importanza dell’elemento registico. E poi ancora il documentario, fatto dai registi di non-fiction che sanno indirizzare il cinema italiano verso un’esemplare qualità. Anche se quelli che incassano di più sono sempre i comici che si limitano a compiere un semplice spostamento dalla televisione al cinema. 

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I momenti più intensi delle due sessioni sono stati senza dubbio quelli di discussione dopo le relazioni: il dibattito è stato animato il primo giorno da Ginevra Bompiani, creatrice delle edizioni “Nottetempo”, e dai giovani critici Andrea Cortellessa e Gabriele Pedullà, il secondo giorno dallo storico Ermanno Taviani. Interessanti i principali punti che, seppur tra dissensi e incomprensioni, il dibattito ha messo in luce: il non dover sottovalutare la rete, istituzione che lo spettatore vive in prima persona, soprattutto nell’ era del video in cui si realizza la dittatura della maggioranza; il senso dello scrittore “fenomeno editoriale”, che fa fortuna con un solo titolo, diffonde l’idea che fare un libro è come vincere all’enalotto e tutti possono diventare ricchi e famosi; la letteratura ormai scollata dalla cultura e solo riservata ai convegni; ma, soprattutto, la poesia come vera anima attuale della letteratura italiana, la poesia che non vende la sua anima al mondo e che rimane luogo di sperimentazione linguistica contro l’attuale sovrapproduzione narrativa. 
Infine un’interessante domanda posta da Biancamaria Frabotta: è possibile scrivere in una società dove non c’è differenza tra verità e menzogna? Se la realtà di oggi è finzione, è scherzo (volgare e banale), è circo Burlescon, come si può vivere l’esperienza del continuo gioco tra realtà e fiction, necessaria all’esistenza della scrittura?
Con questo quesito si chiude il convegno, ma in realtà il ruolo di un seminario è appunto quello di “seminare”, come dice Antonio Prete citando il poeta Edmond Jabès, che diceva di preferire al dialogo il “dopo-dialogo”.

Un programma estremamente ambizioso quello dei dibattiti di questi giorni, che hanno mostrato una complessità del discorso ormai rara da trovare e hanno offerto numerosi spunti di riflessione, amare constatazioni, ma anche appassionanti inviti al cambiamento. Cambiamento da proporre in prima persona, come diceva D’Elia (che ha tenuto a precisare di aver scritto un poema contro Berlusconi), oppure parlando di una morale per trovare un’altra morale. In ogni caso, finalmente, siamo di fronte a un discorso politico. 

Serena Alessi