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Doris Lessing e la letteratura di propaganda

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Doris LessingIl sogno più dolce
di Doris Lessing
Feltrinelli, Milano 2009

(4a edizione)

pp. 455
€ 10,00

In questo commento parleremo di come una grande scrittrice ed un romanzo ben scritto può improvvisamente diventare un pessimo, e in certi momenti anche fastidioso, scritto per colpa dell'ideologia. Si è parlato giustamente in questi anni, a seguito del crollo del muro di Berlino, di come certi intellettuali comunisti avessero asservito la loro arte a logiche di partito. Primo fra tutti il cosiddetto realismo socialista. Questo romanzo dimostra come anche un'ideologia opposta (o, meglio, conoscendo la biografia politica di Doris Lessing potremmo parlare di sindrome del pentito) può fare altrettanti disastri.
Importante precisare che in questo commento non faremo polemica politica (altri luoghi sono deputati a questo) ma parleremo essenzialmente di letteratura che, come tutte le scienze e le arti umane, ha ovviamente conseguenze politiche.
Ciò che dispiace di questo romanzo di Doris Lessing è che invece di essere una bieca propaganda politica anticomunista avrebbe potuto essere qualcosa di molto diverso. Un romanzo autenticamente generazionale. Un romanzo che raccontasse la generazione degli anni '60 e degli anni '70 fino al tragico epilogo del disimpegno degli anni '80 (per non parlare dei decenni successivi), con tutti gli ideali e i sogni, ma anche le disillusioni, le ipocrisie, le violenze che quegli anni portarono con sé. Invece il romanzo non è nulla di tutto questo.
La struttura della storia è assolutamente buona e farebbe presagire qualcosa di positivo. Viene raccontata infatti una famiglia sconclusionata e vagamente anarchica nell'Inghilterra degli anni '60: con il compagno Johnny, che si perde tra rapporti finiti male e incontri in giro per il mondo mettendo al primo posto l'impegno politico ai doveri personali e familiari, l'ex moglie di Johnny Frances che, quasi involontariamente, è costretta a ridurre la sua casa in una specie di dormitorio dove arrivano tutti i ragazzi difficili di quegli anni in conflitto continuo con la famiglia ed i genitori, la suocera Julia che poco a poco riallaccerà un rapporto con Frances.
Già dalle prime pagine ci si accorge che qualcosa non va. Come mai, ci si chiede, i giudizi sprezzanti sono tutti per un'unica categorie di persone? Quelle, cioè, che bene o male si rifanno all'ideologia comunista? Come mai Frances e la stessa Julia sono personaggi complessi e ben costruiti e invece il compagno Johnny e Rose sono stereotipati, che fanno esattamente ciò che da loro ci si aspetta? Come mai il romanzo parte e si conclude con un unico punto di vista? Nessuna contraddizione, nessuno scontro o contrasto. Possibile che non sia stato possibile in questo contesto di stalinisti che assediano la famiglia di Frances un'idealista, un personaggio positivo nell'altro campo? Al di là di ogni posizione ed opinione politica, lo ripetiamo, ne avrebbe guadagnato il romanzo e la scrittura che, invece, in questo modo diventa ripetitiva, avendo compreso già a pagina 50 quale sia l'opinione dell'autrice e che continua imperterrita a ripetercela per altre 400.

Il romanzo potremmo dire che ad un certo punto ricomincia e la protagonista questa volta non è più Frances o Johnny né Julia (che nel frattempo muore), ma Sylvia la figlia di una delle tante mogli del compagno Johnny.
Sylvia è una ragazza che ha tanti problemi, non mangia e non riesce ad avere rapporti sociali con gli altri, ma grazie a Frances e soprattutto a Julia attraverso un rapporto che ad un certo punto diventa quasi morboso, guarisce, diventa medico, e parte volontaria per l'Africa in un piccolo paese che si chiama Zimlia. Anche qui, purtroppo, Doris Lessing avrebbe potuto raccontare (e ne avrebbe avute tutte le capacità se non fosse stata obnubliata dall'odio anticomunista) un Paese che, ottenuta l'indipendenza, mostra sì le corruttele dei nuovi padroni, dei liberatori, ma anche il dramma a cui era stato portato dal colonialismo europeo. Anche questa volta nulla di tutto questo. Vi è, certamente, una critica dettagliata e precisa della corruzione seguita all'indipendenza, ma nessuna parola nei confronti del colonialismo quasi che, ad un certo punto, sembra che vi sia una certa nostalgia per lo sfruttamento dei paesi europei nei confronti dei paesi africani (perché di questo si è trattato e nient'altro) e giustificando, sostanzialmente, il razzismo di fondo degli agricoltori bianchi.

Da quando c'era stata la Liberazione, era diventato difficile comprare persino le cose fondamentali, come del caffé accettabile o un pò di pesce in scatola. "Quelli" non erano nemmeno in grado di fornire regolarmente una quantità adeguata di farina di granoturco ai lavoratori, e lei era costretta a tenere un magazzino pieno sino al tetto di farina, per la prossima volta che la manodopera sarebbe venuta a chiedere di mangiare

Anche la conclusione, purtroppo, è tipica, conformista, retorica. Sylvia a causa dei suoi sacrifici in Africa torna a Londra, insieme a dei bambini a cui era morta di Aids tutta la famiglia, che ovviamente vogliono totalmente adattarsi al mondo occidentale, e muore mentre il compagno Johnny è ormai povero e solo e finisce per vivere in uno scantinato della casa (che in realtà è anche sua) di Frances. Nulla di più scontato come, del resto, tutto il romanzo.

Rodolfo Monacelli