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Il "giuoco" di Sanguineti

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Il Giuoco dell'Oca
di Edoardo Sanguineti
Milano, Feltrinelli, 1967
pp. 238


Sanguineti, scrittore di rottura e continua sperimentazione, tra i fondatori e del neoavanguardistico Gruppo 63, ha abituato i suoi lettori all'amara riflessione sulla realtà, spesso travestita di gioco carnevalesco e di gusto per la dissacrazione. Quando la rivoluzione sessantottina è già nell'aria, Sanguineti presenta una strana opera, Il Giuoco dell'Oca, in cui si nota fin dal titolo una parodica e divertita ripresa della  tradizione con la forma dittongata 'giuoco', nonché la natura scopertamente ludica del testo. Forse troppo scopertamente. 

La struttura del romanzo (così viene sbrigativamente classificato in copertina) segue le 111 caselle del gioco dell'oca: ogni stazione è numerata sobriamente in cifre romane ed è occupata da un breve testo (una pagina, una pagina e mezzo al massimo). Sanguineti invita pertanto a leggere l'opera secondo l'estro del momento, anche discontinuamente, in modo incompleto o a fare una sorta di zapping letterario tra i testi-stazione. Casualità, libero arbitrio, giochi combinatori, riprese e salti: il tutto si inserisce nel gusto per l'ibridazione e la sperimentazione dei generi testuali che, dal 1960, circola in Europa grazie all'influsso dell'OuLiPo. Tuttavia, a differenza della più disimpegnata scuola francese, Sanguineti approfitta della svelata professione di frivolezza per nascondere nell'opera doppi, tripli e quadrupli fondi, a cominciare dall'apertura significativa dell'io-narrante chiuso in una tomba, a osservare la stranezza del mondo esterno, ribaltando le normali prospettive in un'atmosfera di claustrofilia. Immagini surreali, racconti analogici e a-logici costituiscono il vero tessuto narrativo, e quel che si interrompe in una stazione potrebbe tornare, fantasiosamente e a stralci, con riproposizioni inaspettate del tema.

Entro la struttura volutamente composita, si riconoscono invece le caratteristiche della prosa di Sanguineti: il gusto per una sintassi continuamente franta, ricca di incisi e inversioni; la colloquialità spinta fino a diventare un tratto stilistico, con iterazioni insistite e continuo martellante uso di deittici, che perseguono l'obiettivo di performare il testo in un 'qui' e in un 'adesso'.

Non si fa desiderare la presenza del Sanguineti letterato, attento conoscitore e critico delle opere coeve (e non solo), che cita con una sottile ironia qua e là, riproponendo e stravolgendo i temi. Si veda come la tradizionale figura del saltimbanco, elemento-cardine in Palazzeschi, ma già in Baudelaire e in altri, occupi un ruolo fondamentale nell'ultima tessera del giuoco, che qui vi riproponiamo in chiusura:

Faccio tutta la mia figura del saltimbanco sopra la botte, quando la botte gira e gira, e il saltimbanco sta sopra la botte, come in una sua specie di danza un po’ difficile, e fa girare la botte così, con i suoi piedi. Così mi gira e mi gira anche quella, lì a me, sotto, dentro la grande botte, dentro la grande bara, mentre navighiamo tra i grandi impeti di un grande vento di tempesta, sotto un cielo senza luna e senza stelle, con i grandi fulmini che ci cadono tutti fitti, tutti intorno, a destra e a sinistra. Mi batte forte da tutte le parti, lì dentro, adesso, qui nella grande bara, quella, facendo “tùn, tùn”, urtando così, tutta di legno come è fatta, con tutti i suoi colpi duri, contro le doghe e contro i mezzuli, contro l’uzzo e contro le lulle. Allora io le disegno la sua testa, lì a quella, lì di profilo, sopra il controbelvedere e il controfiocco, sopra il parrocchetto e il pappafico, sopra la trinchettina e la carbonera. Spingo verso il porto, così come posso, ormai, puntando lì con i piedi, sopra la grande botte che gira e gira. E adesso che il porto si fa già vedere, un po’ da lontano, adesso che mi calo già tutte le mie vele, un po’, io mi sporgo anche tutto dal buttafuori di briglia, lì dalla grande botte, dalla grande bara, sopra quell’acqua che è in una grande tempesta. Mi scrivo un nome, adesso, per questa grande nave dove ci navighiamo tutti insieme, con una mia vernice tutta densa, tutta nera. Me la voglio chiamare un po’ così, adesso, questa grande nave dove ci navighiamo tutti insieme, con questo nome un po’ lungo, che è IL DILETTEVOLE GIUOCO DELL’OCA. Poi ci scrivo ancora, un po’ sotto, ma come un po’ di lato, lì in mezzo, un’altra parola così, che è come un altro nome, lì per la grande nave. E’ una parola che è

FINE.

Gloria M. Ghioni