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L'altalena: de nominibus et substantia rerum

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Theophile Gautier

Il Capitan Fracassa

pp. 630 ca

prima pubblicazione 1863

Biblioteca Universale Rizzoli

10€


E' questo il capolavoro del grande scrittore francese dedicatario de "Le fleurs du mal", annunciato nel periodo giovanile e concluso trent'anni dopo nella piena maturità. Trama semplice per un libro di oltre mezzo migliaio di pagine, che risente molto della pubblicazione come feuilleton nelle lunghe pause descrittive da cui prende un vivo slancio l'azione, in una sorta di altalena omericizzante (cfr.: L'Anonimo Sul Sublime). Tutto affonda le sue radici in un un senso di ineluttabilità dettato non dall'alto, ma dalle forme e dai costumi, da luoghi comuni picareschi e dagli stereotipi del teatro barocco, dalle situazioni giacenti ad altezza d'uomo che siano la necessità o l'etichetta (per quanto diverse esse siano tra loro) d'un Seicento non meglio identificato che sotto il regno di Luigi XIII. In Guascogna nel maniero in rovina dei suoi antenati vive, orfano ed ultimo rampollo d'una nobile famiglia, il barone di Sigognac con nessun'altra compagnia se non quella di un vecchio servo e di animali domestici, senza dimenticare madame Miseria che aleggia onnipresente negli stenti della vita al castello. Per amore di una giovane attrice, capitata con la sua compagnia teatrale a rifugiarsi nel maniero dei Sigognac, il giovane barone si unisce agli attori, recitando egli stesso sotto la maschera del Capitan Fracassa, sostituto del defunto commediante Matamoro e discendente diretto del Miles Gloriosus plautino. Qui inizia il gioco sottile e ironico allo stesso tempo dell'altalena tra menzogna romantica e verità romanzesca (cfr.: René Girard), inserite l'una nell'altra come delle matrioska che finiscono per confondersi ad ogni nuova apertura. Sigognac, icona del soldato fanfarone e spaccamontagne sulle scene, ricalca sulle strade del romanzo l'esatto ideale del nobile coraggioso ed ottimo combattente, in nome di un amore troppo platonico per i nostri tempi, ma che avrebbe fatto arrossire di pudico piacere la Pamela di quel puritano di Richardson e tutto il suo pubblico epistolare. Ed è proprio simile a Pamela, disposta a sacrificare la vita piuttosto che la sua virtù, la giovane Isabelle, l'amata ed amante di Sigognac. Con la differenza, conoscendo il personaggio di Gautier, che lo scrittore nel delinearla abbia fatto di necessità virtù e le abbia dato i panni surreali (nel duemila) di una qualunque Lucia manzoniana, magari un po' meno religiosa, sotto i dettami dei gusti del suo pubblico. Che senso avrebbe un involuzione del genere dalla travestita Madamoiselle De Maupin (protagonista del suo primo romanzo) alla Isabelle casta e pura come un fiore di campo? Si rientra ancora una volta nell'altalena di cui prima. Un'altalena che non lesina a celare le sue rotondità e i suoi fronzoli squisitamente grotteschi, sintetici ed untuosi, come la sfericità perfetta dei dittonghi francesi. Tutti i personaggi di Gautier, che siano briganti od osti, duchi e marchesi, parlano attraverso la sua bocca, come i contadini di Virgilio nelle Bucoliche, lanciandosi in ardite metafore e pensieri arzigogolati, sbeffeggiando il lettore sulla linea di confine del finto e del verosimile. L'altro gioco a cui si presta il coltissimo Théophile è senza dubbio la raccolta di citazioni, alcune esplicite altre meno, che si contano numerose dalla mitologia e letteratura classica fino agli autori francesi barocchi, Rabelais, Scarron, Saint Amant, senza risparmiare "I promessi sposi" pubblicati appena vent'anni prima dal nostro Manzoni. La scrittura per Gautier diviene una sorta di ostentazione sfavillante e lussureggiante di elucubrata padronanza linguistica, più che emersione di riflessioni intime e profonde private d'ogni altra via d'espressione; ma come Guy de Malivert in Spirite che cercando di nascondere i suoi pensieri dietro parole mendaci, scopre rileggendole che, nella menzogna, non ha detto altro che la verità. Così il Capitan Fracassa risulta essere una summa letteraria, una sorta di enciclopedia in prosa di un'intero mondo e concezione di letteratura, fatto di parole e che tratta di altre parole, capaci di affermare con forme e rivoluzioni grottesche e con un sottile filo di ironia, che nomina non sunt substantia rerum.
Adriano Morea