Eccovi un'orma per riscoprire il piacere di leggere Montale, direttamente dalla mia tesina ;)
Ecco l’iter della religione del niente, dalla fede tradita di un girasole alla manifestazione del male di vivere e della divina Indifferenza, partendo dai testi di due celebri poesie di Eugenio Montale, dalla raccolta Ossi di Seppia :
Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Non è un caso che siano contigue nell’economia della raccolta… Analizziamole comunque, a livello formale, individualmente. Portami il girasole ch’io lo trapianti è suddivisa in 3 strofe di 4 versi ciascuna con verso essenzialmente libero, rimata secondo lo schema : A-B-A-B - C-D-D-C - E-F-F’-E. Quella tra F ed F’ in effetti è un’assonanza più che rima vera e propria. Il chiasmo del primo verso tra i verbi e i pronomi personali è un prezioso elemento di focalizzazione sul protagonista della lirica, il girasole. Infatti a voler disegnare
Spesso il male di vivere ho incontrato invece è un componimento di 2 sole quartine a rima quasi regolare: A-B-B-A - C-D-D-A . Come nota lo Scarapati qui “possiamo veder funzionare con chiarezza la poetica degli oggetti: l’affermazione iniziale non si esplica poi in descrizioni della dinamica emotiva che le accompagna, questa si traduce tutta e subito nell’incalzare delle immagini-oggetto. E’ una forma di energia contratta, concentrata, anziché distesa; ogni termine acquista un alto valore informativo; ne nasce un’impressione di definizione totale, di estrema precisazione”. Le due liriche così descritte appaiono come due passi di una religiosità costruita sul gioco trasparenza-Indifferenza che in un piano definibile come sinestetico (attenzione perché si tratta di un accostamento di musica, immagine e pensiero) si rivela essere l’unico bene di cui si ha esperienza. Offro così una parafrasi sincretica e sintetica delle due liriche come frutto e tentativo di esemplificazione delle mie cogitationes: