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Libera nos a ...

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"Libera nos a malo"
di Luigi Meneghello
Milano, Rizzoli BUR, 2004
con un saggio introduttivo di Cesare Segre

Pag. 308
€ 7.00


Uno dei capolavori del secondo Novecento, uscito nel 1963, ricco di libri di successo critico e di pubblico (si pensi alla Cognizione del dolore di Gadda, ad esempio). Mentre ancora imperversava il neorealismo, e molti autori intraprendevano diverse sperimentazioni contenutistiche o di stile, ecco che Meneghello libera la sua mente e lascia che ripercorra le vie del suo paese d'origine, Malo, nel vicentino. Ritrova così la sua infanzia e l'adolescenza, tratteggiando personaggi minori ed episodi costellati ora di ironia (lo stesso titolo rimanda sia al paese d'origine, sia a un pezzo della preghiera Padre nostro), ora di riflessione; infatti, non solo di narrativa si parla, ma Libera nos a malo ha meritato anche la qualifica di romanzo-trattato.

Lo stile, poi, è un vero gioiello. Preciso subito che la narrazione è prevalentemente in lingua italiana, colta, non priva di latinismi o di vocaboli stranieri, ricca di citazioni e allusioni ad autori italiani o stranieri. Tuttavia, un tratto distintivo è l'uso del dialetto di Malo, ora in citazioni dirette per i dialoghi, ora in calchi della costruzione linguistica. Non temete, in ogni caso, di non comprendere il testo: alla fine, l'autore ha costruito un utile e giocoso glossarietto per i termini di maggior uso. E' interessantissima, a tal proposito, la nota di Meneghello, alla fine dell'opera: viene giustificata la scelta del dialetto non in nome di chissà quale vezzo letterario, ma solo perchè è la prima lingua che Luigi ha parlato, nonché l'unica autentica per veicolare determinate verità.

L'intero romanzo-trattato conserva una freschezza e una capacità narrativa non comuni, e proprio questo garantisce all'opera di passare indenne tra gli sperimentalismi eccessivi e la bagarre di libri di tanta pubblicità e valore poco.


Anathea