in

Charlotte Bronte: la passione e l'ombra

- -
La vita di Charlotte Brontë
di Elizabeth Gaskell
Castelvecchi editore, novembre 2015

Traduzione di Simone Buffa di Castelferro

pp. 464
€ 22 (cartaceo)









Charlotte Brontë: una vita appassionata
di Lyndall Gordon
Fazi editore, aprile 2016

Traduzione di Nicola Vincenzoni

pp. 498
€ 18 (cartaceo)









Era la vita ad ispirare la letteratura o la letteratura a dar forma alla vita?
È la domanda che rincorre Lyndall Gordon in questa bellissima biografia dedicata a Charlotte Brontë, - pubblicata per la prima volta nel 1994 e in Italia uscita pochi mesi fa per Fazi editore - su cui, pagina dopo pagina, ritorna anche il lettore. Personaggio sfuggente, celato dietro il mito che nel tempo si è sempre più sostituito alla figura reale, l’immagine di Charlotte Brontë tramandata negli anni è stata per lungo tempo quella dipinta da Elizabeth Gaskell, amica e prima biografa ufficiale, che scrisse un testo ancora oggi imprescindibile per i lettori della Brontë. Appare molto interessante leggere oggi, nel bicentenario della nascita di Charlotte, entrambe le biografie, così diverse per approccio e stile ma fondamentali per ricostruire la vicenda personale ed artistica di un’autrice sfuggente, contraddittoria, mentre i suoi quattro romanzi – tutti disponibili anche in traduzione italiana – restano oggetto di profondo interesse critico.
Il testo della Gaskell, iniziato su invito del padre di Charlotte a pochi mesi dalla scomparsa della figlia, fu scritto e pubblicato nel giro di due anni, quando moltissime delle persone citate, coloro che avevano conosciuto personalmente la scrittrice prematuramente scomparsa, erano ancora in vita; la stessa Gaskell, si è detto, era legata alla collega da sincera amicizia, ma è bene tenere a mente che il suo punto di vista nel ricostruire la vicenda biografica e letteraria della Brontë è mediato da una conoscenza personale piuttosto recente, avvenuta appena quattro anni prima della sua morte e in un momento particolarmente difficile per Charlotte dal punto di vista personale che, sottolinea nel seguente passaggio Gordon, ha sicuramente contribuito a far nascere nella mente di Gaskell l’immagine romantica della scrittrice malinconica e solitaria, disperatamente devota a quel poco di famiglia che le restava, circondata da fantasmi e ricordi in quella casa immersa nella brughiera:
La futura biografa fece da subito rientrare il suo soggetto nei parametri sentimentali dell’epoca: la donna vittima, votata al sacrificio di sé e circondata da letti di morte.
E, soprattutto, il problema principale con cui il lettore della biografia gaskelliana deve confrontarsi oggi è il filtro – per non dire censura – con cui l’autrice sceglie di ricostruire l’immagine di Charlotte: il mito vittoriano della donna umile e devota perfettamente ricreato, fondamenta della leggenda Brontë di lì a venire. Contro le critiche spesso feroci da cui in vita aveva dovuto in qualche modo difendersi, la Charlotte che Gaskell delinea è infatti la realizzazione di quell’immagine che lei stessa aveva cercato di crearsi di fronte al mondo: un’identità pubblica di devozione famigliare, rispettabilità e discrezione, una maschera da indossare per celare il suo io domestico più vero e complesso, che solo nell’intimità di casa e con anime affini – le due sorelle, soprattutto, e le amiche più intime – poteva trapelare. Aspramente criticata per il carattere passionale e anticonvenzionale delle sue eroine, per la scarsa femminilità dei tratti e del carattere, l’immagine di perfetta rispettabilità vittoriana cercata da Charlotte e il costante tentativo di scindere la donna e l’autrice fu, quindi, assecondata dalla sua prima biografa, la quale si premurò naturalmente di omettere quegli aspetti della vicenda che potevano risultare problematici e scandalizzare i contemporanei.
Un ideale romantico chiaramente non del tutto artificioso, ma che rappresenta solo un aspetto del carattere complesso della Brontë , la cui leggenda si è cristallizzata nel tempo. La bellissima biografia di Gordon, libera dagli costrizioni dell’epoca vittoriana, cerca di ridare autenticità alla protagonista senza tralasciare alcun aspetto, mediante un’indagine meticolosa su fonti differenti, riuscendo infine a costruire una biografia accurata e puntuale, dalla narrazione decisamente scorrevole ed intrigante, in cui vita e arte si fondono per rivelare la donna e la scrittrice, i suoi desideri e aspirazioni, il percorso personale intrecciato a quello letterario.
Non vogliamo qui insinuare che l’una sia migliore dell’altra ed entrambe le biografie devono – seppur in modo differente – fare i conti con la perdita di fondamentali fonti primarie costituite da lettere e documenti che, in parte per volere della stessa Charlotte, furono distrutti o censurati dagli eredi e dalle persone a lei vicine già nei giorni precedenti la sua morte; sono, semplicemente due testi profondamente differenti, nonostante la materia comune, che seguono logiche editoriali proprie dell’epoca di cui sono il prodotto, ma entrambi fondamentali nell’ambito degli studi su Charlotte Brontë e la sua opera. 
La biografia scritta da Gaskell, ricca di dettagli, frammenti di lettere e fonti primarie, celebra come si diceva quella leggenda Brontë che lei stessa ha contribuito a creare e lo fa anche per mezzo di uno stile narrativo che non manca di affascinare il lettore, con quelle atmosfere perfettamente evocate, qualche momento di pathos sapientemente distribuito tra le pagine, attenta a calibrare il dato biografico con la riflessione letteraria; è il racconto di una narratrice esperta, ancora oggi – anzi, forse in Italia soprattutto oggi che finalmente Gaskell sembra trovare anche fuori dai circoli accademici un pubblico devoto – godibilissimo per la prosa elegante, le descrizioni minuziose e puntuali, adeguatamente rese dalla bella traduzione di Simone Buffa di Castelferro nella recente riedizione Castelvecchi. Le atmosfere e quella realtà storico sociale contemporanea all’autrice, sono le fondamenta del racconto di Gaskell, che accompagna il lettore in un viaggio tra le nebbie di una malinconica brughiera, nella canonica di Haworth fatta
di pietra grigia, a due piani, incappellata da un tetto di pesanti lastre, le sole capaci di resistere al vento, che spazzerebbe via qualsiasi altro materiale più leggero.
È un racconto che prende avvio nella malinconica desolazione di un villaggio isolato e insalubre dello Yorkshire, dove anime solitarie sembrano ancora aggirarsi nei pressi di quel cimitero “affollato di tombe” evocato da Gaskell tanto efficacemente. L’atmosfera di cupa malinconia, la solitudine, i dolori e le numerose perdite che costellano la vita di Charlotte sono centrali nella narrazione di Gaskell la quale, come sottolinea invece Gordon, conobbe l’amica in un momento particolarmente difficile della propria esistenza e da quei pochi anni ne interpretò la vita tutta:
Gaskell vide (con sincera commiserazione) l’isolamento della sua amica, la sua solitudine e, soprattutto, la sua sofferenza per quei macigni irremovibili che furono le morti precoci della famiglia Brontë, avvenute una dopo l’altra. La sua Charlotte non è una fiera sopravvissuta, ma la povera reliquia di una famiglia dannata.

Una famiglia dannata: senza dubbio la vita di Charlotte è stata – anche – un susseguirsi di dolori e perdite tra cui, ancor più intensamente sofferte, quelle delle sorelle Emily (1848) ed Anne (1849), con le quali condivideva da tempo anche la devozione alla scrittura.
[...] alle nove di sera, ora in cui Miss Branwell solitamente andava a dormire [...]: riponevano il lavoro e incominciavano a passeggiare su e giù per la stanza, [...]; avanti e indietro, avanti e indietro, messe in luce un istante dalla brace del caminetto, e subito riassorbite dall'ombra. Era il tempo della giornata in cui parlavano delle difficoltà passate, delle preoccupazioni presenti; facevano progetti per l'avvenire e ragionavano sui loro piani. Negli anni successivi fu l'ora e il modo in cui discussero degli intrecci dei loro romanzi.
Prima di loro la madre, l’amatissima sorella Maria, la più giovane Elizabeth, e poi l’unico fratello Branwell, su cui il padre aveva riposto così tante speranze, l’unico davvero degno della sua attenzione e degli sforzi economici per pagarne gli studi, invece perduto in una spirale autodistruttiva, le aspettative tradite.
Senza dubbio un’esistenza che, se non può definirsi dannata, ha conosciuto la sua parte di dolore e solitudine ma che, sottolinea ancora Gaskell, non ha mai del tutto intaccato lo spirito di Charlotte:
Vi è qualcosa di commovente in quella piccola creatura che, sepolta in un simile luogo, vi circola come uno spirito, specialmente se si pensa che in quella fragile struttura è racchiusa una vita impetuosa, che nulla è stato capace di raggelare e di estinguere.
E che, nel quadro dipinto da Gordon, ci appare in tutta la sua complessità: una vita, una donna Charlotte, non soltanto silenziosa e discreta dietro la maschera che aveva scelto di indossare in pubblico, ma anche una giovane appassionata, fiera, consapevole del proprio talento, smaniosa di libertà ed indipendenza, curiosa e costantemente desiderosa di imparare, crescere, vivere. È questo dualismo che emerge dalla biografia di Gordon a colpirmi particolarmente e che restituisce l’immagine di una personalità complessa, di luci ed ombre, mentre la vicenda biografica svelata si intreccia alla produzione artistica, nutrendosi a vicenda. Libera di raccontarne anche gli aspetti oscurati in epoca vittoriana, Gordon indaga quindi legami e sentimenti che Gaskell aveva dovuto tacere, rivelando ancora una volta l’immagine di una donna viva, appassionata, che contrasta nettamente con il ritratto da quest’ultima delineato per i suoi contemporanei:
I suoi precetti combinati con la mancanza di speranza nella possibilità di una vita felice propria di Charlotte, le diedero quel costante timore di affezionarsi troppo, di stancare le persone a cui voleva bene, tanto che spesso tentò di imbrigliare i suoi caldi slanci e fu avara della sua presenza anche con le amiche più amate.
Una vita invece non priva di sentimenti forti, amori non ricambiati quanto avrebbe desiderato, in qualche caso sconvenienti ma ugualmente profondi. Quella stessa intensità di sentire che rigetta sulla pagina, evidente soprattutto in quei quattro romanzi ognuno con le proprie peculiarità essenziale per delineare il percorso personale ed artistico di Charlotte, il contesto storico sociale entro cui si sviluppano, il confronto dell’autrice con il successo e le critiche, i rifiuti, il mondo editoriale e i suoi protagonisti sconcertati di fronte a quella piccola donna, dall’aspetto ordinario come i suoi personaggi. Testi che la Gordon analizza efficacemente rendendo il progetto qualcosa di più di una semplice biografia, godibile si diceva per narrazione ed accuratezza ma anche ricchissimo di spunti di riflessione critica con cui i lettori dei romanzi delle Brontë – perché, seppur solo accennati naturalmente, anche gli sforzi letterari di Anne ed Emily sono qui considerati – potranno confrontarsi. In quest’ottica, il testo pecca forse di una strutturazione che poteva essere più adeguatamente organizzata, anche ai fini di una rilettura per argomenti/testi, ma è vero anche come la scelta presa renda il racconto scorrevole e coinvolgente.

Nella vita creata sulla pagina da Charlotte, il mondo interiore della giovane autrice prende forma. Lo fa nella timida, umile Francis de Il professore – il primo romanzo scritto, l’ultimo ad essere pubblicato, postumo, dopo nove rifiuti – che lentamente si rivela a sé stessa e al lettore, un romanzo in cui immediata appare l’esperienza dell’autrice in Belgio e il forte legame – questo, appunto, censurato nella biografia di Gaskell – con il suo maitre Heger, figura centrale nella crescita di Charlotte come donna e scrittrice.

Quello che desiderava con tutta sé stessa era più originale e, a suo modo, più affascinante dell’adulterio: un’unione intellettuale grazie alla quale il suo maitre l’avrebbe resa una scrittrice.
Nella straordinaria Jane del suo romanzo più celebre, tra immediato successo e critiche feroci di fronte a quell’eroina passionale, immagine di un nuovo ideale femminile che andrà sempre più delineandosi fino ad approdare alla New Woman di fin de siècle, ma che nel 1847 suscita l’indignazione della classe intellettuale di fronte allo svelamento della vera identità della sua creatrice;
Parte dello sgomento che Jane Eyre provocò quando, nel 1847, irruppe sulla scena vittoriana è legato al suo inequivocabile impulso passionale. Poteva mai essere la voce di una donna, si chiedevano i recensori. Difficilmente l’avrebbero ammesso.
In Shirley, il suo romanzo più femminista in cui Charlotte concentra l’attenzione sulla Woman Question sempre più urgente, contribuendo ancora una volta alla costruzione di un modello femminile nuovo:
L’aspetto più affascinante del suo modo di trattare tale questione è il suo guardare oltre le immediate conquiste politiche, puntando ai traguardi di lungo termine relativi all’istruzione, alla sfera delle emozioni e al riconoscimento del contributo dato alla civilizzazione da parte di un genere femminile pienamente emancipato.
In Villette, l’ultimo romanzo concluso che, nonostante un’eroina all’apparenza scialba e una trama che sembra inconsistente, scandalizza per l’ambiguità del finale e la minuziosa indagine psicologica della protagonista, mentre evidente il forte richiamo autobiografico della narrazione.

Infine, in Emma, l’ultimo romanzo rimasto incompiuto e che, non possiamo fare a meno di chiederci insieme a Gordon, avrebbe forse segnato un ulteriore passo avanti nella costruzione di quell’ideale femminile che Charlotte, insieme ad altri, andava delineando.

Una carriera letteraria passata dall’ombra e dal riparo dell’anonimato, ad una improvvisa celebrità, di cui le biografe raccontano l’incontro con il mondo editoriale e i suoi protagonisti, il rapporto difficile con un ambiente che non perdona a Charlotte il suo essere donna: troppa passione si cela tra quelle pagine e dietro quell’apparenza di mediocrità e mancanza di fascino. Sono gli “eroi” stessi a deludere Charlotte qualche volta (vedi, per esempio gli sgarbi di Thackeray), gli editori, gli altri scrittori che ne invadono la privacy spingendola a rivelare l’identità non soltanto del misterioso Currer Bell, l’autore di Jane Eyre ma, comprese nel pacchetto, quelle di Ellis ed Acton, le due amatissime sorelle che come Charlotte scrivevano protette dall’ombra di ambigui pseudonimi.

L’ombra, ancora una volta, che come sottolinea Gordon è un elemento centrale nella prosa e nella vita di Charlotte:
L’ombra ricorre nella sua scrittura non come una debolezza, ma come una potenza che rimane celata alla vista.

E il suo io domestico, quello più vero, protetto dal mondo.