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Se ti dicessero che il pianeta sta andando incontro alla distruzione cosa faresti? E se te l'avessero già detto? "I quattro che predissero la fine del mondo" di Abel Quentin

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I quattro che predissero la fine del mondo
di Abel Quentin
Edizioni e/o, agosto 2025
 
Traduzione di Giuseppe Giovanni Allegri
 
pp. 464
€ 19,50 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)

«Le attività umane possono proseguire la loro crescita in maniera duratura, di fronte ai limiti delle risorse naturali non rinnovabili, della superficie delle aree arabili e della capacità di assorbimento di inquinanti da parte degli ecosistemi?». Una prima risposta era stata consegnata da un computer IBM, una macchina futurista da due milioni di dollari, dotata di nastri magnetici e di un proprio sistema operativo, che loro avevano alimentato con dati contenuti in schede perforate, sei giorni a settimana, per dodici mesi. Quella risposta non era in realtà rallegrante. (p. 30)

Nell'università di Berkeley negli anni Settanta, nel dipartimento di dinamica dei sistemi, quattro scienziati lavorano per prevedere il futuro del mondo. La crescita potrà continuare all'infinito, oppure, a un certo punto, tutto collasserà e per l'umanità non ci sarà scampo? La risposta data da quello che verrà poi chiamato Rapporto 21 è più orientata allo scenario apocalittico. I quattro scienziati reagiscono in maniera diversa alla nefasta profezia: i coniugi Dundee diventano divulgatori e attivisti per far sì che l'umanità inverta la rotta prima che sia troppo tardi; il francese Quérillot decide che tanto vale godersela e fare più soldi possibili; il norvegese Gudsonn scompare e si racconta che viva in eremitaggio nei boschi del nord Europa. Seguendo le tracce e le testimonianze dei quattro scienziati dell'Apocalisse e vedendo come ciascuno di loro reagisce all'annuncio della fine del mondo ci si domanda come reagirebbe ciascuno di noi. Quando poi ci si rende conto che già stiamo vivendo lo scenario prospettato dal Rapporto 21 possiamo solo provare sgomento: cosa stiamo facendo? 

I quattro che predissero la fine del mondo di Abel Quentin nonostante il titolo sensazionalista – ben diverso dall'originale Cabane – non è un romanzo di fantascienza. O meglio, con la fantascienza condivide l'aspetto di speculazione sull'impatto tecnologico sul mondo e sull'umanità, ma è un romanzo che potremmo definire realista. Ispirato al saggio Rapporto sui limiti dello sviluppo, il romanzo di Quentin prende il testo del 1972, gli scienziati che l'hanno redatto, la situazione che ha portato alla sua stesura, e mette un filtro narrativo e finzionale sulle figure degli autori, ma conserva lo spirito di base dell'allarme lanciato al mondo. Ne emergono due considerazioni poco piacevoli, per noi esseri umani in lettura: la direzione che abbiamo preso non viene invertita abbastanza velocemente e, alla fin fine, non ce ne importa nemmeno più di tanto.

Più tardi, con un po' più di distacco, la coppia capì che erano stati ricevuti da quella gente solo perché non si sentiva minacciata da loro. Avevano accolto i due ricercatori con grande affabilità perché sapevano che nessuna verità scientifica avrebbe potuto invertire la rotta di quella cosa così potente: il desiderio di accumulazione che consumava le famiglie americane. (p. 89)

Miriam ed Eugene Dundee, coppia di ricercatori, dopo il prospetto dello scenario 8 del Rapporto non hanno dubbi: bisogna sensibilizzare il mondo e i poteri alti. La capacità di carico del pianeta, secondo i loro calcoli, verrà raggiunta nel 2020 per poi crollare nel 2050. Iniziano così la loro crociata che parte tra grandi fasti, apparenti preoccupazioni da parte delle industrie di combustibili fossili e poi, come ogni lotta contro i mulini a vento, finisce con la ridicolizzazione del Rapporto e i due vengono additati come catastrofisti e uccelli del malaugurio, profeti di sventure che mai si realizzeranno. Ma, nonostante loro due siano i più in vista, non sono loro i reali estremisti del gruppo. Su una scala che va, ironicamente, da Henry David Thoreau a Elon Musk sui due capi opposti si posizionerebbero Johannes Gudsonn, geniale matematico teorico, e Paul Quérillot, scelto più per dare al gruppo un sapore di internazionalità che non per veri e propri talenti.

Quérrilot fa sua la frase di Groucho Marx: «Cos'hanno mai fatto per noi, le generazioni future?» (p. 126). Dietro questo schermo che nasconde spavento, il giovane francese decide di sfruttare tutto quello che ha imparato per fare soldi. Lobbista petrolifero e poi imprenditore, per tutta la vita accumula denaro senza più intrattenere rapporti con gli altri membri del gruppo. Ma la consapevolezza è sempre in agguato, tenuta a bada dalla certezza di non essere più lì quando tutto il sistema collasserà.
Gudsonn, invece, fa perdere le sue tracce. Se le parti dedicate ai Dundee e a Quérrilot sono raccontate in terza persona, per Gudsonn ci si affida alle pagine del diario del matematico, ritrovato da un giornalista incaricato di scrivere un pezzo in occasione dell'anniversario del rapporto, nel 2023, e che parte per una caccia all'uomo attraverso tutta l'Europa. Emerge la figura di un uomo dal QI sconfinato, attratto dagli estremismi di Theodore John Kaczynski (Unabomber) e con idee molto nette su come evitare il tracollo; idee che nulla hanno a che fare con la decrescita felice. 

Quasi incarnazione degli stadi di elaborazione del lutto, i quattro scienziati assistono alla realizzazione delle loro previsioni, così come abbiamo assistito e stiamo assistendo anche noi che viviamo negli anni di esaurimento della capacità di carico del pianeta. Nessuno di loro aveva del tutto ragione, così come nessuno aveva del tutto torto, ma la mancanza di unità tra di loro riflette, in piccolo, la mancanza di unità del mondo intero nel voler fronteggiare il disastro.
Nella lettura del romanzo ci si trova in bilico tra finzione e realtà, tra ciò che è già successo e ciò che potrebbe accadere. Ci si riconosce nella voce di Rudy Merlin, il giornalista, l'uomo senza qualità che crede e non crede che la fine stia arrivando. Ma ci sono due sentieri da seguire nella lettura di questo romanzo. Il primo è che non siamo abbastanza spaventati per agire davvero: la minaccia di un'ipotetica fine futura non è potente come l'idea che un meteorite si schianterà su New York nelle prossime due settimane. Il secondo, forse meno evidente, è che non si tratterà della fine del mondo, ma della fine di un mondo. Che si agisca o meno, il pianeta troverà il modo di riequilibrarsi. Se in questo riequilibrio la specie umana riuscirà a farcela è un azzardo sempre meno sicuro.


Giulia Pretta