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Un viaggio mentale e visivo alla scoperta di voci illustri ed emergenti che hanno urgenza di essere ascoltate: "Africana. Viaggio nella storia letteraria del continente"

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Africana. Viaggio nella storia letteraria del Continente
a cura di Chiara Piaggio e Igiaba Scego
Feltrinelli, 2024

pp. 240
€ 22(cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Cosa accomuna le varie nazioni di un Continente vasto come l'Africa, fatto di tante culture e di altrettante lingue differenti? Sicuramente l'urgenza e la voglia di raccontarsi

Le curatrici Chiara Piaggio e Igiaba Scego riprendono il loro viaggio alla scoperta della, o meglio, delle letterature africane. La scoperta però è del lettore che se già con Africana. Raccontare il Continente al di là degli stereotipi nel 2021 aveva potuto conoscere il lato più dinamico e contemporaneo del Continente, con questo nuovo volume si immerge in oltre venti racconti di autori e autrici provenienti dai diversi Paesi che lo compongono e che scrivono in inglese, francese, portoghese, arabo, tigrino e gikuyu, per citarne alcune.

Ciò che si percepisce fin dalle prime pagine, in una sorta di prefazione a opera di Boubacar Dioris Diop, è la grande necessità di un'affermazione letteraria degli scrittori africani. Queste le parole del noto autore senegalese:

Avendo vissuto in Tunisia per cinque anni ho notato, quotidianamente e con un certo divertimento, che lì il termine "africano" è sinonimo di "nero". Inoltre, se la parola "susbahariano" è diventata sempre più popolare negli ultimi anni, è perché sentono tutti il bisogno di tenere conto di questa frattura. Ma se l'idea di un'Africa letteraria che si estende dal Cairo a Città del Capo è un'utopia, possiamo almeno parlare con pertinenza di una letteratura subsahariana? (p. 13)

L'autore racconta poi un aneddoto "divertente" per spiegare meglio quanto la frammentarietà del Continente africano impedisca al mondo di vedere all'Africa come a tante letterature e non come a un unico blocco compatto. Durante una cena a Johannesburg, nell'estate del 2010, l'autore narra di una conversazione avuta con una sua vicina di tavola, una cantante sudafricana (bianca, specifica). Al domandarle se fosse mai stata in Senegal, la cantante risponde che non ha ancora avuto la fortuna di andare in Africa. 

Il viaggio del lettore inizia dal periodo coloniale, con figure culturali e intellettuali di spicco come Ghebreyesus Hailu con un estratto da L'ascaro. Una storia anticoloniale. Si pensi che il romanzo dell'autore eritreo, scritto in lingua tigrina, è stato scritto per la prima volta nel 1927, ma venne pubblicato solamente oltre vent'anni dopo. La traduzione e la pubblicazione italiane non arriveranno che nel 2023. Il brano qui riportato narra le vicissitudini di un giovane soldato eritreo alle prese con la campagna coloniale per la conquista della Libia. L'ironia pungente con cui l'autore muove la sua forte critica sociale lascia il lettore spiazzato.

I servitori non avevano forse bisogno di sostegno e attenzione? Mentre quelli stavano seduti al centro della tenda davanti a una tavola imbandita e a una cena succulenta, chi è che stando eretto li serviva se non il povero figlio di Habesha che aveva trascorso l'intera giornata a faticare eseguendo i loro ordini? [...] O sprovveduto di un Tequabo! A casa tua il latte non trova chi lo beva, il burro speziato non trova chi lo usi per cucinare, la tua famiglia non sa che farne di queste ricchezze! (p. 33)

Proseguiamo passando per autori come Okot p'Bitek, Mongo Beti, Ousmane Sembène e Luís Bernardo Honwana. Di quest'ultimo merita un'attenzione particolare il suo racconto intitolato Le mani dei neri (2017). L'autore mozambicano, che scrive in lingua portoghese, si interroga sul perché i neri abbiano i palmi delle mani così chiari. La questione lo spinge a indagare ossessivamente sull'origine di questo mistero e, domandando al parroco, al maestro o alla madre il perché, riceve le risposte più svariate e assurde che esistano. Un esempio? Le mani dei neri sono così perché gli antenati camminavano con le mani per terra e dunque non venivano mai esposte al sole. Anche qui l'ironia è spiazzante, ma Honwana si esprime con un linguaggio talmente accessibile che sembra lo stia raccontando a un amico. Accessibile, ma non banale o semplicistico. La genialità risiede proprio qui.

Si continua il viaggio passando poi per l'indipendenza con autori e autrici come Flora Nwapa, che con il suo racconto Una morte certa (1980) racconta la guerra, nelle sue sfumature più devastanti, attraverso la forza e gli occhi di protagoniste femminili, pronte a lottare per salvaguardare le loro tradizioni e a combattere contro ogni pregiudizio razziale. Ma si parla anche di corruzione e consumismo con Bernard Nanga, ne I pipistrelli (1980) e di sofferenza e amicizia con La ragnatela (1966) di Cyprian Ekwensi, o di colonialismo con Ngugi wa Thiong'o ne Il diavolo in croce (1980), scritto in lingua gykuyu.

C'è poi la turbolenta rinascita nel Novecento con Nawāl al-Sa 'dāwī, che nel suo racconto Il velo (1978), scritto in arabo, pone al centro della nostra attenzione i desideri del corpo umano. La scrittrice, figura di rilievo e di riferimento per il panorama novecentesco arabo-africano, e che è anche psichiatra, narra in prima persona di una donna che si risveglia con un uomo nudo nel suo letto. La cura scelta per l'utilizzo delle parole che descrivono i postumi di un amplesso e di una leggere sbronza, sono tanto delicati quanto precisi. Non si parla mai esplicitamente di sesso, ma lo si percepisce, e al lettore viene svelato ogni meandro della mente della protagonista, con estrema sincerità e leggiadria. Altra immensa autrice ghanese di questo capitolo narrativo è Ama Ata Aidoo, cui sono dedicate la copertina e il romanzo stesso, in onore della sua recente scomparsa nel 2023. In questa antologia viene pubblicato il suo racconto Pidocchi (1987), in cui il ruolo della donna e dell'uomo nella società vengono completamente ribaltati. 

Si arriva poi al nuovo millennio con Leila Aboulela e il suo Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, in cui per la prima volta l'autrice propone un protagonista di sesso maschile, un giovane bianco scozzese, ponendo l'attenzione sulle relazioni multiculturali e sui due altri grandi protagonisti, a lei cari: la Scozia e il Sudan. Ma in questo lungo viaggio si guarda anche già al futuro. Proprio nel capitolo dedicato ad esso troviamo, ad esempio, Akwaeke Emezi, artistə nigerianə che si identifica come transgender e come ogbanje (letteralmente "bambino spirito", ovvero essere classificati come altro e portare l'alterità nel mondo). La sua scrittura in Chi è come Dio (2017) è una brillante e profonda riflessione sul binomio: identità e religione.

Mamma nemmeno vide Ure, non mi tolse gli occhi di dosso, la scarpa le era caduta e ora mi schiaffeggiava in testa e gridava dandomi del blasfemo - chi mi credevo di essere a pensare che Dio mi parlava quando io Lo insultavo comportandomi da donna, e non da uomo come mi aveva fatto Lui, la Sua creatura [...]. "Sei un uomo, capito? Non ammetto un abominio del genere in casa mia!" (p. 208)

Il lettore compie dunque un lungo viaggio che non è ancora finito. Il tutto è sapientemente scandito dalle parole introduttive ed esplicative ad ogni capitolo delle curatrici Chiara Piaggio e Igiaba Scego, che con premurosa attenzione, conducono il lettore alla conquista di un nuovo tassello di storia e cultura africana da mettere nel proprio bagaglio. Ciò che conquista inoltre di questo romanzo sono anche le bellissime illustrazioni interne e di copertina di Diana Ejaita, che con una predominanza di colori della natura ci fa compiere anche visivamente questa avventura letteraria.

Una lettura fortemente consigliata per chiunque abbia sinceramente desiderio di imparare e viaggiare con la mente, lasciandosi cullare dalle parole di una Terra che ha ancora tanto da raccontare e che meriterebbe di essere maggiormente approfondita anche sui banchi di tutte le scuole.

Carlotta Lini