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Una libreria leggendaria, la letteratura che si fa materia viva, vibrante: due storie intorno alla Shakespeare and company di Parigi

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Sylvia Beach
di Emilia Cinzia Perri e Silvia Vanni
Bao, marzo 2024

pp. 176 
€ 21 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Conversazioni letterarie
a cura di Adam Biles
Neri Pozza, marzo 2024

Traduzione di Massimo Ortelio

pp. 256
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Dov’è che il libro cessa di essere un oggetto inanimato per farsi materia viva, capace di costruire ponti tra le persone? È nel momento in cui non ci limitiamo a scorrere le parole, una dopo l’altra, ma da quelle stesse parole ci lasciamo pervadere e sentiamo l’esigenza di confrontarci: con chi quelle parole le ha messe in fila, con coloro che come noi le hanno accolte. Ecco, dunque, che la libreria dove le storie sono in attesa dei lettori diventa il luogo privilegiato dell’incontro, dello scambio, dell’animarsi di un dialogo letterario che può plasmare noi stessi e il mondo. Uno di questi luoghi straordinari è senza dubbio la libreria Shakespeare and company di Parigi, meta irrinunciabile per tutti i viaggiatori-lettori che si trovino a percorrere la Rive Gauche, a pochi passi dalla cattedrale di Notre Dame.

Che cosa ha contraddistinto questo luogo fin dalla sua fondazione, più di un secolo fa, nel 1919? È ciò resta ancora oggi e la distingue dalla miriade di altre librerie, store e catene: il rapporto con gli scrittori e i lettori. Perché la Shakespeare and company è da sempre uno spazio vivo, vibrante di cultura e parole, dove gli scrittori e le scrittrici dialogano con i lettori e dove, appunto, le parole plasmano il mondo. Non una semplice vetrina, quindi, ma uno spazio dove fare cultura, dove è possibile il confronto, lo scambio, dove le storie diventano tangibili. E dove il passato arriva fino al presente, seppure mutato. All’interno della Shakespeare and company non è possibile scattare fotografie, ma è possibile invece respirarne l’atmosfera e immaginare senza troppa difficoltà – l’unico ostacolo all’immaginazione forse è la folla sempre numerosa che si aggira tra gli scaffali – le parole dei grandi autori che paiono rimaste sospese nell’aria, nonostante il cambio di indirizzo rispetto alla prima storica sede. Sono passata anch’io, naturalmente, tra quegli scaffali, di cui conoscevo la storia e che cosa rappresenta quel luogo oggi come un secolo fa, ma è stato particolarmente interessante ritrovare due libri diversi per casa editrice, modalità narrative e contenuti che però raccontano entrambi non solo la storia ma più propriamente l’essenza di questo posto nel cuore di Parigi. È stato un viaggio ulteriore, alla ricerca delle radici di un luogo la cui identità e rilevanza culturale va ben oltre le mura che le racchiudono e che infatti sono rimaste tale, dal primo indirizzo in rue de l’Odéon a quello attuale nel quartiere di Notre Dame.

Per intraprenderlo sono quindi partita dalla storia della sua fondazione e dalla vita di una ragazza di nome Sylvia Beach: Nancy, in realtà, ma per tutti sarà conosciuta con il nome che si sarebbe scelta da sé. Un’americana, figlia di un pastore, innamorata di Parigi e del fermento culturale che la permea. Emilia Cinzia Perri e Silvia Vanni danno forma al racconto di questa vita in un delizioso graphic novel da poco in libreria per Bao, volume che inaugura lo speciale progetto “Le fumettiste si leggono” per promuovere il lavoro delle autrici attraverso le parole delle colleghe. Il volume di Perri e Vanni – sostenuto in questo progetto da Teresa Radice – è un racconto ibrido, tra biografia e romanzo con echi di realismo magico e dove la scrittura si intreccia mirabilmente al tratto grafico, le scale di grigio e i toni seppia, l’evanescenza e il dettaglio. Una narrazione efficace, su due piani temporali, il presente degli anni Sessanta e il passato nella Parigi di inizio Novecento e poi fino al Dopoguerra. È la storia della fondazione della mitica libreria, certo, ma è soprattutto una storia sull’essere se stessi, sulla ricerca della felicità qualsiasi cosa questo voglia dire e comporti, sul coraggio della libertà, sulla determinazione di una donna e una rete di affetti costruita con cura. 



Le parole di Perri e i disegni di Vanni tessono un racconto reale e immaginifico insieme e fanno rivivere le atmosfere e il fermento culturale che fin dalle origini ha caratterizzato la libreria e che ne è rimasta ancora oggi l’essenza: un luogo di confronto, uno spazio dove gli scrittori potessero trovare rifugio. Un indirizzo, quindi, dove far circolare le idee e le storie, specie quelle più sperimentali, frequentato da Hemingway, André Gide, Paul Valery, James Joyce, Gertrude Stein, Fitzgerald, Pound… Una storia che idealmente non si è mai interrotta, nemmeno quando la libreria originale ha chiuso, nemmeno quando ha cambiato indirizzo: un’altra epoca, un’altra generazione di scrittori, hanno continuato ad animare il dibattito culturale dentro quelle “mura”, da James Baldwin ad Allen Ginsberg, William Burroughs, Anaïs Nin, Richard Wright, Julio Cortázar, Henry Miller… Quello che Sylvia Beach fece nel 1919 fu aprire le porte a una comunità di lettori e scrittori, adoperandosi perché le loro parole potessero circolare e creando un circolo vivace dove più che di presentazioni letterarie dovremmo parlare di happening, per ciò che hanno rappresentato. Ma il libro di Perri e Vanni non è uno sterile catalogo dei personaggi che hanno affollato quelli spazi, quanto piuttosto il racconto intimo e umanissimo di una donna impegnata a trovare la propria strada, innamorata delle parole e della potenza della letteratura anglofona contemporanea, che tra gli scaffali della Shakespeare and company trovava protezione e difesa dalla censura o dal gusto preponderante.

È la storia, quindi, di come Nancy divenne Sylvia Beach, di come i libri la trovarono e le furono accanto ogni giorno della sua vita in modi che forse non si sarebbe mai aspettata. Di come anche l’amore nacque dai libri. Un amore intenso che si trasformò poi in amicizia e fu sempre sostegno. Ma è anche la storia delle difficoltà, di un mondo che va in frantumi sotto le bombe e la paura, e di rapporti non sempre facili con gli scrittori. È noto che fu proprio Sylvia Beach a pubblicare l’Ulisse di Joyce, meno noto forse ciò che quella scelta comportò per la donna. La lunga avventura di Sylvia con la Shakespeare and company si concluderà nel 1941 con la chiusura della libreria e una nuova fase della vita della donna ma sempre immersa nelle storie. 

A raccoglierne l’eredità spirituale fu un altro americano, George Whitman, che nel 1951 fondò la libreria dal nome Le Mistral, al 37 di rue de la Bucherie, il chilometro zero, ossia il punto da cui nascono tutte le strade francesi. Due anni dopo la scomparsa di Sylvia, Whitman omaggiò la donna e il suo lavoro scegliendo di riprendere il nome Shakespeare and company e, soprattutto, esaltandone lo spirito di comunità e accoglienza che fin da principio caratterizzò la libreria. «Un’utopia socialista mascherata da libreria», così la definiva lo stesso Whitman, che negli anni ha dato ospitalità a oltre 30.000 artisti e scrittori, i «Tumbleweeds», come quei cardi che «vagano dentro e fuori a seconda del vento del caso».

Cuore della Shakespeare and company, ieri come oggi, il dibattito letterario: incontri – almeno uno alla settimana – , festival, anche un premio letterario, animano gli spazi della libreria da quando nel 2006 è passata ufficialmente sotto la guida della figlia di Whitman, Sylvia. Sì, proprio quel nome, un sentito omaggio alla prima fondatrice. A distanza di più di un secolo quindi dall’inaugurazione di quella libreria anglofona nel cuore di Parigi, la Shakespeare and company è viva più che mai e vi transitano autori emergenti come scrittori e scrittrici di fama internazionale, in un dialogo mai interrotto con i lettori, tra passato e presente. Venti conversazioni che hanno avuto luogo in libreria nell’ultimo decennio sono confluite in un libro pubblicato in Italia da Neri Pozza e curato da Adam Biles, il responsabile degli incontri letterari: Conversazioni letterarie – i cui proventi tra l’altro vanno alla fondazione Friends of Shakespeare and company, nata allo scopo di salvaguardarne le attività non commerciali – rappresenta una piccola selezione ma già notevole ed esemplificativa degli eventi nella storica libreria. Introdotto da Sylvia Beach e da una nota dell’autore, raccoglie quindi alcuni dei numerosi happening che da anni coinvolgono scrittori e scrittrici da Colson Whitehead ad Annie Ernaux, Carlo Rovelli, Olivia Laing, Percival Everett, George Saunders…

Questi incontri, alcuni avvenuti anche più di un decennio fa, sono appunto la dimostrazione di quanto si diceva in apertura, le connessioni che crea la lettura, la forza del dialogo e del confronto, la ricchezza del dibattito culturale quando non solo fine a sé stesso ma capace di stimolare il pensiero. E, forse sarà banale quanto sto per dire, ma sono anche la dimostrazione di come si conduca un incontro letterario in modo professionale – spoiler: iniziando dalla lettura integrale del testo di cui si parla e no, non è scontato – basati sulla disposizione all’ascolto, la capacità di calarsi nell’opera e soprattutto portarla nel reale. Interventi e autori molto diversi tra loro ma in cui ritrovare la profonda connessione con le storie e il mistero che rappresentano, lo sguardo puntato alle complessità del mondo, anche quando la narrazione si fa personale, intima. Pagine, quindi, attraversate dalla riflessione su rappresentanza, sulla funzione del romanzo e la sua rilevanza nella società culturale contemporanea, sull’emergere dell’autofiction, su come raccontare una storia, tra artigianalità e mistero. 
Qual è lo scopo di un romanzo? Il punto non è fare tutto bene. Né catalogare un periodo storico. […] Il punto è indurre nel lettore o nella lettrice lo stato in cui uno esclama: «Cazzo, wow!», il senso di meraviglia ineffabile e irrazionale che proviamo al cospetto di un’opera d’arte riuscita. È questo, in realtà, lo scopo di uno scrittore. (George Saunders, p. 56)
La selezione di autori è accurata e non banale, a rendere la macro conversazione quanto più polifonica possibile, la riflessione capace di abbracciare tematiche e spunti diversi. Non semplici interviste, quindi, ma uno sguardo dall’interno sul mestiere di scrivere, sulla letteratura e l’arte, su quello che rende le storie ancora così totalizzanti e misteriose. Su quale sia, quindi, il ruolo fondamentale delle librerie indipendenti e delle attività culturali.
Un filo che lega Sylvia Beach, l’eredità raccolta da George Whitman e sua figlia, fino a noi.

Debora Lambruschini

Tavole riprodotte con l'autorizzazione della casa editrice