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Una voce anomala nella narrativa italiana: "Romanzo di crinale" di Silvano Scaruffi racconta una comunità che vuole essere lasciata in pace

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Romanzo di crinale
di Silvano Scaruffi
Neo Edizioni, febbraio 2024

pp. 139
€ 15 (cartaceo)


Alcuni, forse troppi certi libri si somigliano, nelle scelte di trama e nei personaggi, nei cambi di passo, nei giudizi. Nessuno lo impone e tutti (o quasi) lo fanno, e certe soluzioni crescono dentro leggendo e scrivendo - perché la scrittura è arte d'imitazione e assorbimento. Diventa affascinante capire come reagiamo all'anomalia. Ci imbambola e stordisce. Ci attrae. 
A chi fosse passato, nella stretta viuzza in salita, vedendo quell'uomo tutto dinoccolato, a gambe accavallate, un vaso ben saldo nella coscia, la bocca aperta come aspettasse che il naso ci cadesse dentro, a quel passante potrebbe essere sembrato niente altro che uno scemo. Gli scemi spesso giacciono nel silenzio, lo sguardo assente, fanno lunghe pause di mutismo che quasi si può sentire il cervello sferragliare in cerca di qualcosa da dire, fosse anche solo un buongiorno, nel vano tentativo di mettere in fila i pensieri, dar loro un senso, o frenarli perché troppo lesti nel loro andare. Come un treno che stride, cercando di fermarsi prima di spappolare una vacca che pascola sui binari. (pp. 66-67)
Romanzo di Crinale è un caso interessante. Un testo a cui sembra importare poco di certi modelli per seguire regole tutte sue. Somiglia a un difetto di fabbricazione. A un freak. Sgraziato, aritmico, asimmetrico: almeno nelle prime pagine è così. Quasi respingente. Ecco, se c'è un'immagine precisa a cui accostarlo, quella di un pasto indigeribile può venire utile. Scaruffi prende le parti, con rabbia, del colonizzato che si ribella al colonizzatore. Quelle di una comunità che vuole solo essere lasciata in pace.

Faccio ordine.
Bunga è uno strano. Ogni giorno raggiunge un bar in corriera insieme alla sua gatta - Bunga -, un canarino preso al mercato e un verme nascosto in un vaso e chiamato ovviamente Bunga. Ginasio anche non scherza: è un narcolettico che vede il futuro nei sogni e sua moglie Viola non lo sopporta più. Nel paese tutti sono un po' suonati e tutti hanno paura della SIO, società all'opera per la costruzione del Parko e responsabile di preoccupanti scosse sismiche. Insieme si compattano contro il progresso imposto a tutti i costi.
Ginasio sognò di camminare lungo il paese, vagava in una luce biancastra, verso la piazza, senza meta, ma nel retropiano della mente, aveva ben presente dove stava andando, e quel sentore lo metteva a disagio, perciò sudava, non per la salita o la luce calda attorno, grondava perché non voleva andare là. Ma il sogno incedeva spietato. Poco sotto la chiesa un cartello con tre frecce indicava direzioni diverse: via della Valla, da dove Ginnasio saliva; via Miavalla alla sua sinistra e via alla Valla alla sua destra. Il cartello non contemplava l'opzione di proseguire, nessuna freccia indicava in su, verso la piazza. Ginasio infilò la salita a destra, verso via alla Valla. Doveva andare in quel senso, non c'era altra possibilità. (p.23)
Dicono una volta Alziade l'abbia visto come scura ombra di predatore acquatico incrociare immerso nelle melme del lago di fronte l'ex centrale SIO. Dicono sia quell'operaio che alla guida di undici cinesi, fosse stato travolto dall'onda di piena della diga in quota. Dicono fosse proprio Bestio. Quel Bestio che trascinato a valle tra diti e fango fosse sopravvissuto al letale turbinio. Dicono che avesse risalito il fiume, più morto che vivo, dicono la piena l'avesse scaraventato fino ai Boderiòni, dove il fiume Ozola incontrava la Rossendola. Ma lui fosse tornato, scavalcando i muri dei canali di derivazione, strisciando klungo le condotte forzate ormai asciutte. Fino al pantano che era divenuto il gago davanti l'ex centrale, fino a scomparire tra i cunicoli chilometrici scavati ovunque. (p. 80)
Diventa divertente procedere per suggestioni con Romanzo di crinale, perché ne richiama diverse. In quanto romanzo sugli ultimi, ricorda Arpino di Randagio è l'eroe (prima edizione: Rizzoli, 1972): come Arpino, Scaruffi mostra gli sconfitti, di cui intercetta le convinzioni, l'ira, l'imprevedibilità. Incuriosisce invece la deriva horror di alcune pagine legate all'elemento terra. A volte il pericolo sembra arrivare dal suolo e quelle pagine spaventano, affascinano; richiamano un film lontanissimo come Tremors (1990); sono suggestioni che arrivano improvvise e anche un personaggio specifico - Bestio - fa venire in mente alcuni di quegli horror spopolati all'inizio degli anni duemila. 

Non vive ovviamente solo di rimandi questo romanzo di entroterra pieno di acredine verso chi prende decisioni per gli altri, non rispettandone le esigenze e ignorandone le volontà. Scaruffi scrive un libro di terra e polvere, scosse sismiche, opposizioni convinte e lotte durissime, un romanzo ostico e indisponente, profondo, umanissimo, molto raro nel panorama letterario italiano, diverso - che come tutte le cose diverse respinge e attrae allo stesso tempo e si chiede quanto sia sempre necessario il progresso, con le crepe che apre, il trauma che genera. 

Daniele Scalese