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Come cade e si rialza una famiglia di privilegiati? Lo racconta E. Lockhart in "Bugiarde nate", prequel de "L'estate dei segreti perduti"

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Bugiarde nate
di E. Lockhart
DeA, 2022

pp. 335 
€ 16,90 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
 
Titolo originale: Family of Liars
Traduzione di Valentina Zaffagnini

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Nonostante avessi apprezzato lo sperimentalismo del recente Forse ci ritroveremo (recensito qui), ho iniziato il nuovo libro di E. Lockhart con un po’ di sospetto, e non posso dire di averlo del tutto dissipato.
Esplicitamente rivolto ai lettori che hanno amato L’estate dei segreti perduti (ne parliamo qui), e in qualche modo vincolato alla precedente lettura di quel volume, Bugiarde nate parte da un momento collocato idealmente dopo gli eventi lì narrati, in particolare dal lutto di una madre che cerca di mantenere un canale comunicativo con il figlio morto, che le appare continuamente, come una visione concreta, e le chiede di tenerlo vivo con la parola, di aiutarlo a chiudere i conti ancora rimasti in sospeso. Lui vuole sapere “la cosa peggiore in assoluto” che lei e le sue sorelle abbiano mai fatto. Carrie, la madre, si trova dunque a raccontare a Johnny, mancato ancora adolescente, dell’estate dei suoi diciassette anni, trascorsa a Beechwood Island insieme a Penny, a Bess, ai loro genitori, e a tre ragazzi portati in visita dalla cugina e destinati a cambiare tutto.
Il lungo flashback che costituisce la narrazione consente di mantenere sempre in piedi i due piani narrativi, in cui Carrie è rispettivamente io narrato, la ragazzina che cresce e affronta difficoltà più grandi di lei, e io narrante, la donna adulta che conosce le conseguenze di quella lunga estate e si chiede se i suoi errori possano in qualche modo averla resa corresponsabile della tragedia che l’ha colpita nel presente.
Gli eventi di cui si parla, che risalgono a un ormai lontano 1987, vedono Carrie piegata dalla sofferenza per un incidente che le ha strappato la sorella minore e un intervento chirurgico piuttosto doloroso che l’ha lasciata dipendente dagli antidolorifici.
Al suo ritorno sull’isola, nella prima estate senza la piccola Rosemary, la ragazza non riconosce più il suo volto nello specchio, si sente non all’altezza delle altre sorelle, Penny e Bess, che le appaiono superficiali e disinteressate ai suoi sentimenti, e non più in grado di soddisfare le aspettative dei genitori. È dominata dall’ambivalenza tra ciò che vorrebbe essere, l’immagine che trasmette di sé, e ciò che è realmente.
Come me, Cenerentola si trasforma e da deforme diventa bella e altolocata.
Il suo nuovo aspetto è il mio nuovo aspetto.
Ma io sono anche una sorellastra.
Sono vanitosa e ossessionata dalla mia vita,
consumata dal desiderio di piacere ai miei genitori,
disperatamente alla ricerca d’amore e approvazione,
mi mutilo,
vedo le mie sorelle come rivali.
Sanguino. (p. 73)
L’arrivo di George, Major e Pfeff, soprattutto di quest’ultimo, che è bello e disinvolto, la spinge a cercare qualcuno che finalmente la veda e la apprezzi, le dà l’illusione che questo possa effettivamente accadere. Risulta però piuttosto ingannevole la bandella di copertina, che vorrebbe dare l’impressione che quella narrata nel romanzo sia la storia di un amore adolescenziale. Si tratta in realtà, come si capisce ben presto, di qualcosa di molto diverso: l’elemento mistery prevale sul romanticismo e Pfeff si configura quasi subito come un principe poco adatto al ruolo, e poco suscettibile di riscatto.
Nel ricostruire i fatti di quell’estate, Carrie procede per gradi e, come avveniva anche con Cadence ne L’estate dei segreti perduti, si presenta come narratrice non del tutto attendibile. A tratti la prosa si sfalda, si disgrega nei versi, per assecondare il pensiero della ragazza, sopraffatta dall’intensità dei momenti vissuti, o più probabilmente dalla codeina e dai sonniferi di cui abusa per proteggersi dal dolore, ormai più interiore che fisico. É questa inaffidabilità connaturata, sostanziale, che rende credibili i suoi dialoghi con lo spirito di Rosemary, che continua a tornare in cerca di una pace che non trova. Si disvela così tra le pagine uno dei temi principali del volume, quello della difficoltà ad accettare la perdita, l’impossibile rielaborazione del lutto non condiviso e non comunicato, la solitudine di chi si sente mancante e non riesce a dare voce alla sua pena, creando un baratro di silenzio dentro di sé.
Nonostante ciò, ci sono diversi aspetti che non funzionano del tutto, a partire dalle fiabe della tradizione utilizzate da Carrie come strumento per raccontare in chiave metaforica la storia della famiglia Sinclair, e la sua propria. Sicuramente, a differenza di altri young adult, non riesce a implicare completamente il pubblico adulto, pur restando una lettura scorrevole, che incuriosisce per i continui scarti della trama.
Ritornano qui alcuni degli elementi riconoscibili anche nella precedente opera di Lockhart: l’indagine sull’interiorità di una protagonista femminile adolescente e colta nel momento della crisi, il senso di inadeguatezza di Carrie e il bisogno di compiacere il capofamiglia, la curiosità circa le proprie radici e il modo in cui viene trattato il tema della sorellanza, non sempre facile – soprattutto se le persone che ami di più e che ti sono più vicine sono molto dissimili da te e non ti capiscono davvero.
Al centro di tutto, qui come nel volume che lo precede, le bugie, i segreti, le gravissime omissioni che segnano la famiglia Sinclair per tanti motivi diversi: le apparenze, la reputazione da salvaguardare, un pudore che allontana i singoli gli uni dagli altri, le scelte scomode da occultare e dimenticare, la sensibilità di qualcuno da proteggere… ciascuno di questi, però, è un fattore che contribuisce a un’intima disgregazione dei diversi membri. Tutti fingono, tutti recitano, e non c’è morale positiva che se ne possa trarre. Le conseguenze sono drammatiche sul breve come sul lungo periodo, e anche per questo è necessario aver letto L’estate dei segreti perduti per poter dare un senso compiuto a Bugiarde nate. Il titolo italiano, del resto, è ancora una volta fuorviante, perché fa ricadere la colpa delle bugie sulle sole sorelle. È invece il titolo originale, Family of Liars, che offre una chiave interpretativa più adeguata all’opera. In tal senso, il tentativo di pacificazione finale non convince, perché vuole ricomporre un ordine basato su presupposti errati e non difendibili. Se la lettura di questo volume può sicuramente aiutare chi conosca il volume precedente a completare il quadro non del tutto risolto delle dinamiche famigliari in atto a Beechwood Island, di certo però non riesce a riscattare i personaggi, lasciando semmai un senso di amarezza per le loro sorti, più segnate che privilegiate.

 
Carolina Pernigo