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«Un caso non è mai veramente chiuso»: una nuova vecchia indagine per Gahalawood e Goldman in "Il caso Alaska Sanders" di Joël Dicker

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Il caso Alaska Sanders
di Joel Dicker
La Nave di Teseo, 2022

pp. 624
€ 22 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Ricordate la grande intesa tra il sergente Perri Gahalawood e lo scrittore Marcus Goldman? Solo collaborando i due sono riusciti a venire a capo all'intricatissimo caso di Harry Quebert, da cui poi Marcus ha tratto il suo grande romanzo di successo La verità sul caso Harry Quebert. Da quel momento, la vita di Marcus è cambiata: è diventato famoso, ma un grande rimorso è sopraggiunto, ovvero la sofferenza per aver perso i contatti con l'amico Harry. Che fine ha fatto il suo mentore, il suo modello di scrittura, idolatrato e, tuttavia, sfidato più o meno apertamente? 

Se Marcus ha questo rammarico, anche il sergente Gahalawood ha i suoi scheletri nell'armadio e, tra tutti, c'è un vecchio caso che lo ha talmente traumatizzato da portarlo a indagare sempre da solo, rifiutando un compagno. Il caso risale al 1999 e, anche adesso che è il 2010, Perry non può fare a meno di pensarci. Tutto è partito dal ritrovamento, lì a Mount Pleasant, del cadavere di una ventiduenne, la bellissima Alaska Sanders, già Miss New England, aspirante attrice, approdata nella piccola cittadina per vivere con Walter Carrey, giovane commerciante locale di articoli da pesca. La ragazza, che si è distinta fin da subito per il suo carattere disponibile e la sua gentilezza, ha iniziato a lavorare poco dopo il suo arrivo alla cassa di una stazione di servizio locale, con grande soddisfazione da parte di tutti, in primis del suo datore di lavoro. In apparenza, nessuno poteva volere il suo male, perché Alaska aveva una parola buona per ognuno e la sua storia con Walter Carrey era alla luce del sole. Inspiegabile, dunque, il fatto che la ragazza sia stata trovata riversa sulla spiaggia, dove era stata uccisa nella notte e lì, verso mattina, un orso aveva iniziato a fare scempio del cadavere. Nella tasca dei pantaloni di Alaska, un messaggio minatorio: "so cosa hai fatto". Cosa è successo? Il caso allora era stato risolto piuttosto sbrigativamente, perché alcune prove avevano incastrato il presunto colpevole senza che sorgessero chissà quali dubbi (complici alcuni eventi drammatici avvenuti in concomitanza), il quale da undici anni è in carcere. Ma se le cose non fossero andate esattamente così? 

Inizia così una nuova indagine, che vede per protagonisti Marcus e Perry, un'indagine su cui posso scrivere veramente poco, perché sarebbe assurdo anticipare le scoperte straordinarie che riempiono il romanzo di colpi di scena. Resta, sotto traccia, il messaggio che già in altri suoi romanzi Joël Dicker ha lanciato: niente è come sembra e, soprattutto, la gente è diversa da come si mostra in pubblico. A questo, potremmo aggiungere che tutti hanno segreti che, se portati alla luce, rimetterebbero in gioco tutto, persino la propria identità e ciò che parenti e amici giurerebbero senza tentennamenti. 

In parallelo alle indagini, Marcus deve fare i conti con la sua vita sentimentale - sempre zoppicante -, con il suo passato - ancora risuonano in lui le conseguenze del dramma famigliare dei Goldman di Baltimore -, con il successo, che fatica a tenere a bada, ma che gli potrebbe offrire un lavoro (e una soddisfacente seconda occasione). Anche Perry è tutt'altro che sereno: oltre ai rimorsi su ciò che gli è accaduto nel passato, anche la sua vita privata subisce dei pesanti sconvolgimenti. 

Come in altri romanzi, Joël Dicker adotta una narrazione franta, che procede su diversi piani temporali: oltre al 1999, anno dell'omicidio, e al piano presente della narrazione (2010), troviamo vari affondi nel passato, specialmente nel 1998, per presentarci antefatti determinanti per scoprire a poco a poco la verità, mantenendo alta la suspense. Anche i diversi punti di vista adottati aiutano a rivedere gli eventi da prospettive inattese e talvolta sorprendenti. 

Benché Dicker scelga sempre uno stile semplice, quotidiano, sintatticamente piano al punto da risultare piatto in singoli paragrafi, l'immediatezza del dettato è la sua fortuna, perché con uno stile più laborioso la narrazione, già intricatissima nella sua struttura, risulterebbe ostica. Invece, così facendo, Dicker intercetta un pubblico ben più vasto e inchioda alla pagina con una scrittura cinematografica, che fa del dialogo un fiore all'occhiello (e anche quando le conversazioni tra i personaggi sembrano futili, perché slegate dalla trama, dobbiamo prestare attenzione, perché possono nascondere qualcosa di rilevante...). Trama originale, stile piano, dialoghi frequenti: difficile, se non impossibile, dire quale sia la formula che porta i romanzi di Joël Dicker a occupare stabilmente i primi posti delle classifiche di vendita. Qualsiasi cosa sia, funziona, e speriamo che Dicker non esaurisca mai la capacità di rendere tanto scorrevoli e avvincenti libri da seicento pagine. 

GMGhioni