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Sfaccettature di umani: tra colore e dolore, otto nuovi racconti di Richard Wright

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Otto uomini
di Richard Wright
Racconti Edizioni, novembre 2020

Traduzione di Emanuele Giammarco

pp. 281
18,00 € (cartaceo)
7,99 € (ebook)


Imparò in fretta che gli assurdi bianchi per cui lavorava lo consideravano inferiore – e lui inferiore non ci si sentiva, e non riteneva di esserlo.
(p. 217)
Con un candore quasi infantile e un tono che esita tra amarezza e silenziosa disperazione, Fred Daniels, protagonista del racconto L’uomo che visse sottoterra, impigliato in un’assurda lotta contro un destino segnato, rammenta a se stesso quanto incomprensibile sia il rapporto tra bianchi e neri nell’America della prima metà del Novecento. Un rapporto regolato dall’odio e da un pregiudizio cieco, violento, rancoroso, senza motivo. Pochi altri, nel panorama della letteratura del ventesimo secolo, hanno saputo affrontare la realtà razziale degli Stati Uniti come Richard Wright, la cui maestria è ampiamente esaltata in questa raccolta di racconti, Otto uomini, pubblicata postuma, nel 1961, e riproposta di recente da Racconti Edizioni come chiusa dell'anno appena concluso. Grazie ad una nuova traduzione estremamente ben pensata di Emanuele Giammarco, accediamo, noi lettori, a un’opera di narrativa breve, perlopiù inedita in Italia, di una delle penne cardine della “Black Literature” novecentesca. 

Nato a Natchez, Mississippi, nel 1908, Richard Wright conduce una vita segnata dal colore scuro della sua pelle, stigma che, volente o nolente, si porta addosso fin dalla nascita. Come racconta approfonditamente nel romanzo autobiografico Black Boy (1945, pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo Ragazzo negro), la sua esistenza è scandita da numerose tragedie familiari, la necessità di lavorare duramente fin da bambino e un desiderio invadente di leggere, scrivere e dare la propria opinione. Ma la sua visione del mondo non interessa abbastanza, o meglio, per nulla. Con grande sforzo, lo spostarsi nello spazio geografico dell’America degli anni Venti, con una scalare risalita che, dal profondo Sud, lo conduce a Chicago e in seguito in Europa, permette a Wright di cambiare il corso del suo destino, che sembrava inizialmente portatore di una vita di oblio alcolico, confino ai margini sociali, lavori umili e soggetti alla scarsissima benevolenza di datori di lavoro bianchi, per la maggior parte sprezzanti e facilmente irritabili dalla sola sua presenza.

Nelle storie che compongono Otto uomini ritroviamo esattamente questo tipo di situazioni. Un ragazzo non ancora uomo con una voglia disperata e cieca di evasione e di libertà; un uomo in fuga da un crudele e ingiusto destino che si nasconde nelle fogne per scampare ad un’accusa di omicidio; un marinaio scambiato per inumano e degno di disprezzo per via della sua stazza; un uomo a cui vengono strappate prospettive più rosee perché vittima degli accanimenti della natura; un marito e padre che ha perso il lavoro ma che è pronto a tutto pur di mantenere la propria famiglia; un ragazzo trapiantato a Parigi dal proprio Paese come merce, senza nulla a cui aggrapparsi se non quello a cui i propri occhi gli hanno sempre suggerito come vero; un giovane posto, senza scampo, di fronte alle ingiustizie della vita e della morte; e, infine, il ritorno al Richard Wright di Black Boy, intrappolato in un tessuto sociale di ingiustizie e che sente di dover cambiare o rifuggire. La domanda sorge proprio qui: agire per cambiare le cose o scappare lasciandosele alle spalle? Nessuno di questi uomini ha probabilmente tempo o energie per rispondere, troppo occupati a sgobbare, a sopravvivere pur di vivere, ad adattarsi e indocilirsi di fronte al “fardello dell’uomo bianco”.
Che cos'era questo senso di colpa così apparentemente innato, così a portata di mano, così facile da concepire, sentire, e però anche così fisico? Provare quel senso di colpa era come tentare di rintracciare nei propri sentimenti un disegno sfocato e descritto molto tempo prima; era come se ci si sforzasse sempre di ricordare un gigantesco trauma, capace di lasciare sul proprio corpo un'impressione indelebile, che non era possibile dimenticare o scrollarsi di dosso, ma che era stata comunque dimenticata dall'io cosciente, producendo nella propria vita uno stato di infinita angoscia.
(p. 73)
Nonostante l’immediatezza esemplificativa del titolo, che introduce fin da subito al lettore la presenza delle otto personalità dei racconti, questa pubblicazione di Wright è fortemente unitaria e coesa. Gli otto individui, infatti, pur lontani per età, intelletto e circostanze, sono collegati indissolubilmente gli uni agli altri da un senso radicato di perenne inquietudine, di consumata rassegnazione e silente indignazione per la condizione inumana che l’America delle leggi razziali impone sui neri, al marchio della schiavitù che mai li abbandona. Tra atti di disperazione e di sofferenza ignorata e incompresa, alcuni non riescono a far altro se non soccombere, altri tentano di resistere, perseverando, con grande fatica, nella “febbrile ricerca di un compromesso dignitoso con la scena americana” (p. 238).

Due colori complementari, eppure in lotta continua, l’odio del bianco per il nero che trasuda dalle storie di Wright è dilagante e, apparentemente e incomprensibilmente, di impossibile espugnazione. Egli inserisce magistralmente proprie idee e convinzioni nella narrazione. Mai didascalico né ridondante, la sua scrittura suggerisce un talento puro, quella dote che possiedono coloro che, pur parlando di sé, riescono a parlare di tanti a tanti, non risultando mai astrusi o fuori tempo anche dopo decenni. Otto uomini è un testo che fa riflettere per la sincerità della narrazione, per l’impatto profondo che storie come queste hanno sulla letteratura breve e sui suoi lettori e perché celebra un autore fondamentale, che si dovrebbe leggere di più; un’indole che trauma e censura non hanno saputo fermare. 
Con questo vestito addosso sembro solo l’ennesima cuoca nera, una su un milione. Chi ci guarda mai così da vicino a noi di colore, eh? Per i bianchi siamo tutti uguali.
(p. 138)

Lucrezia Bivona